Racconto di Natale per cristiani e non credenti è il sottotitolo del dramma natalizio Bariona o il figlio del tuono, che il filosofo esistenzialista J. P. Sartre scrisse e rappresentò nel campo di prigionia tedesco, in cui si trovava nel 1940. Intorno al presepe possono raccogliersi, per trovarvi un punto d’incontro, persone di diversa fede e di diversa ideologia. Il dramma di un filosofo ateo è la migliore risposta alla superficiale forma di falsa tolleranza di chi non vuole che si faccia il presepe nelle scuole e in altri luoghi pubblici per “non offendere” la sensibilità di chi appartiene ad altra religione.
Che uno scrittore cristiano mettesse in scena un Racconto di Natale, cioè una sorta di sacra rappresentazione che avesse per oggetto la nascita di Gesù Cristo non desterebbe meraviglia; che a scrivere un dramma intitolato Racconto di Natale sia un filosofo ateo, convinto del proprio ateismo, può apparire un fatto singolare. Questo è quanto è avvenuto in circostanze eccezionali, ad opera di un filosofo e scrittore lui stesso eccezionale.
In un campo di prigionia tedesco, nel corso della seconda guerra mondiale, Jean-Paul Sartre scrisse il dramma natalizio Bariona, o il figlio del tuono (in francese, Bariona, ou le Fils du tonnerre), sollecitato dai compagni di prigionia, tra cui alcuni preti.
Jean-Paul Sartre è l’esponente principale dell’esistenzialismo moderno francese, di quella corrente filosofica, cioè, che considera l’esistenza un dato primario rispetto all’essenza, dell’individuale rispetto all’universale, del concreto rispetto all’astratto. Il filosofo presenta l’esistenzialismo come umanismo, cioè come una “religione dell’uomo”. Questo implica l’ateismo, come esigenza di libertà per l’uomo, libertà che è piena assunzione di responsabilità di fronte a se stessi e al mondo. L’onnipotenza di Dio limiterebbe la libertà dell’uomo e lo renderebbe incapace di assumersi in pieno la propria responsabilità: perciò, dice Sartre, se Dio esistesse, si dovrebbe fare ugualmente conto come se non esistesse.
L’ateismo di Sartre non è aggressivo, neppure intollerante e astioso, come lo si può invece notare in tanti atei che, insofferenti del fatto che altri uomini credano in Dio, sembrano ritenere la fede altrui quasi un’offesa personale. L’ateismo di Sartre è, al contrario, problematico e rispettoso, tanto che i testimoni riferiscono che, nel campo di prigionia, i migliori rapporti il filosofo li intratteneva con alcuni preti, dei quali apprezzava, condividendola, l’idea che la dittatura, negando la libertà dei cittadini, ne soffocava la dignità, fino a negare negli uomini il dato che essi sono fatti ad immagine di Dio.
Su queste basi, non è difficile rendersi conto che un ateismo il quale insista sulla responsabilità degli uomini l’uno verso l’altro, sulla difesa della libertà e dei diritti umani, sul rifiuto dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sia più vicino al cristianesimo, quale lo desiderarono i suoi primi predicatori, rispetto alla falsa religiosità di tanti cristiani, che nel Vangelo cercano solo l’appagamento della propria sentimentalità, quando non giungano a cercarvi la giustificazione dei propri privilegi e delle disuguaglianze sociali.
Cedendo alle richieste dei suoi compagni di prigionia, in poco tempo Sartre non solo scrisse, ma allestì la rappresentazione natalizia del suo dramma che intitolò Bariona, o il figlio del fuoco, apponendovi significativamente il sottotitolo di Racconto di Natale per cristiani e non credenti, per dire che nella nascita del Bambino Gesù potevano trovare un punto di incontro persone di idee diverse. Al punto che volle interpretare lui stesso il ruolo del Re Mago Baldassarre (uno dei Re Magi della tradizione, il vecchio) e, dopo la recita, prese parte ai canti natalizi.
Questo episodio non significò la conversione del filosofo, come ebbe a precisare lui stesso: egli restò ateo e in seguito approfondì le ragioni del proprio ateismo. Ma la stesura del dramma Bariona rappresentò un momento importante in cui il filosofo avvertì il fascino della tradizione natalizia, della rappresentazione presepiale, intorno alla quale ci si poteva radunare e incontrare al di là delle rispettive ideologie e delle rispettive religioni.
Il punto centrale della tradizione natalizia è, infatti, la nascita di un bambino, portatore di un messaggio eccezionale: nel Natale si glorifica non solo la nascita del Bambino Divino, ma ogni nascita, in quanto annunciatrice di un mondo nuovo, che si spera migliore.
Intorno al presepe si scontrano due opposte visioni della vita, queste, sì, davvero irriducibili l’una all’altra: quella della positività dell’esistenza e quella sua negatività: ho affrontato queste due concezioni, ognuna carica di conseguenze, nell’articolo su un’immagine del Bambino Gesù, modellata da mio padre Vincenzo, e un dialogo sui massimi sistemi che tenni con il mio amico Guido.
