L’evangelista Matteo racconta che Erode, temendo per il suo trono, ordinò quel massacro di bambini, che è conosciuto come la strage degli innocenti. Si tratta di un episodio rappresentato spesso sul presepe e molto importante da un punto di vista del simbolismo tradizionale, al di là delle discussioni sulla sua realtà storica.
Sul presepe popolare napoletano non è raro trovare rappresentata una scena che, con le sue tinte fosche, contrasta con la serenità del paesaggio bucolico in cui nasce il Salvatore: la strage degli innocenti è un episodio di inaudita violenza e crudeltà, che non può non suscitare raccapriccio.
In realtà, questa scena non è propriamente tipica del presepe napoletano nella sua variante popolare (non mi sembra di averla incontrata sul presepe “colto”), ma la si ritrova nel presepe di molte località, essendo l’episodio intimamente collegato alla nascita di Gesù e alla sua regalità divina.
L’evangelista Matteo, infatti, narra che il re Erode, avendo appreso dai Magi che in quel torno di tempo era nato il “Re dei Giudei”, temendo per il suo trono (Erode era stato insignito dai Romani proprio di questo titolo), subdolamente chiese ai Magi di fargli avere, dopo averlo trovato, delle notizie precise, perché potesse andare anche lui a onorarlo.
Ma Giuseppe, avvisato in sogno da un Angelo, salvò il piccolo Gesù, fuggendo con la sua sposa Maria in Egitto. L’Angelo avvertì anche i Magi, che, per fare ritorno ai loro paesi, tennero un’altra via. Fu allora che Erode, vistosi giocato dai Magi, ordinò ai suoi sgherri di uccidere tutti i bambini maschi di Betlemme, dai due anni in giù: questo massacro è conosciuto come la strage degli innocenti.
Questi bambini massacrati per ordine di Erode sono commemorati nel Martirologio della Chiesa Cattolica in vicinanza del Natale, il 28 dicembre, festa dei Santi Martiri Innocenti.
Anche in questo caso ci troviamo dinanzi ad un’interessante sequenza di feste, che commemorano dei Santi giovani e martiri: Santo Stefano, il primo martire (26 dicembre), San Giovanni evangelista, il giovane apostolo prediletto di Gesù (27 dicembre), e infine appunto i Santi Innocenti. Queste festività fanno da contrappunto a quelle dei Santi vecchi, il vecchio Re Mago Baldassarre, Sant’Antonio abate, San Biagio vescovo e martire.
Come si vede, nel mondo della tradizione e del suo simbolismo, nulla è lasciato al caso, ma è tutto organizzato in una serie di rapporti, la cui logica è oggetto privilegiato della scienza antropologica.
Il racconto di Matteo è stato posto al vaglio della critica storica e, per varie ragioni, si è dubitato della sua veridicità, pensando che la strage degli innocenti sia un’invenzione dell’evangelista, che lo avrebbe creato di sana pianta, appoggiandosi ad una profezia di Geremia.
Io ci andrei cauto a rifiutare l’autenticità del racconto di Matteo. Anche perché la “storicità” non è solo il puntuale riscontro dei fatti, ma anche la rispondenza a delle norme universali nell’interpretazione dell’agire umano.
La sete di potere (ed Erode ha forse avuto l’equivalente solo in alcuni dei peggiori protagonisti della storia universale) spinge a misfatti di fronte ai quali l’uomo finge di indignarsi, ma è pronto a chiudere gli occhi, quando vi assiste di persona.
La strage degli innocenti avviene ogni giorno sotto i nostri occhi e vi assistiamo senza battere ciglio: e poi siamo pronti a negare la storicità del racconto di Matteo, con il pretesto che un fatto del genere non sarebbe passato inosservato e che i Romani, signori del mondo, non lo avrebbero permesso. Ma i Romani del tempo, sotto questo riguardo, non erano certo migliori delle potenze attuali: dimentichiamo troppo spesso che la maggior parte di noi è nata nel “civilissimo” secolo XX, nel quale sono stati compiuti i più esecrabili crimini contro l’umanità.
Ma forse è meglio abbandonare questo discorso, che mi porterebbe troppo lontano.
La strage degli innocenti è stata rappresentata nell’arte innumerevoli volte: si tratta, infatti, della prima schiera di coloro che hanno dato il loro sangue nel nome del Cristo.
