Un pregevole studio di Fausto Nicolini, filologo napoletano amico di Croce e di Doria, ricostruisce la storia delle rappresentazioni presepiali, facendo risalire il presepe del Settecento alle sacre rappresentazioni e agli spettacoli di marionette.
Fausto Nicolini, amico di Benedetto Croce e di Gino Doria, è un insigne filologo noto soprattutto per i suoi studi sulla figura e sull’opera di Giambattista Vico. Ma nell’arco della sua instancabile attività si occupò anche del presepe napoletano, alla cui storia diede un contributo fondamentale con un libretto di non più di settanta pagine, dense di notizie e di spunti di notevole interesse.
Ho riletto da poco Scorribande presepiali, pubblicate nel 1957 dall’Azienda di Soggiorno, cura e Turismo di Napoli, in una edizione fuori commercio, che reperii tanti anni fa in una libreria antiquaria e ho voluto di farti conoscere questa operetta: il diminutivo si riferisce, naturalmente, alle dimensioni e non all’importanza del testo. Essa è anche la testimonianza di un’epoca passata di cui si parla tanto male e tanto volentieri, ma nella quale le istituzioni erano tese a ricostruire l’Italia e a promuovere la cultura e non a smantellare sia l’una sia l’altra.
Sì, davvero i rappresentanti della cosiddetta “seconda repubblica” (e forse terza e anche quarta) dovrebbero provare ritegno a parlare male di quella “prima repubblica” nella quale, talvolta, accadeva che un uomo politico doveva farsi prestare il cappotto da un collega (vedi Alcide de Gasperi) e qualche altro abitava in un dignitoso appartamento pagato con i proventi del proprio lavoro (vedi Aldo Moro) e non di quello altrui.
Considerazioni extrapresepiali? Non tanto, se si pensa al significato del presepe e alla povertà di quella Nascita Divina nella mangiatoia, e alla figura di Giuseppe che rinvia alla dignità del lavoro, oggi così sottovalutato, offeso ed umiliato. Se si pensa a tutto questo, ancora una volta risulterà contraria ad ogni buon senso la “sensibilità” di chi, in omaggio a persone di diversa fede religiosa, non vuole che si faccia il presepe nelle scuole e in altri luoghi pubblici.
Ma ritorno all’argomento principale.
Il titolo mi piacque fin dal primo momento, perché si confaceva a quella mia convinzione che la conoscenza è frutto di un “camminare”, di un “andare” alla ricerca di ciò che interessa: ho sempre sostenuto (e l’idea piacque a molti miei amici) che Dio creò l’uomo perché andasse a passeggiare.
Tuttavia, la parola “scorribanda” suggerisce l’idea di “incursioni” non metodiche in un campo del sapere, mentre le “scorribande presepiali” di Nicolini si presentano come un testo ben strutturato, nel quale l’autore ricostruisce la storia delle rappresentazioni presepiali a partire dalle origini orientali fin dal terzo secolo, per giungere al presepe dei tempi moderni che per lui è sostanzialmente il presepe settecentesco.
In effetti, il presepe come noi lo conosciamo e concepiamo si è costituito fondamentalmente nel Settecento, che rappresenta il secolo d’oro di questo particolare settore di quelle che una volta erano chiamate (forse ingiustamente) “arti minori”.
L’interesse maggiore dello studio di Fausto Nicolini sta nell’avere ricollegato il presepe settecentesco non alle monumentali rappresentazioni presepiali del Rinascimento, delle quali a Napoli restano significative testimonianze a San Domenico Maggiore e in Santa Maria del Parto, ma a quelle rappresentazioni religiose che si tenevano non solo nelle chiese, ma anche nelle piazze e nei teatri, ad opera spesso di saltimbanchi e di guitti che non rifuggivano dal mescolare il sacro e il profano, fino a che la rappresentazione finiva con il perdere del tutto il primitivo carattere sacro.
Queste rappresentazioni, che rivestivano i sacri misteri di ridicolaggini al limite dell’oscenità, finirono con il suscitare la preoccupazione della Chiesa che a più riprese le vietò con decreti conciliari.
Il punto di passaggio al presepe quale lo conosciamo, nella ricostruzione di Fausto Nicolini, è costituito dalle rappresentazioni fatte mediante delle marionette, dal corpo snodabile e rivestito di veri abiti, che venivano mosse mediante dei fili: un vero e proprio teatrino dei “pupi”, insomma, a carattere originariamente religioso, ma che ebbero la stessa riuscita delle sacre rappresentazioni con gli attori. Al pari di queste, gli spettacoli con i “pupi” furono ugualmente proibiti dalla Chiesa.
“Fatta la legge, fatto l’inganno”, dice un vecchio proverbio. Per aggirare i decreti ecclesiastici che proibivano le marionette, queste furono immobilizzate in quadri statici che permettevano di sbizzarrire l’estro, senza contravvenire ai dettami papali.
