Il Museo di San Martino, collocato in un’antica Certosa, è il museo della città di Napoli e ne raccoglie i documenti storici e artistici. Tra questi ci sono il popolarissimo “presepe Cuciniello” e la Tavola Strozzi, la più antica raffigurazione della città di Napoli, del XV secolo.
La Tavola Strozzi è uno straordinario documento iconografico, la prima veduta della città di Napoli. Non l’ho mai guardata senza un fremito di commozione, e una delle maggiori soddisfazioni nella mia vita di insegnante è stata quella di avere trasmesso questo sentimento ai miei allievi.
Un anno, avevo appena accennato a questa celebre immagine, che il giorno successivo i ragazzi ne avevano trovata una riproduzione e l’avevano portata in classe. La incorniciammo, l’appendemmo alla parete dietro la cattedra e lì ci tenne compagnia tutto l’anno.
Poi, io lasciai quella classe che proseguì il suo cammino nel triennio liceale. Ma la Tavola Strozzi restò lì con loro, fino all’esame di Stato, a testimoniare lo stretto rapporto che essi avevano instaurato con la città di Napoli.
Questo eccezionale documento, dopo una serie di vicissitudini, è ora approdato definitivamente al Museo di San Martino, che è il Museo della città di Napoli, ospitato nell’antica Certosa, dove occupa il posto d’onore tra le rappresentazioni cartografiche della nostra Città..
Se vieni a Napoli, non tralasciare di salire sulla collina di San Martino e di visitare questo Museo, anche perché vi è ospitato il più celebre dei presepi con pastori del Settecento, il presepe Cuciniello del quale ho già parlato qui.
Altri presepi minori, alcuni appartenenti alla categoria delle curiosità, come il presepe in miniatura nel guscio d’uovo, trovano posto nelle bacheche e una quantità impressionante di pastori vestiti fanno bella mostra di sé nelle vetrine.
Se vuoi sapere “tutto” sui presepi esposti in questo museo, puoi ricorrere a questo bel libriccino, opera di una studiosa che del museo stesso fu anche direttrice: Marina Picone, Presepi a San Martino, del 1964. La prefazione è dell’insigne studioso Gino (don Biagio) Doria, cui tanto deve la cultura napoletana.
Ma, prima ancora di visitare le sale del presepe, ti consiglio di soffermarti davanti a questa veduta di Napoli.
Attirerà la tua attenzione proprio l’altura che domina la Città: ben visibile è la Certosa, dove ora ci troviamo. Alle sue spalle è il Belforte, che dagli Spagnoli sarà trasformato nel Castel Sant’Elmo.
L’idea che ci si fa è di una città compatta, chiusa tra il cerchio delle colline (San Martino, Capodimonte e Capodichino) da una parte e il mare dall’altra. La linea di mura lungo la costa lascia intuire l’altra, non visibile, sul lato opposto: una fortificazione formidabile che la presenta come città preparata a sostenere gli assalti nemici, in quelle epoche di guerre continue e testimonia di un fatto che le antiche cronache mettono continuamente in risalto, cioè che Napoli non fu mai conquistata dal nemico con il valore delle armi, ma sempre e soltanto grazie al tradimento.
Il quadro celebra un episodio della storia del Regno: il rientro della flotta aragonese dopo la vittoria riportata sul pretendente angioino, al largo dell’isola d’Ischia (1465).
Sono riconoscibili le navi angioine, catturate e disalberate, al seguito delle vittoriose navi aragonesi.
Ironia della storia: questa splendida tavola illustra la sconfitta della dinastia angioina e nel medesimo tempo documenta la grandiosità a cui proprio quella stessa dinastia aveva portato la città di Napoli.
Infatti, le emergenze che si impongono alla vista sono appunto le moli delle costruzioni fatte eseguire dagli Angioini.
Ti indico le più facilmente riconoscibili.
Innanzitutto, il Castel Nuovo, conosciuto appunto come “Maschio Angioino”, e sulle cartoline illustrate è diventato un po’ il simbolo di Napoli.
La mole che spicca maggiormente è la chiesa di Santa Chiara, voluta dalla regina Sancia, moglie di Re Roberto d’Angiò. La visione offerta dalla nostra tavola è soltanto di poco diversa da quella che si ha nella realtà, provenendo da piazza Municipio.
Seguono poi la chiesa di San Domenico Maggiore, di San Lorenzo Maggiore e il Duomo, visto quest’ultimo dal lato sinistro e elevato su un’altura, come è in effetti.
L’altra mole, massiccia e squadrata, è la chiesa di San Giovanni a Carbonara, che allora si trovava fuori la cinta muraria.
In basso, all’estremità a destra, c’è la chiesa del Carmine, che già allora aveva un alto campanile, oggi di stile diverso e che è celebre per il cosiddetto “incendio del campanile”, uno spettacolo pirotecnico in occasione della festa della “Madonna del Carmine”.
