Santa Lucia è la santa della luce e del solstizio d’inverno. Sotto il suo segno sono posti il cammino presepiale e il cammino di Dante verso la luce.
Santa Lucia è una giovane santa, martire di Sicilia, molto venerata a Napoli, dove le è intitolato un popolare quartiere sulla riva del mare, abitato nel passato soprattutto da pescatori e reso celebre anche da una canzone: il mare, prima di arretrare per la costruzione di via Partenope, arrivava fin sotto la chiesa di Santa Maria della Catena, detta così, pare, proprio dalla catena cui potevano essere ancorate le barche.
La chiesa intitolata alla Santa si trova un po’ più sù, proprio all’inizio della strada.
Poiché nel corso del martirio le furono strappati gli occhi, ella è la protettrice della vista e di tutti coloro che con essa hanno a che fare, come oculisti, ottici ed optometristi.
Naturalmente, sia per il nome, sia per la qualità del martirio, è collegata con la “luce”, nel duplice significato di luce fisica e luce spirituale.
Santa Lucia è, nel sentimento popolare, anche la Santa del solstizio, colei che è quindi garante del ritorno della “luce”.
Vi è stato, infatti, un tempo in cui il solstizio d’inverno cadeva il 13 dicembre, festa di Santa Lucia.
Credo che tutti abbiano la nozione di solstizio, fenomeno astronomico connesso all’altro, altrettanto importante, che è l’equinozio. Ma voglio richiamartela, non da un punto di vista scientifico (non ne avrei la necessaria competenza), ma da un punto di vista dei nostri sensi e quindi simbolico.
Il giorno si divide in ore di luce e in ore di buio, ma non in maniera eguale: ci sono periodi in cui prevalgono le ore della luce, altri in cui prevalgono le ore del buio. Solo in due giorni dell’anno, il 21 marzo e il 23 settembre, il giorno si divide equamente in dodici ore di luce e dodici ore di buio. Sono appunto le date degli “equinozi”, in cui, come dice la parola stessa, la “notte” è “equa” con il giorno. Partiamo dal 23 settembre.
Ci accorgiamo che, lentamente, ma incessantemente, il tempo della luce diminuisce, a vantaggio del tempo del buio. Si tratta di una diminuzione impercettibile, di alcuni minuti ogni giorno, ma dopo qualche settimana il divario si fa sensibile, fino a diventare inquietante, quando le giornate si accorciano, le tenebre calando sempre più presto.
Ora ti invito a dimenticare per un momento le nostre moderne comodità offerte dalla straordinaria invenzione dell’elettricità, per cui ci basta premere qualche pulsante per avere luce e calore. Sarà probabilmente solo dalla bolletta che ci accorgeremo che abbiamo avuto bisogno di un maggiore quantitativo di energia elettrica.
Pensa, invece, con uno sforzo della fantasia, alle epoche antiche, quando le conoscenze scientifiche erano limitate e solo pochi sapienti comprendevano il meccanismo dei cieli con i loro astri: era allora con grande apprensione che si assisteva al lento accorciarsi delle giornate, che faceva nascere il timore che il sole potesse ben presto essere ingoiato dalle tenebre e non dare più al mondo la sua luce e il suo calore.
Naturalmente, l’esperienza aveva insegnato che prima o poi il sole avrebbe ripreso il sopravvento: ma era, appunto, un’esperienza. Questo significa che niente garantisce che quest’anno si verifichi ancora quello che è accaduto fin ora. Può sempre venire il momento in cui il sole non riprenderà il sopravvento sulle tenebre.
Per questo, i giorni che precedono il solstizio sono giorni pericolosi, i più pericolosi in assoluto, per l’umanità e per l’intero universo, che rischia di precipitare nel buio e nel gelo.
E immaginati poi la gioia, dopo il timore della scomparsa, per il sole che nuovamente riprendeva la sua marcia trionfante. Perché “solstizio” vuol dire proprio questo: il sole arresta (la parola “solstizio” ha in sé la radice del verbo “stare”) il suo cammino verso l’estinzione e riacquista vigore. Per questo, qualche giorno dopo il 21 dicembre, gli antichi festeggiavano il trionfo del Sole che ancora una volta usciva vittorioso dalla lotta contro le tenebre.
Nell’antichità pagana la festa era intitolata a Mitra, il Sol invictus: dopo l’affermazione del Cristianesimo, la festa fu dedicata, come ho già detto qui, a Gesù Cristo, vero Sole del mondo, di cui il sole naturale è solo un segnacolo nella volta del cielo.
Ma c’è un fenomeno astronomico alquanto complesso, dovuto al fatto che l’anno solare non è di 365 giorni precisi: c’era una discrepanza, dell’ordine di una decina di minuti, tra il calendario giuliano e l’anno solare: sommandosi nel corso dei secoli, questi minuti di differenza portarono a retrodatare il solstizio d’inverno, fino a che esso cadde al 13 dicembre, giorno di Santa Lucia. Fu solo nel 1582, che, per volontà del papa Gregorio XIII, si pose mano a una riforma del calendario che rimise le cose a posto e che riportò al 21 dicembre la data del solstizio. Per questo il calendario che noi seguiamo porta il titolo di “gregoriano”.
