San Biagio è uno dei santi tutelari della città di Napoli, protettore dai mali che possono colpire la gola; è anche uno dei “santi vecchi” la cui festa è connessa con il Natale. A San Biagio è, infatti, tradizione che si riponga il presepe. Ho ritrovato la sua storia in un affresco nella chiesa di Santa Maria del Granato, sul monte Calpazio, nel Cilento.
Per ognuno c’è un angolo di mondo che più degli altri gli piace, gli “arride”, più di ogni altro gli suscita ricordi ed emozioni. “Ille terrarum mihi semper praeter omnes angulus ridet”: “quell’angolo di mondo più di ogni altri m’arride” è una frase di Orazio che Benedetto Croce pose all’inizio di un capitolo di Storie e leggende napoletane, un libro la cui lettura, naturalmente, ti consiglio.
Il filosofo napoletano (d’adozione) aveva il suo angolo prediletto lì dove, nel centro antico di Napoli, il Decumano inferiore, la celebre arteria che i Napoletani chiamano, con nome “parlante”, Spaccanapoli, incrocia via S. Sebastiano con il prolungamento di vicolo S. Chiara: dalla finestra di casa sua, nella via che si chiamava allora “Trinità Maggiore” e porta ora il suo nome, egli poteva vedere monumenti carichi di memorie storiche, il quadrivio di Santa Chiara, con il campanile della nota basilica, con la chiesetta di Santa Marta, l’altra di S. Francesco delle Monache, il palazzo del principe di Salerno, la casa di Bernardino Rota.
A me “arrideva” e tuttora continua ad “arridere” un altro quadrivio, nel decumano maggiore, la cosiddetta via dei Tribunali, nel punto in cui questa incrocia via Atri con la prosecuzione di vico Nilo: anche in quest’angolo si addensano memorie “di uomini e di cose”, soprattutto con un monumento che per i più è poco appariscente, mentre è uno dei più interessanti della vecchia Napoli, la Cappella di Giovanni Gioviano Pontano, il grande poeta e politico dell’Umanesimo meridionale. Davanti alle iscrizioni latine, piene di nobili sentimenti verso l’umanità e la patria, sostavo fin dai miei giovani anni, finché le illustrai in un piccolo volume che ritengo uno dei miei migliori libri, Il libro di Pietra, pubblicato dalle Edizioni Domenicane Italiane nel 2014.
Ma ancor più mi “arride” un altro quadrivio, nel decumano inferiore, dove Spaccanapoli, nel tratto denominato San Biagio dei Librai, incrocia via San Gregorio Armeno, la via dei presepi, con la prosecuzione di via dei Figurari.
In quest’angolo, la tradizione pone la casa napoletana del vescovo e martire Gennaro, patrono di Napoli. A lungo, si protrasse la polemica tra Napoli e Benevento, per la gloria di essere stata il luogo di nascita del Santo, del quale si sa con certezza che fu vescovo di Benevento, ma resta ignoto tuttora il luogo di origine. Ma dove tacciono i documenti, parla la leggenda.
E la leggenda pone la casa natale di San Gennaro proprio in questo luogo dedicato alla statuaria sacra e alla cultura del presepe. Qualche anno dopo la fine della seconda a guerra mondiale, delle famiglie devote fecero porre una lapide con la quale attestavano la loro fede, commovente nella sua ingenuità, nella veridicità della tradizione. La puoi leggere qui di seguito.
A pochi passi di distanza, in via San Biagio, c’è la casa dove, da una modesta famiglia di librai, nacque il grande filosofo napoletano Giambattista Vico, che tanta importanza ebbe nella formazione del pensiero di Benedetto Croce.
Nel fondaco San Gregorio Armeno, poi, che è uno dei pochi fondaci superstiti a Napoli, nacque, secondo un’altra tradizione che raccolsi da piccolo, il grande scultore Giuseppe Sanmartino, le cui opere rendono ancora più preziose le chiese di Napoli.
E, proprio all’incrocio c’è la chiesa, piccola, ma importantissima, dedicata al vescovo e martire san Biagio, che, accanto a Gennaro, è uno dei santi tutelari della città di Napoli.
Oggi la chiesetta, una volta stracarica di ex voto d’argento, non è più dedicata al culto, ma vi ha sede un’istituzione significativa per la città di Napoli, la Fondazione Giambattista Vico, che ha la sua “gemella” in un’analoga istituzione a Vatolla, oggi frazione nel Cilento, dove il filosofo napoletano passò ben dieci anni della sua gioventù, istitutore ed ospite presso la nobile famiglia della Rocca.
San Biagio ha per i cultori del presepe un significato tutto particolare, essendo uno dei santi vecchi le cui feste sono in relazione con la festività del Natale. In particolare, il giorno di san Biagio, il 3 febbraio, è una delle date tradizionali per riporre il presepe, venendo subito dopo la festa della Purificazione della Vergine Maria (la Candelora), il 2 febbraio. Le due festività sono in stretta relazione, come mostra anche la liturgia della Chiesa Cattolica: il due febbraio si benedicono le candele (per cui il nome di Candelora) e con due candele incrociate il sacerdote invoca l’intercessione del Santo perché i fedeli siano protetti contro il mal di gola fisico e contro i mali spirituali.
Infatti, san Biagio è protettore contro il mal di gola: il suo miracolo più noto è quello operato nei confronti di un fanciullo che stava per morire, strozzato da una spina di pesce. Una bellissima statua nel tesoro di San Gennaro lo mostra nel momento in cui ottiene il miracolo: gli occhi levati al cielo e la mano sinistra sul capo del fanciullo. Essa fu lavorata dall’argentiere Francesco Sorrentino nel 1690; trafugata nel 1810, fu rifatta da Domenico Ferraro e Alfonso Pompameo, nel 1856, su disegno di Francesco Citarella. Questa statua è una di quelle che amo di più, quando, nella processione di San Gennaro, il sabato precedente la prima domenica di maggio, le immagini dei santi tutelari di Napoli passano per le strade del centro antico, portate a spalla dai loro fedeli.
Nel corso di una delle mie escursioni per i monti e le valli del Cilento, mi sono imbattuto in un bellissimo affresco che narra la storia di San Biagio. Si trova nella Chiesa del santuario della Madonna del Granato, costruito su uno sperone del monte Calpazio, da dove guarda su tutta l’ampia valle del Sele. Naturalmente, nel fotografarlo, evitai, come sempre, l’uso del flash, sia per rispetto al luogo, sia perché i lampi di luce violenta possono recare danno alla pittura: è una forma di riguardo nei confronti del sacro e dell’artistico, a cui invito anche te.
Uno dei quadri dell’affresco è dedicato, né poteva essere altrimenti, al miracolo ottenuto dal Santo, in favore del fanciullo, cui una spina di pesce infissa nella gola stava per causare la morte. L’iscrizione in latino recita : “Come san Biagio liberò il figlio unico di una donna, dalla spina di pesce che aveva ingoiata.
Tu forse ti sei spesso aggirato per i luoghi di cui ti ho parlato: ti sei mai soffermato a raccogliere questi “segni della memoria”, che attraverso la leggenda e la storia rinviano alla nostra più vera realtà interiore?