I Santi Innocenti sono i bambini che, secondo il racconto del vangelo di Matteo, furono uccisi per ordine del re Erode, timoroso per il proprio potere, dopo avere udito dai Magi che era nato “il re dei Giudei”. Ma sono anche i bambini di Caivano, vittime di una arcaica mentalità distorta, e le vittime innocenti di una cultura televisiva degradata e degradante.
Alla “strage” dei Santi Innocenti si allude talvolta anche sul presepe popolare napoletano, come ho scritto qui, rappresentando il castello di Erode, con dei soldati romani esecutori del massacro.
Erode e i suoi sgherri fecero parte anche di una collezione di statuine da presepe, pubblicate per la diffusione in edicola dalla De Agostini, nel 1996: Il presepe napoletano, personaggi e ambienti, in tre volumi, con testo di Alessandra Grifo.
Le figurine sono realizzate in materiale ceramico e rivestite con abiti di stoffa, resa rigida da una speciale colla.
Sicuramente è da apprezzare il fatto che nella collezione sia stato inserito un episodio che, per la sua crudeltà, non è rappresentato molto spesso sul presepe, tuttavia Erode ha più l’aspetto di un nonno paziente o di un re saggio e benevolo, che non del tiranno crudele quale ci appare dal racconto del Vangelo e la fantasia popolare se lo immagina.
L’uccisione dei Santi Innocenti è presente anche in una pagina di un trattato di alchimia famosissimo, Le livre des figures hiéroglyphiques, attribuito a Nicolas Flamel. Una traduzione in italiano fu pubblicata dalle edizioni Mediterranee di Roma.
Chi desidera leggere l’opera in una traduzione italiana, può trovarla qui, mentre chi conosce il francese può trovarla nel sito EzoOccult nel testo originale.
Nicolas Flamel fu un personaggio vissuto a Parigi nel XIV secolo, tanto celebre che nella capitale francese gli è stata intitolata la strada in cui ancora resiste al tempo una delle sue abitazioni. Esercitava l’attività di scrivano, ma la tradizione successiva fece di lui un alchimista, la cui fortuna fu di essersi imbattuto, nel corso della sua attività, in un libro particolare che gli svelò il segreto della trasmutazione dei metalli. Di questo personaggio, a metà strada tra leggenda e realtà storica, si dice che è uno dei pochissimi che sia riuscito a ottenere l’oro mediante le sue operazioni in laboratorio: se così fosse, il suo successo potrebbe derivare dal fatto che è anche l’unico di cui si sa che ha avuto una moglie, Pernelle (o Perenelle, o Perrenelle), celebre almeno quanto lui. A Parigi, anche a lei è stata intitolata una strada, che incrocia quella intitolata al marito. Nicolas Flamel et Pernelle sa femme (Nicolas Flamel e Pernelle, sua moglie) costituiscono una coppia famosissima presso tutti gli alchimisti e non solo.
“Casa di Nicolas Flamel e di sua moglie Pernelle. Per conservare il ricordo della loro caritatevole fondazione, la città di Parigi ha restaurato nel 1900 l’iscrizione originaria, datata 1407”
Forse la coppia non era così ricca come la leggenda ha tramandato, ma era abbastanza agiata per dedicarsi ad opere di carità, tra cui anche il restauro di alcune parti del Cimitière des Saints-Innocents, il cimitero parigino che prendeva il nome dalla vicina chiesa, dedicata ai Santi Innocenti del racconto evangelico.
La strage degli Innocenti ha una parte rilevante nel libro delle figure geroglifiche, in cui essa è rappresentata in due riquadri e commentata con queste parole:
A l’autre page du cinquième feuillet, il y avoit un Roi avec un grand coutelas, qui faisoit tuer en sa présence par des Soldats grande multitude de petits Enfans, les Mères desquels pleuroient aux pieds des impitoyables Gendarmes, et ce sang étoit puis après ramassé par d’autres Soldats, et mis dans un grand Vaisseau, dans lequel le Soleil et la Lune du Ciel se venoient baigner. Et parce que cette Histoire représentoit à peu près celle des Innocens tuez par Hérode, et qu’en ce Livre-ci j’ai appris la plupart de l’Art, ç’a été une des causes pourquoi j’ai mis en leur Cimetière ces Symboles Hyéroglifiques de cette secrette Science.
