Razzullo, il personaggio comico della “Cantata dei pastori” del Perrucci, si può considerare come il prototipo del napoletano, costretto dalle circostanze ad essere esperto nell’arte di arrangiarsi, ma in fondo onesto e generoso, anche se affamato. Chi vuol saperne di più, può leggere il libro di Annibale Ruccello.
Ti parlo oggi di Razzullo, il personaggio comico della Cantata dei Pastori, portato sulla scena anche da Peppe Barra.
E voglio cominciare ricordando un bel libro, ormai vecchio, ma non per questo invecchiato, del quale ho già fatto cenno, e che ipotizza la correlazione tra la “Cantata dei pastori” e i personaggi del presepe popolare napoletano.
Il sole e la maschera, di Annibale Ruccello (antropologo, drammaturgo ed attore, morto purtroppo a soli trent’anni), fu pubblicato dall’editore Guida di Napoli, nel 1978.
La prima edizione del libro di Annibale Ruccello
Mi imbattei in questo libro nel corso delle mie ricerche sul simbolismo del presepe. Mi accorsi subito, fin dalle prime pagine, della distanza del metodo, che avrebbe condotto, naturalmente, a conclusioni diverse. Di questo libro, ripubblicato di recente, ti consiglio la lettura, in modo che tu possa operare il confronto con le tesi sostenute nelle mie pagine.
Infatti, come altre volte ti ho avvisato, nella interpretazione di un portato dell’arte tradizionale non si può mai pretendere di pronunciare la parola definitiva.
Il significato di un simbolo è, infatti, tale che una interpretazione univoca non può esaurirne la ricchezza.
Naturalmente, il libro offre una analisi antropologica anche di Razzullo, che è il personaggio comico, quello che nella rappresentazione deve assicurare la risata.
Io, qui, mi limito a presentartelo, in quanto prototipo del napoletano, o per lo meno di quello che si è sempre pensato essere il napoletano, diviso tra i bisogni impellenti dello stomaco e gli slanci altrettanto imperiosi del cuore.
Una delle caratteristiche della vera comicità, te ne sei senz’altro accorto nella frequentazione di film e di commedie, è che, per suscitare la risata, si punta sulle disavventure, sulle disgrazie del povero protagonista: tuttavia, questo è solo il primo passo, perché alla risata subentrano quasi subito la riflessione, che lascia un po’ di sapore amaro, e la compassione per la miseria della condizione umana. Un altro requisisito della comicità è che il personaggio, che la sorte deve bistrattare perché noi possiamo divertirci, sia fondamentalmente buono: se fosse cattivo, non potremmo provare simpatia o compassione per lui.
Razzullo, appena compare in scena, si presenta male in arnese, forse addirittura con il viso stravolto dalla fame, tanto che Benino non sa, a prima vista, decidere se si trova di fronte ad un uomo o ad una bestia. Razzullo prima comicamente s’offende, poi precisa: egli è una bestia, ma bestia razionale.
E, con questa definizione che risale al filosofo greco Aristotele, fa capire di avere una certa cultura: certo, non profonda, perché Aristotele è abbastanza noto, ma di certo Razzullo non è un analfabeta. E infatti è uno scrivano, venuto al seguito del preside Cerino, per il censimento voluto da Augusto.
Nel mondo antico, quello dello scrivano non era un bel mestiere, perché coincideva con il compito di esattore delle imposte: e si sa quanto sia esoso il fisco, sempre pronto a spremere come limoni i poveri e i deboli e a lasciare indenni i ricchi e i potenti …
… chiedo scusa, ho sbagliato: avrei dovuto dire “quanto fosse esoso il fisco, a quei tempi “, perché oggi è tutt’altra cosa: sei d’accordo con me, non è vero?
Razzullo è però napoletano ed anche orgoglioso di esserlo, fiero della nobile antichità della città da cui proviene:
songo de no paese
ch’a ‘o munno non c’è altro cchiù bello …
io songo de Palepole,
che mmo se chiamma Napule …
(sono di una città, della quale non vi è al mondo altra più bella … sono di Palepoli, che ora si chiama Napoli)
E non nega che il suo sia un brutto mestiere, perché, per esercitarlo, occorre essere di coscienza abbastanza larga, accettandone i compromessi e le azioni disoneste. Ora, Razzullo, se, per guadagnarsi la vita, è pronto a scendere a qualche compromesso (per esempio a falsificare qualche certificato, a battezzare qualche albero, perché risulti esserci un uomo in più) non può accettare di compiere vere e proprie canagliate, come rubare a danno dei poveri, tanto che alla fine ha lasciato il suo posto, per non fare l’abitudine alla disonestà.
Razzullo cerca un nuovo lavoro, che gli permetta di riempire la pancia vuota, che lo tormenta con le sue pressanti richieste.
Si imbatte nel cacciatore Cidonio e nel pescatore Ruscellio, che entrambi richiedono il suo aiuto per la loro arte e pretendono che decida in fretta con chi dei due vuole andare ed entrambi lo strattonano, per tirarlo ognuno dalla propria parte. Quindi entrambi lo abbandonano, disgustati perché il napoletano non ha saputo decidersi in fretta.
guarda a fortuna mia
me manna pe disgrazia le fortune, e non sapemmo come me spartire
aggio perduto a caccia, aggio perduta a pesca.