Da un punto di vista scientifico, la questione è naturalmente molto più complessa di come l’ho spiegata io. Ma, per i nostri fini, basta tenere presente che, nel sentimento popolare, la festa di Santa Lucia coincide ancora oggi con il giorno più corto dell’anno. E tale era sentita, con maggiore aderenza alla realtà astronomica, anche al tempo di Dante.
Nel corso della Divina Commedia, Dante mostra una particolare devozione per Santa Lucia. Fin dal secondo canto dell’Inferno. Ti richiamo il contesto.
Guidato da Virgilio, Dante ha intrapreso il viaggio oltremondano: ma, mentre discendono le ombre della sera, è preso dal timore di non essere all’altezza del compito che gli è stato assegnato dall’Alto. Sta quasi per tirarsi indietro e tocca a Virgilio rincuorarlo, parlandogli del decisivo intervento in suo favore di tre donne del Cielo, mentre andava vagando per la “selva oscura”. La prima era stata la Vergine Maria (la “donna gentile”) che aveva fatto chiamare Santa Lucia (“nimica di ciascun crudele”), la quale a sua volta aveva incaricato Beatrice (“loda di Dio vera”), perché si muovesse per la salvezza di Dante: una Triade Femminile, dunque, che contempera e mitiga la severità della Trinità Divina.
Incisione di Gustave Doré
Beatrice era quindi discesa al Limbo, per chiedere a Virgilio di andare incontro a Dante, di trarlo fuori dalla “selva oscura” e guidarlo per i primi due regni oltremondani.
Nel Purgatorio, dopo avere conversato con importanti personaggi nella “Valletta dei Principi”, Dante si addormenta ai piedi dell’alta costa montana, difficile da scalare, che rappresenta quindi un grave ostacolo sul cammino della purificazione. Mentre dorme, Dante ha la visione di un’aquila che lo afferra con gli artigli e lo trae sù: destatosi, viene a sapere da Virgilio che, mentre egli dormiva, una donna, presentatasi come Lucia, lo ha preso tra le braccia e lo ha portato in alto, deponendolo proprio di fronte alla porta del Purgatorio (canto IX). Ancora una volta, l’intervento di Santa Lucia è stato decisivo per la salute spirituale di Dante.
Il poeta potrà contemplare finalmente la Santa, in Paradiso, accanto a Sant’Anna, la madre della Madonna, e a San Giovanni Battista, il Precursore, il Santo del solstizio d’estate.
Come puoi vedere, ancora una volta i due momenti sapienziali più significativi della nostra cultura, Dante e il presepe, si incontrano, nel mostrarci il cammino verso la “salvezza”, ponendolo sotto il segno della Santa della luce, che non esitò a sacrificare la sua giovane vita perché gli uomini fossero illuminati dal Verbo fatto Carne, Vero Sole del mondo.
E tu, quali usanze conosci che possono collegare la festa di Santa Lucia alla tradizione del presepe?
prof.. sono sicuramente off topic, ma cerchi di perdonarmi..
la domanda me l’ha fatta venire alla mente il parlare di luce, in un momento di profonda oscurità e ignoranza dell’altro..
come valuta quella strana forma di rispetto che ha portato alcuni Suoi colleghi ad impedire l’allestimento di presepi nella Scuola?
Naturalmente ne penso tutto il male possibile. Su queste stesse pagine ho già espresso il pensiero che il rispetto per le idee altrui non significa la rinuncia alle proprie. Anche se questi atteggiamenti significano più spesso che, di idee, non se ne hanno neppure. Non vedo, infatti, come una tradizione propria dell’Italia possa offendere chi in Italia ci viene, o ci è nato perché ci sono venuti i suoi genitori. Non si rendono conto, questi presidi ed insegnanti, di tradire quella cultura per la cui difesa sono pagati: è lo stesso atteggiamento di quegli insegnanti di italiano che non spiegano la Divina Commedia perché atei, o di quegli insegnanti di filosofia che per la stessa ragione saltano da Plotino a Cartesio, non ritenendo Agostino e Tommaso dei pensatori validi, soltanto perché insigniti del titolo di “santi”. Confondono cioè la libertà di insegnamento con la licenza di fare il proprio comodo. Credo che qualcuno del genere l’hai incontrato anche tu. E che succederà il giorno in cui gli immigrati diranno di essere offesi dalle statue che adornano le nostre piazze e le nostre vie? Saranno pronti, questi tali che confondono rispetto ed acquiescenza, ad appoggiare la richiesta della rimozione della guglia dell’Immacolata in piazza del Gesù a Napoli? E, naturalmente, di tutti gli altri monumenti sacri? Ma, se poi vogliamo spingerci più oltre, poiché ebrei e musulmani si attengono strettamente al precetto di non farsi immagini di esseri viventi, appoggeranno anche la richiesta di rimozione della statua di Giordano Bruno da Campo dei Fiori a Roma? Insomma, non si accorgono che, partendo dalla rinuncia al presepe, si innesca un meccanismo pericolosissimo che può portare allo snaturamento del nostro paese e della nostra cultura. Con tutte le conseguenze.