“All’altra pagina del quinto foglio, c’era un Re con un gran coltello, che, alla sua presenza, faceva uccidere dai soldati una grande moltitudine di fanciullini, le cui madri piangevano ai piedi degli spietati sgherri, e questo sangue era poi raccolto da altri soldati e messo in un gran vaso, in cui il Sole e la Luna andavano a tuffarsi. E poiché questa storia rappresentava press’a poco quella degli Innocenti uccisi da Erode, e poiché in questo libro appresi la maggior parte dell’Arte, è stata questa una delle cause per cui ho fatto mettere nel loro Cimitero [quello dei Santi Innocenti] questi simboli geroglifici di questa segreta Scienza”.
A questa scena, Nicolas attribuisce un significato alchemico, indicando con essa una delle operazioni attraverso le quali si giunge al compimento dell’Opera.
Quella dei Santi Innocenti è dunque una tradizione molto importante nella cultura europea, pure volendo prescindere dalla sua realtà storica, messa in dubbio da alcuni studiosi e, negli ultimi tempi, pare anche da alcuni esponenti della Chiesa Cattolica.
Anche se consiglio la cautela nel negare la realtà di quel cruento episodio, come già scrivevo qui, è innegabile la sua portata simbolica: il Cristianesimo ebbe il suo battesimo di sangue fin dalle sue più remote origini.
La strage dei Santi Innocenti balza oggi agli occhi degli uomini “moderni” sgomentandoli con episodi che si credevano appartenenti ad un lontano passato. I piccoli martiri di Caivano (ahimé! ancora una volta la mia Napoli sotto i riflettori di una luce sinistra!) risvegliano l’Europa da una disattenzione che è più simile al torpore che al sonno.
Lo sgomento stesso è segno di una cattiva coscienza: perché gli allarmi non mancavano, ma si è posta ogni cura per non raccogliere i segnali.
Addirittura in Italia si emanò alla fine degli anni ’90 una legge che proibiva di pubblicare sul giornale i nomi dei pedofili, per rispetto della privacy, il che sembrava al nostro grande scrittore Giuseppe Pontiggia “uno degli aspetti più paradossali e sinistri della nostra società”. E aggiungeva: “Non perché sia mostruosa, ma perché è sacrosanta. Ha però il curioso difetto di essere riservata solo a loro”.
Se vuoi leggere l’intera pagina di Pontiggia, la trovi in Prima Persona, una raccolta di aforismi che erano stati pubblicati sul “Corriere della Sera” a partire dal 1998.
In realtà ai bambini si pone dai tempi più remoti pochissima attenzione: isolata fu nell’antichità la voce del celebre retore Quintiliano che ammoniva la società del suo tempo: “Si deve portare il massimo rispetto ai fanciulli (Summa debetur puero reverentia)”, monito che per secoli restò inascoltato. Per secoli si trattarono i bambini come se non fossero persone, quasi che la mancanza di personalità giuridica si identificasse semplicemente con la mancanza di ogni personalità.
Sì, è vero, le cose cominciarono forse a cambiare dopo la fine della seconda guerra mondiale: ma credo che tutti quelli che hanno la mia età o giù di lì ricordano la fatica che facevamo da bambini per difendere la nostra dignità, di cui eravamo consapevoli, di fronte alle aggressioni da parte di un mondo adulto, il quale credeva, magari in buona fede, che noi stavamo lì per ubbidire e tacere.
E magari per accettare senza discutere anche un immeritato ceffone.
Gli episodi di Caivano mostrano il persistere di questa mentalità distorta: non si può andare contro un capo di casa forte e rispettato, solo per difendere qualche bambino. Non è solo la paura a dettare un comportamento di omertà, ma la convinzione che in fondo le persone non sono tutte eguali: c’è una gerarchia e in fondo alla scala ci sono i bambini.
Quanto tempo ancora ci vorrà, perché le cose cambino davvero? Perché, affinché le cose cambino, il cambiamento deve avvenire nel profondo.
E i segnali che provengono dal mondo delle comunicazioni di massa non sono confortanti. Un esempio? Un personaggio televisivo abbastanza noto, con voce fremente di sdegno, invitava gli abitanti di quel condominio di Caivano a vergognarsi del loro atteggiamento di omertà: aveva ragione, ma ancora di più ne avrebbe avuta, se avesse riflettuto al pulpito da cui stava tuonando.