Il tema affrontato da Sartre nel Racconto di Natale è appunto questo: vale la pena di mettere al mondo nuove vite, altri uomini che saranno soggetti alla sofferenza, al dolore, alla morte, comune destino di tutti, e anche alle angherie di altri uomini, ugualmente infelici, che tuttavia si credono, e sono, più potenti e traggono profitto dalle sventure altrui?
Bariona è il capo di un povero villaggio della Palestina, al tempo della dominazione romana. Dalla capitale, da cui impera sul mondo, Ottaviano Augusto ha ordinato un censimento di tutti gli abitanti dell’Impero. Ma è anche impegnato in guerre di frontiera, lunghe, logoranti e costose. Per fare fronte alla richiesta di denaro da parte di Roma, il procuratore della Palestina ha deciso di aumentare il tributo che ogni abitante deve pagare: per la piccola comunità di cui Bariona è capo, si tratta di un duro colpo, poiché essa è già stremata, per i precedenti tributi, per la povertà dei pascoli, per l’abbandono da parte dei giovani che cercano lavoro nelle grandi città. Anche la ribellione armata è una strada impossibile da percorrere, di fronte alla potenza romana: e poi, nel villaggio non sono rimasti che vecchi inadatti a impugnare una spada. Di fronte alla situazione che sembra senza uscita, Bariona, per fare fronte non solo alla violenza e alla cupidigia dei dominatori, ma anche alla ingiustizia della storia e del mondo, non sa adottare che un’unica decisione: di legare gli abitanti del suo villaggio, sui quali, come capo, ha diritto di vita e di morte, con il giuramento di non procreare: in questo modo, la vita non si rinnoverà e i Romani, in una ventina d’anni, non avranno più chi sfruttare.
Nella decisione di Bariona, così come in tutte le sue parole, Sartre dà voce ad una antica concezione del mondo e della vita che è quella dello gnosticismo. Questa visione, che è antica almeno quanto il cristianesimo, si basa sull’idea che questo mondo è opera di un “dio minore”, il quale, però, si ritiene il Dio supremo e, ritenendosi tale, si assume la responsabilità del Creatore: crea, così, il mondo che non può che essere imperfetto e che perciò è male. Unica possibilità di contrastare quest’opera è di rifiutare la procreazione, così che questo mondo abbia fine e con esso il male e il dolore.
Ma la prima ad opporsi al progetto di Bariona è proprio sua moglie Sara, che da poco ha scoperto di essere incinta e che è pervasa dalla dolcezza e dalla bellezza di questa nuova vita che porta in grembo. Ella gli chiede di non maledire il frutto del loro amore e di permetterle di portare a compimento la sua gravidanza. Di fronte alla irremovibilità di Bariona, la donna si mostra altrettanto decisa: ella non accetterà l’aborto e consentirà a suo figlio di venire al mondo, qualunque debba essere il suo destino.
Alla fine del dramma, di cui non voglio, almeno per il momento dire altro, Bariona non solo accetterà che suo figlio viva, ma darà la propria vita per consentire a Maria e a Giuseppe di portare in salvo il Bambino Gesù, sottraendolo agli sgherri di Erode, venuti a compiere quella che passerà alla storia come la strage degli Innocenti.
Per tutto il dramma si confrontano le ragioni della speranza e le ragioni della disperazione. Alla fine prevalgono le ragioni della speranza.
Il dramma sartriano, pubblicato solo nel 1970 dalle edizioni Gallimard di Parigi, è stato tradotto in italiano da Marco Antonio Aimo, nel 2002. Purtroppo, impeditone dalla morte, non poté rivedere la traduzione, uscita a cura di Antonio Delogu, per le edizioni Christian Marinotti di Milano nel 2003. A causa di queste traversie, la traduzione presenta qualche imperfezione, per fraintendimento di termini francesi, che a volte ingenera perplessità nella comprensione.
Ma, fatta questa doverosa riserva, rendere disponibile quest’opera ai lettori italiani è stato senz’altro importante, soprattutto in questo momento storico, in cui si assiste al rifiuto, da parte di rappresentanti della scuola italiana di una tradizione tipica della cultura del nostro paese. Dirigenti e insegnanti che impediscono che si faccia il presepe nelle loro scuole con il pretesto di non “offendere” chi è di altra religione sono ampiamente confutati dall’ateo Sartre, che si incontra con i credenti sul tema di una nascita che è all’origine della più importante rivoluzione della storia, anzi forse l’unica vera rivoluzione. Lo abbiamo già detto e non ci stancheremo di ripeterlo: si tratta di una forma di falsa tolleranza, che nasconde una forma di intolleranza, questa sì, vera e radicata nel profondo delle loro menti, nei confronti di chi la pensa diversamente da loro.
Mi farebbe piacere se tu mi facessi conoscere il tuo parere sulla questione, magari dopo avere letto il dramma di Jean-Paul Sartre.
Condivido totalmente la sua riflessione. Conosco questo lavoro di Sartre e altri suoi lavori. Condivido la sua analisi della intolleranza mistificata come tolleranza.