Il nostro Paese riconosce in Dante e nel presepe due momenti sapienziali di profondo valore: non sono pochi i non credenti che “fanno il presepe” in omaggio alla tradizione. Un bellissimo presepe in sughero l’ho visto costruito dal mio amico Elio Catalano, che non era “credente” nel senso comune di questa parola. Di esso ho già mostrato alcune immagini ed altre ne mostrerò ancora. Grazie per avermi letto e avermi scritto.
Via Santa Lucia, chiesa di Santa Maria della Catena.
Anche ora, caro Professore, mi è venuta in mente “la cara e buona immagine paterna” del nostro comune amico, Padre Giuseppe Rassello.
Sul finire della sua esistenza, proprio negli ultimi due anni di vita, Padre Giuseppe diceva Messa qui, in questa famosa chiesa che ancora oggi conserva i resti mortali dell’Ammiraglio Francesco Caracciolo, celebre “luciano” ucciso da Nelson e gettato in mare per aver aderito alla Repubblica Napoletana del 1799.
E’ vero, un tempo via Santa Lucia era assolata, sfolgorante di “luce”, colorata, profumata, piena di venditori di pesce, taralli, ‘mummarelle’ ed acqua sulfurea le cui sorgenti, oggi del tutto scomparse sotto gli enormi e gelidi palazzoni, erano celebri per le loro qualità terapeutiche.
Della Santa Lucia di un tempo, però, restano le foto di Giorgio Sommer, un coloratissimo quadro di Vincenzo Migliaro, nonchè…una spettacolare ripresa dei fratelli Lumiere, a Napoli alla fine dell’ 800, come attesta questo straordinario video che ho trovato di recente su yuotube.it :
https://www.youtube.com/watch?v=a1NRSXbBSoQ
Testimone della Santa Lucia di un tempo, oramai passata ed irrimediabilmente negata alla Storia, è anche il nostro Ferdinando Russo che nella sua poesia ” ‘O luciano d’ ‘o Rre ” ne rievoca la bellezza, i colori, l’allegria, la gioventù, in virtù di quel sacro principio che “…sol nel passato è il bello”.
Ma ecco i versi iniziali di questa poesia che invito, però, a leggere integralmente:
Addò se vére cchiù, Santo Lucia?
Addò sentite cchiù l’addore ‘e mare?
Nce hanno luvato ‘o mmeglio, ‘e chesta via!
N’hanno cacciato anfino ‘e marenare!
E pure, te facea tant’allegria,
cu chelli bbancarelle ‘e ‘lastricare!
‘O munno vota sempe e vota ‘ntutto!
Se scarta ‘o bello, e se ncuraggia ‘o brutto!
Ah, comme tutto cagna! A tiempo ‘e tata,
ccà se tuccava ‘o mare cu nu rito!
Mo ncopp’ ‘o mare passa n’ata strata,
tutto va caro, e niente è sapurito!
Santa Lucia m’ha prutiggiuto sempe!
M’ha rata ‘a vista ‘e ll’uocchie, pe’ verè
ca l’ommo cagna comme cagna ‘o tiempe,
e ca chi sa che véne, appriesso a me!
E con questi versi, caro Professore, non mi resta che augurarVi una buona notte!
A presto, anzi prestissimo!
Spero, caro Giovanni, che anche altri leggano il tuo commento e così visualizzino lo straordinario documento dei fratelli Lumière. Ma credo che ora dovrò darmi da fare per “tradurre” la poesia di Russo: infatti, i nostri amici non sono solo di Napoli e credo che farà loro piacere leggere il testo con la “traduzione” a fronte. In quanto a Caracciolo, sono d’accordo con il giudizio su Nelson, che disonorò la sua divisa, la sua bandiera e la sua patria con il tradimento ai danni dei giacobini del 1799. Ma la figura di Caracciolo non mi è simpatica, come non mi sono simpatici tutti i rivoluzionari di quell’anno, perché aprirono le porte a quello che era un esercito straniero, venuto a conquistare e a rubare. La condanna storica del loro agire venne già dal Cuoco. Io li ho ammirati solo per la dignità con cui affrontarono il “tradimento” e la morte. Non amo i Borbone, vendicativi, arretrati e forcaioli; detesto i Savoia, saccheggiatori del Sud, ma respingo chi tradisce la patria. E, nella mia visione, per mancanza di chiarezza di idee, i giacobini del ’99 tradirono la loro patria napoletana. Ma tutto questo, forse, con il presepe non c’entra: però mi fa piacere lo stesso parlarne.