Dimenticava, infatti, che l’emittente televisiva, che in quel momento l’ospitava, apparteneva, o era appartenuta, ad uno che ha rappresentato l’Italia ai massimi vertici istituzionali e al quale il compito carico di onori e di oneri non aveva insegnato né la dignità né la discrezione.
Confesso lo sdegno con il quale lo vidi prodursi in spettacoli di doppi sensi tanto più offensivi, quanto più a buon mercato, nei confronti di donne che (divertite o no, concordi o no, questo non ha alcuna importanza) in quel momento erano lì a svolgere il loro lavoro. Quelle battute e quel linguaggio, che una volta si dicevano “da caserma”, i miei compagni di gioventù ed io li avevamo respinti con disgusto e fastidio. Vederli ora adoperati da chi mi aveva rappresentato di fronte al mondo non faceva che aumentare la mia collera.
Ma il mio sdegno era rivolto anche e soprattutto ai presenti, ai dirigenti della società per cui la donna lavorava, i quali applaudivano entusiasticamente, e al pubblico che andava in visibilio di fronte all’esibizione della volgarità più becera.
Segno di un degradarsi dei costumi e del buon gusto.
Che cosa c’entra questo, con i fatti di Caivano? Ahimé, se non lo comprendi da solo, abbiamo poca speranza di risollevarci.
Il fondo comune è l’accettazione della violenza quando a farla sia il più forte: e la violenza ha mille sfaccettature, non si presenta con le stesse caratteristiche esterne. Ognuno è violento a suo modo: il “mostro” di Caivano la fa con i propri mezzi, l’ex presidente del Consiglio con i suoi. La sostanza non cambia, come non cambia l’atteggiamento di omertà da parte di chi sa e vede. In questo, i dirigenti e il pubblico presenti all’indecente spettacolo non erano migliori degli abitanti di Caivano.
E se il personaggio televisivo che tuonava ai Caivanesi di vergognarsi non comprende il filo che collega gli stessi al potente padrone di televisioni, forse è bene che rifletta se non è il caso che un po’ si vergogni anche lui.
Vorrei a questo punto davvero conoscere la tua opinione, perché è inutile “fare il presepe” se si resta indifferenti di fronte alla strage dei Santi Innocenti che è perpetrata continuamente.
Ma di ciò riparleremo.
Un altro importante articolo che ci fa comprendere ancora una volta come nel presepe ci sia proprio tutto. Non credo sia un caso che si sia soffermato sull’espressione inadeguata della statuina di Erode, forse è indizio di come non si colga appieno l’orrore legato a questo personaggio? Davvero ogni volta che ci si permette un atto di violenza o prepotenza verso qualcuno solamente perché in quel momento si è dalla parte della forza o semplicemente si accetta che lo facciano altri per pigrizia, paura o quieto vivere, non ci si rende migliori degli sgherri di Erode e collocarli sul presepe può essere un buon modo per ricordarlo.
Grazie, caro signor Francesco, della sua conferma: e devo dirle che ha compreso perfettamente le mie intenzioni.E sarebbe significativo cominciare a mettere sul presepe la statuina di Erode con le fattezze del prepotente di turno.
La mostrosuità dei fatti di Caivano ci sgomenta, ci lascia storditi, ma per un breve periodo, inesorabilmente ritorniamo al quotidiano. Dimentichiamo facilmente e li ricordiamo, in una macabra composizione, quando si ripetono. L’amico Italo distingue gli Erodi di turno e trova un denominatore comune, una relazione di proporzionalità tra il potere e la capacità di violenza. Ci invita a riflettere, a discutere, ad analizzare le varie forme di violenza. Non siamo disarmati, alle spalle abbiamo storia, filosofia, cultura. Rileggiamoli con più attenzione
Caro Guido, è proprio come tu dici: siamo pronti a sgomentarci di fronte a fatti di inaudita crudeltà, ma siamo altrettanto pronti a dimenticare. E, di certo, non dimenticheremmo, se fossimo abituati a cogliere anche il più piccolo gesto di prepotenza per quello che esso è: violenza e basta. Ma, se ricordi, a offrirmi lo spunto fosti proprio tu, con una tua osservazione. Riprenderemo l’argomento per approfondirlo.