Questi sono, naturalmente, i monumenti che ti consiglio di non trascurare, in una visita a Napoli. Se sei napoletano, già conosci bene queste chiese, e puoi godere con maggiore consapevolezza l’accuratezza topografica della Tavola Strozzi.
Tutte chiese dunque che vale la pena di visitare, anche ai fini del nostro discorso principale, perché in quasi tutte è custodito qualche esempio dell’arte presepiale. Come, infatti, ho altre volte avvertito, per esempio qui, l’arte del presepe napoletano non può essere staccata dalla topografia e dalle altre altre manifestazioni artistiche della città di Napoli.
La Tavola Strozzi fu eseguita a Firenze, poco tempo dopo l’avvenimento narrato, e fu scoperta in questa città nel 1901 dallo storico dell’arte Corrado Ricci. Essa rappresenta un altro legame tra le due splendide città italiane. Napoli accolse subito entusiasticamente la Divina Commedia e Firenze donò a Napoli la sua prima più commovente raffigurazione.
E tu, hai mai cercato le raffigurazioni topografiche della tua città, per percorrerne le strade con maggiore consapevolezza storica e, diciamolo pure, con più profondo affetto filiale?
Se non l’hai ancora fatto, ti invito a farlo: vedrai come è bello ed entusiasmante scoprire sotto le immagini del presente le tracce di quel passato, nel quale affondano le nostre radici.
Ciao Italo,
volevo farti due domande: la prima riguarda il nome “Strozzi”, ma è della famosa e facoltosa famiglia fiorentina? E poi sai se il Doria è stato sepolto dalle mie parti, forse a Massa Lubrense?
Grazie
Mariano
Caro Mariano, posso subito rispondere affermativamente a tutte e due le domande.
Con il nome “Strozzi” ci si riferisce proprio alla potente e ricca famiglia fiorentina, che aveva dato il suo concreto appoggio alla causa aragonese. Per questa ragione, qualcuno della famiglia fece adornare un cassone, forse nuziale, con il ricordo di quella vittoria cui gli Strozzi avevano contribuito. La Tavola suscitò, alla sua scoperta, un grande entusiasmo: la commentò subito Benedetto Croce, che però non ne diede una giusta interpretazione. Il vero significato fu chiarito, qualche tempo dopo, dallo Spinazzola. Su questo documento certamente ritornerò.
In quanto a Gino Doria, giornalista, bibliofilo ed erudito, è sepolto effettivamente a Massa Lubrense per sua espressa volontà. Anche di “Don Biagio” mi propongo di scrivere su queste pagine.
Grazie sempre per il tuo prezioso contributo.
Ah, caro Professore, l’incendio del campanile!
Proprio ieri sera, da buon napoletano, ero a piazza del Carmine per vedere tale evento e, ovviamente (sempre da buon napoletano!) anche per salutare la Madonna Bruna, la Vergine del Carmelo, ‘a Mamma d’ ‘o Carmene!
Quanto volte, soprattutto involontariamente, noi napoletani invochiamo l’icona della Vergine che si venera lì, in quelle piazze popolari e vive che sono piazza Mercato e piazza del Carmine?
La cosa non è certo sfuggita al nostro Eduardo (inutile scrivere il suo cognome! Lui stesso, infatti, si firmava solo “Eduardo”..e basta!) che nella sua celebre commedia “Natale in casa Cupiello”, dopo aver sorseggiato il caffè della moglie Concetta, alquanto disgustato, dice: “Mamma d’ ‘o Carmene, Cuncè, ti sei immortalata! ‘J che bbella schifezza ‘e cafè che ‘e fatto!”
Ecco il video:
https://www.youtube.com/watch?v=j85OvRlM7K4
E’ proprio lì, in quella piazza tanto cara ai partenopei, che pulsava il cuore di Napoli: pescivendoli ribelli, monaci, fruttivendoli, gente di tutte le razze, orgogliosa e fiera, hanno vissuto quei vicoli, hanno respirato quell’aria di mare illuminati dal sole che, dal Vesuvio, ne illuminava le botteghe, i pesci, la frutta, i banchi, il sangue delle decapitazioni, in quell’inconfondibile vociare di popolo spensierato e triste…tipico dei mercati in riva al mare.
La vera Napoli, quindi, così ricordata con malinconia da uno dei più validi ambasciatori della canzone napoletana, Renato Carosone:
“…adesso vorrei raccontarvi la mia infanzia, i miei primi anni in vico dei Tornieri, for’ ‘a marina, a due passi da piazza Mercato, cuore di una Napoli stracciona eppure nobilissima…”
E con queste parole, un caloroso saluto, caro Professore!
A presto
Giovanni
Grazie per il commento e per il link.
Grazie per il ricordo della Madonna Bruna, di cui mi toccherà parlare ben presto: avrei già dovuto farlo, ma non ne ho ancora trovato il coraggio.