Sul presepe, la strage degli innocenti a volte non è raffigurata esplicitamente, ma ad essa si allude ponendo su un’altura il castello di Erode, che getta come una sinistra luce sull’ambiente circostante.
L’immaginario collettivo ha sostituito agli sgherri di Erode dei soldati romani, i quali con la strage degli innocenti non ebbero nulla a che fare, forse per influenza del racconto della Passione di Cristo, che nei Vangeli è attribuita ai soldati romani di Ponzio Pilato.
Altre volte, la strage è rappresentata nei suoi toni crudi e violenti: ricordo che quand’ero ragazzo a San Gregorio Armeno sui presepi popolari e sulle bancarelle dei “pastorari” vedevo delle statuette rappresentanti soldati romani che tenevano con la mano destra un bimbo afferrato per le caviglie, a testa in giù.
Poiché sul mio presepe non ho mai riprodotto questa scena, non posseggo statuette di questo tipo. Per corredare quindi questo articolo con delle immagini, mi sono recato a San Gregorio Armeno a cercare delle statuette di soldati romani. Ne ho trovata qualcuna, ma nessuna con il bimbo afferrato per i piedi. Quando ho chiesto se ne potevo trovare di questo tipo, imbarazzati “pastorari” mi hanno risposto che ormai da tempo non si faceva più il soldato romano con il bambino ucciso.
Strano, questo pudore. Quando non si ha più il coraggio di rappresentare, vuol dire che, in qualche modo oscuro, la coscienza rimorde.
Ricordo una mia passeggiata al Sacro Monte di Varallo, presso Vicenza: in una delle cappelle è raffigurata la strage degli innocenti in terracotta policroma, opera dello scultore Giovanni Giacomo Paracca (XVI secolo). Naturalmente mi impressionò la somiglianza con le scene di presepe che avevo tante volte viste a San Gregorio Armeno: il re Erode, lo sgherro che tiene il bambino per una caviglia, apprestandosi a vibrare il colpo omicida, la disperazione delle donne.
Matteo riporta le parole del profeta Geremia:
Una voce si udì in Rama, pianto ed alto lamento:
Rachele era, che piangeva i suoi figli e non accettò d’essere consolata,
perché essi più non sono.
Ancora una volta, “fare il presepe” e farlo con le proprie mani, può diventare il modo migliore per riflettere sulla storia e sulle sue iniquità di cui spesso siamo complici, per lo meno con l’indifferenza.
Se nel fare il tuo prossimo presepe vorrai rappresentare anche la terribile scena che è la strage degli innocenti, non mancare di rimproverare alla classe politica italiana il colpevole errore contro tutta la nostra storia e la nostra cultura: accettare che le radici dell’Europa siano nell’illuminismo e nella rivoluzione francese. No, le radici vere e profonde dell’Europa sono nel diritto romano, che sostituì la forza della ragione alla ragione della forza, e nel cristianesimo, che introdusse il senso della carità e della solidarietà tra gli uomini, figli di un unico Padre. Le nostre radici sono nel sangue dei martiri, di cui gli Innocenti rappresentano, per così dire la primizia.
Forse è per negare ulteriormente questa verità storica che tutta una categoria di intellettuali pseudo-tolleranti non vuole che si faccia il presepe nelle scuole?
Tu che ne pensi?
Devo essere sincero, caro Italo, ma una riflessione così dolorosa sulle nostre vicende umane, mentre faccio il presepe, non l’ho mai fatta e sicuramente hai ragione quando affermi che ne siamo complici perché indifferenti.
Grazie
Mariano
Sono soprattutto preoccupato per l’arretramento che la nostra civiltà occidentale sta compiendo nei confronti di altre più aggressive. Come ho spesso scritto, la nostra civiltà ha tante colpe nei confronti del pianeta, ma pure ha operato tante scoperte in favore della dignità umana, che ora rischiano di essere travolte. Gli immigrati pretendono aiuto ed assistenza in nome di quella solidarietà che è conquista della civiltà cristiana, ma nessuno si preoccupa di chiedere loro se hanno rinunciato alla cultura della violenza e a quella legge del taglione, in virtù della quale si continua a spargere sangue. Ma forse pretendo troppo dale nostre classi dirigenti (di tutta Europa), preoccupate, a quanto pare, solo della finanza e soprattutto della conservazione dei propri privilegi.