Cosa non pozzo fa, che mai me riesca.
(Guarda che fortuna è la mia: per disgrazia, mi manda due occasioni, e non sapendo come dividermi, ho perduto la caccia ed ho perduto la pesca. Non posso fare nulla che mi riesca)
Razzullo, infatti, non è uno scansafatiche: è pronto a lavorare, ad adattarsi anche a qualsiasi compito, ma sempre qualcosa gli si mette di traverso e lo lascia ancora una volta a pancia vuota.
Il tema della fame è un tema ricorrente, che, sotto il profilo antropologico, riveste una notevole importanza. Razzullo è disposto anche a scherzarci sopra, come si vede nell’episodio dell’incontro con il diavolo Belfegor, che è alla caccia di Maria e di Giuseppe per tentare di impedire la nascita di Gesù.
Dunque, Belfegor incontra Razzullo e, per prima cosa, gli dà del ladro.
Non lasciarti sfuggire l’ironia di questa scena: il principe dei malfattori che chiama “ladro” l’onesto viandante.
E Razzullo replica:
me ladro? Hai ragione: o core m’aggio arrubbato. Ma chisto
core è mio, anche se afflitto.
(Ladro a me? Hai ragione: mi son rubato il cuore. Ma questo cuore è mio, anche se addolorato)
Razzullo legato dai diavoli – dall’edizione “Canesi”
Allora Belfegor lo fa malmenare e legare da diavoli suoi seguaci, travestiti da banditi: vuol sapere da lui se ha visto un vecchio che si accompagna con una giovane donna. E Razzullo confessa di averli visti, anzi di averli addirittura in corpo.
Sta parlando, naturalmente, in linguaggio metaforico:
vecchio, è l’appetito antico ch’aggio; la femmina, è la fame che m’accide. Entrami ‘ncuorpo se proprio non lo cride.
(Il vecchio, è l’appetito che ho da sempre. La donna è la fame che mi uccide. Se proprio non ci credi, entrami in corpo)
Ma la gustosa metafora non piace a Belfegor, che lo fa legare ad un albero e abbandonare perché sia divorato dalle belve della foresta.
Liberato, per fortuna, da Maria e da Giuseppe, riconosce in loro i pellegrini di cui Belfegor è in cerca e il suo primo pensiero è di metterli in guardia da quella banda di malandrini.
Razzullo incontra nuovamente, in seguito, Belfegor, che si è travestito da oste e che lo assume come garzone. Ancora una volta l’affamato napoletano spera di poter saziare il suo appetito. Ma l’oste/diavolo si rifiuta di dargli da mangiare, fino a quando non abbia compiuto il suo lavoro e infine lo scaccia, infliggendogli una solenne bastonatura: e questo, perché Razzullo si è mostrato misericordioso verso il vecchio e la fanciulla, indicando loro un rifugio per la notte, mentre il diavolo aveva sperato che morissero assiderati.
Tra un’avventura e un’altra, il povero Razzullo riuscirà a mangiare una sola volta, ma digerirà in fretta il cibo di cui si è saziato, perché quel furfantello di Benino gli fa credere che fosse avvelenato.
Scena gustosissima, che io mi godo appieno, prestando a Razzullo le mobili fattezze del volto di Totò.
Ed è proprio a questo povero morto di fame, che, come dice lui stesso, si attira le disgrazie, che Perrucci fa dire le parole più belle e consolanti del suo dramma sacro, quando finalmente, a dispetto di tutti i tentativi dell’Abisso, il Vero Lume è nato nella povera mangiatoia. Inginocchiato con i pastori, adora anche lui il Bimbo Divino e dice:
Ed io, che so’ n’afflitto e sventurato, ch’aggio tanto passato, e desgrazie e pericule e travaglie, tutte le benedico, pecché aggio visto a prova ca pe ogne travaglio, Dio se trova.
Ecco, spero, con queste poche cose che ti ho detto di Razzullo, di averti fatto sorgere la curiosità di sapere di più, non solo su questo personaggio, ma anche sugli altri.
Soprattutto, mi auguro di averti invogliato a continuare la ricerca da solo, andando a leggere sia il testo della Cantata, sia il libro di Ruccello di cui ti ho parlato.
Ci vorrebbe, caro Italo, un bel testo a fronte su tre colonne partendo dalla Cantata dei Pastori, poi il libro di Ruccello ed infine le tue tesi: sai che meraviglia!
E poi quanto sarebbe bello riuscire a recitare, nei momenti difficili, le stesse parole di Razzullo: “Dio se trova.”
Un caro saluto
Mariano
Ci vorrebbe, caro Italo, un bel testo a fronte su tre colonne partendo dalla Cantata dei Pastori, poi il libro di Ruccello ed infine le tue tesi: sai che meraviglia!
E poi quanto sarebbe bello riuscire a recitare, nei momenti difficili, le stesse parole di Razzullo: “Dio se trova.”
Un caro saluto
Mariano
Ci si può sempre provare, e questo vale per entrambi i punti del tuo commento.
Grazie, comunque.