Anche il forzuto Ercole, di fronte a una impresa impostagli da Euristeo, esclama: “Mamma d’o Carmine!”, almeno nell’interpretazione che della mitologia greca dà don Federico Sorice, l’ex bidello cantastorie di “Gli alunni del sole”, del nostro grande e ahimé dimenticato Giuseppe Marotta.
Anche la piazza del Carmine è oggetto di una commossa rievocazione nello stesso libro, che è uno dei miei preferiti.
Tuttavia, l’esclamazione esce dai petti dei maschi napoletani, soprattutto al passare di giunoniche presenze che incutono ammirazione e timore. Infatti, l’espressione questo indica: rispetto, ammirazione, paura, meraviglia, come di fronte ai tremendi e pur mirabili spettacoli della Natura: “Mamma d’o Carmine!” è insieme ringraziamento e richiesta di protezione.
Ero, una volta di tanti anni fa, in piazza Carità (oggi piazza Salvo D’Acquisto, il nostro Carabiniere, gloria dell’Arma e d’Italia), quando passò una giovane donna, fasciata in maglietta e pantaloni così aderenti da farla sembrare come senza veli. A quella notevole apparizione, prendendo a prestito i versi di Guido Cavalcanti, pensai: “Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira, che fa tremar di chiaritate l’aure?”: ma, accanto a me, un uomo del popolo esclamò: “Mamma d’o Carmine!”.
In fondo, si equivalevano così le emozioni come le espressioni dell’uomo dotto e dell’uomo del popolo.
Ma, lo confesso, mi sembrò che il grande Guido impallidisse, annichilito dalla forza prorompente dell’invocazione alla Bruna Madonna, protettrice di Napoli e dei Napoletani.
Credo proprio che tornerò sull’argomento.
E’ proprio vero, caro Professore! Giuseppe Marotta non tutti lo conoscono.
Eppure credo (ed è solo una mia opinione) che sia lo scrittore napoletano che, forse più di tutti, è entrato nell’animo partenopeo, nei suoi tormenti e nelle sue speranze, senza mai cadere in un inutile pietismo; anzi, con i suoi scritti ha fatto conoscere ai suoi lettori di quale vera ‘pasta’ è fatto quel popolo che da quasi tremila anni abita il più bel golfo della Terra!
Proprio l’altra sera sono passato per via Santa Teresa degli Scalzi e, come sempre faccio, ho buttato un occhio alla chiesa di Sant’Agostino degli Scalzi,”la chiesa delle chiese”, come la definiva proprio Marotta.
Mi è affiorato alla mente, infatti, quel bel capitolo de “L’oro di Napoli” titolato ‘Ci parlerà in dialetto’, ambientato proprio lì, tra quelle sacre mura che videro il nostro Giuseppe bambino aggirarsi, scherzare, ridere, correre…come un qualsiasi scugnizzo di Vincenzo Gemito.
E’ il capitolo del ritorno alle origini, alla fonte dei colori e dei profumi, a quella che fu l’età dell’oro e della spensieratezza, il capitolo della malinconia resa ancora più amara dall’incontro con il suo vecchio sacerdote oramai invecchiato.
“…e quello che cercai mattina e sera
tanti e tanti anni in vano, è forse qui…”
Carducci docet !
E’ il desiderio di ogni uomo, credo, ritornare alle origini…ma nei Napoletani questo sentimento è più forte!
Ogni Napoletano, scaraventato fuori dalla sua terra per gli imperscrutabili voleri del Destino, non desidera altro che ritornare all’ombra del Vesuvio, come il greco Ulisse alla sua Itaca.
“…ma ei non brama che veder dai tetti
sbalzar della sua dolce Itaca il fumo,
e poi chiuder per sempre al giorno i lumi…” (Odissea, canto I)
Ah già, me ne ero dimenticato: noi siamo figli dei Greci !
Buona serata, Professore, e sempre grazie di cuore per i preziosi articoli che pubblicate !
Carissimo prof.,
Nonostante che io fossi di Napoli, non ne ero a grande conoscenza della importanza della Tavola Strozzi contenuta all’interno del Maschio Angioino. Eppure ricordo che all’incirca quattro/cinque anni fa la mia insegnante di italiano del liceo me lo ha accennato rapidamente ma sfortunatamente io e molti altri abbiamo ignorato quello che lei ci disse a proposito. Ricordo soltanto che si tratta di un dipinto ignoto ma nient’altro.
In complesso, leggendo questo articolo mi ha commosso e ora mi sento veramente motivato nel vedere il museo al più presto. In poche parole, mi ha convinto a visitare questo museo!
Grazie di avermi scritto e, soprattutto, di esserti lasciato “convincere” a visitare il Museo con maggiore consapevolezza. Del resto, è proprio questa la finalità per cui scrivo i miei articoli: perciò, quando qualcuno va a vedere un museo o acquista e legge un libro di cui ho parlato, so di non scrivere inutilmente.