Fausto Nicolini trova la prova di questo passaggio nella maniera stessa in cui è costruito un “pastore” del Settecento, con un manichino snodabile rivestito di veri abiti. Il luogo del passaggio lo studioso lo individua a Monaco di Baviera, un’altra capitale del presepe, ad opera dei Gesuiti che diffusero l’abitudine di montare il presepe prima di Natale e smontarlo dopo l’Epifania o dopo il due di febbraio, festa della Purificazione.
Bisogna dire che il presepe del Settecento non si attira le simpatie di Fausto Nicolini che non trova in esso alcuna testimonianza di vera arte, neppure in quel preteso “realismo” e “verismo” di cui spesso si parla e che anzi all’autore procura solo un sentimento di fastidio e di noia, se non proprio di disgusto, segnatamente nella rappresentazione dell’osteria, con l’ostentazione dei commestibili più vari, fino alle carni sanguinolenti nella bottega del macellaio.
Non nega, l’autore, il carattere artistico di certe teste di pastore, in cui si rivela il tocco impareggiabile di Giuseppe Sanmartino, ma afferma che la rappresentazione presepiale, nel complesso, ubbidisce a considerazioni che non hanno a che vedere con l’arte e che rispondono, invece, a quel desiderio di meravigliare e di stupire che è proprio dell’epoca barocca.
Le sue preferenze vanno a quei “presepi” del Rinascimento che, costituiti da poche figure a grandezza quasi naturale, favorivano la devozione o, per lo meno, la “raccolta contemplazione estetica”. Invece
l’allegro presepe napoletano dei tempi moderni, oltre che provocare l’ilarità e talora lo sghignazzamento plebeo, stuzzica soprattutto l’ardore ippico, la passione venatoria e la ghiottoneria. Dopo di che, si continui pure, se si vuole, a considerarlo, anche nel suo insieme, opera d’arte.
L’autore, in gioventù, aveva partecipato con entusiasmo all’allestimento di qualcuno di questi enormi “presepi moderni”, di cui, con la maturità e la competenza critica, lamenta la caoticità, nella quale finisce con il disperdersi l’elemento principale che è la Nascita del Bambino Gesù: questa viene quasi relegata in un angolo, ridotta ormai a mero pretesto.
E questa analisi mi ha sempre trovato concorde.
Fausto Nicolini non fa parola, però, di quell’altro presepe, il presepe popolare animato di povere figure in terracotta, allestito dalle famiglie napoletane con poco dispendio di mezzi.
Di questo presepe, del quale ho cercato di mettere in luce il rigore strutturale e compositivo, Nicolini non poteva accorgersi, perché esso non ha caratteristiche tali da farlo rientrare in qualche categoria artistica e da attirare quindi l’attenzione degli studiosi.
Il presepe che ho definito popolare ha però ben altre caratteristiche che lo hanno imposto non solo alla nostra ricerca erudita, ma anche alla nostra volontà di operare concretamente con le mani, il cervello ed il cuore, come ho scritto qui, qui e anche qui.
E tu, hai già un’idea per il tuo presepe di quest’anno? Io, da buon napoletano che, quando non fa il presepe, sogna di farlo, sto approntando gli schizzi preparatorii.
Caro Italo,
convengo con le tue tesi sul presepe popolare e sulla sua “plasticità”, però non condivido o forse non comprendo appieno le considerazioni del Nicolini sulla rappresentazione presepiale settecentesca che non ubbidisce a dettami artistici, bensì solo al desiderio di meravigliare e di stupire: ohibò, ma l’arte non è una cornucopia di stupori e di emozioni che da sempre ci incanta?
Mariano
Ci ho messo un po’ di tempo a rispondere, perché la tua domanda pone delle questioni molto complesse. In linea generale, posso premettere che l’arte è fonte di emozioni e di stupore, direi, “a posteriori”: ma quando la meraviglia e lo stupore sono il “fine” che l’artefice si propone, ebbene, è probabile che fallisca nello scopo più alto che è l’arte stessa. Inoltre, c’è da considerare che un elemento importantissimo dell’opera d’arte è l’unitarietà: quando un’opera non è unitaria, non le riconosciamo più il valore di capolavoro assoluto. Ora, il carattere “dispersivo” del presepe settecentesco è fuori discussione, dal momento che l’evento centrale è ridotto a semplice pretesto. Fausto Nicolini era un finissimo intellettuale e non poteva apprezzare le caotiche e, in alcuni particolari, urtanti rappresentazioni settecentesche. Di queste, tuttavia, mi adopererò in seguito a spiegare il forte interesse che hanno per noi. Ma mi ci vorrà un po’ di tempo. Spero di essere stato esauriente, anche solo per il momento.
Non mi ero mai soffermato a pensare alla figura di Giuseppe come simbolo del lavoro e della sua dignità, quest’anno porrò la Sua figura sul presepe ancora più sentitamente. Grazie di questi preziosi spunti di riflessione. Un saluto
Grazie del commento. Sulla figura di San Giuseppe dovremo soffermerci più a lungo.