Un libro di Giovanni De Caro con aneddoti e storielle di personaggi vari, celebri o anche oscuri, mi conferma nella mia idea che raccontare il presepe non si può senza raccontare anche Napoli. E, naturalmente, viceversa.
La mia casa è colma di libri, al punto che quasi non vi posso più entrare. Ogni giorno mi dico che dovrei cominciare a liberarmi di un po’ di volumi in eccesso e, soprattutto, smettere di comprarne.
Eppure, quando passo davanti alle bancarelle di libri, nonostanti la mia non più verde età e la saggezza che ad essa dovrebbe essere unita, non so resistere alla tentazione. Soprattutto se sono libri il cui scopo è raccontare Napoli. Che è ciò che io stesso cerco di fare.
Nella mia città, alcune vie sono deputate alla esposizione di libri a buon mercato su una fila di “bancarelle”, che non hanno la pretenziosità dei “bouquinistes” dei lungosenna parigini, ma che ugualmente vi permettono di fare spesso interessanti scoperte e ottimi acquisti.
Via Foria, via Costantinopoli, via Port’Alba racchiusa tra i due archi dell’antica porta cittadina, sono le strade dei libri. Purtroppo sono scomparse le botteghe dei librai proprio nella via che da questi prendeva il nome: “San Biagio dei librai”, appunto.
Così. ancora una volta, mi sono lasciato tentare.
Giovanni De Caro, Napoli racconta…, Arturo Berisio editore, Napoli 1974.
Una raccolta di aneddoti e storielle varie, di cui sono protagonisti personaggi noti, come Benedetto Croce, Salvatore di Giacomo, Giuseppe Marotta, Salvator Rosa, Anna Magnani, Eduardo De Filippo, ed altri meno conosciuti o conosciuti solo in ambito napoletano. Tutti ugualmente ricchi di umanità, perché non frapponevano un diaframma fra sé e il popolo, ma del popolo sentivano di fare parte, anche se di esso rappresentavano la punta più elevata.
Ho iniziato a sfogliarlo: Benedetto Croce, dal balcone della sua stanza sulla via che oggi porta il suo nome, instaura una conversazione nel muto linguaggio dei gesti con il campanaro di Santa Chiara; nella galleria Umberto I, un mendicante cerca di scroccare due volte l’obolo a E. A. Mario e a Marotta, fidando nella loro distrazione; in un’antica chiesa, Salvatore di Giacomo “presta” la voce al Crocifisso, per consolare una povera vecchia che chiede la grazia. Ce n’è d’avanzo perché la tentazione abbia la meglio: così io mi sono ritrovato più povero di tre euro (sì, proprio tre miseri euro: i librai napoletani sanno venire incontro alla povertà dei bibliofili come me) e la mia biblioteca si è arricchita di un altro volume. Alla faccia di tutti i buoni propositi di non sovraccaricarla ulteriormente, anzi di sfoltirla.
Il primo aneddoto si intitola Russo, Chiurazzi e i “pastori”. Naturalmente, la parola “pastori” mi fa drizzare le antenne. Correttamente, è posta tra virgolette, perché il termine “pastori”, per intendere le statuette da presepe, è tipicamente napoletano.
Due poeti, Ferdinando Russo e Raffaele Chiurazzi, si incontrano in via Toledo, la celebre arteria napoletana dedicata al passeggio e all’eleganza. Si chiamò anche via Roma, dopo l’Unità d’Italia, ma i Napoletani si ostinarono a chiamarla via Toledo, finché, oggi che si è ripristinato questo antico nome, cominciano a chiamarla via Roma.
Insomma, i due poeti si incontrano e Raffaele Chiurazzi chiede a don Ferdinando Russo di accompagnarlo, il giorno dopo, a fare una visita di cortesia, anche per visionare certi “pastori” di terracotta che sarebbero “molto ben modellati”.
Il giorno dopo si recano in una modesta abitazione in un vicoletto del quartiere Sanità, abitato da due donne, madre e figlia. La madre è una donna “dall’aspetto matronale e ancora piacente”, ma la figlia è una giovane stupenda, “alta, bruna e formosa, con gli occhi neri e vivissimi”, che fa subito colpo su Ferdinando Russo, notorio “sciupafemmine” (variante napoletana del classico “Don Giovanni”).
Dopo il consueto rituale della “tazzulella” di caffé offerta ai visitatori, la giovane trae dal cassetto di un mobile una scatola di cartone, nella quale sono conservate le statuette, per mostrarle alla valutazione dell’esperto don Ferdinando. Ma, come abbiamo detto, don Ferdinando è un esperto anche della bellezza femminile e ha già “valutato” quel capulavoro ‘e femmena (capolavoro di donna), come lui stesso bisbiglia al preoccupato Chiurazzi. La valutazione circa i pastori è negativa, non valgono molto: e a noi resta il dubbio se don Ferdinando, occupato a considerare le grazie della giovane donna, nel visionare le statuette abbia fatto davvero attenzione alla qualità del modellato e della colorazione.
In ogni caso, quando i due poeti lasciano la casa e sono per la strada, Raffaele Chiurazzi raccomanda a Ferdinando Russo di non fargli il tradimento: infatti, tra lui e la giovane donna, che è vedova, si è instaurato un rapporto e Chiurazzi deve incontrarla proprio l’indomani.
Don Ferdinando è pronto a ritirarsi in buon ordine, non solo, ma in nome dell’amicizia, offre a don Raffaele anche le chiavi del suo appartamentino, per facilitargli l’incontro.
Proprio così: il vecchio detto che in guerra e in amore tutti i mezzi sono leciti, a Napoli non vale: un amico non si tradisce, neanche per la donna più bella del mondo.
Raccontare Napoli è anche mettere in luce questi piccoli episodi di varia umanità, che fanno risaltare il carattere di personaggi, già ammirati per il loro spessore culturale.
Altre volte, è la battuta di una voce popolaresca a raccontare Napoli. Un altro aneddoto del libro di De Caro narra di una rappresentazione della “Cantata dei pastori” (ne ho scritto qui e qui), nel corso della quale avvenne uno dei tanti piccoli incidenti che suscitavano le battute e l’ilarità del pubblico. Come questo:
… allorché il Serpente, che insidia il parto alla divina Maria, Sposa di Giuseppe falegname, doveva, tirato da un filo, guizzare da un capo all’altro del palcoscenico, successe che il filo s’impigliò in una quinta, e quella specie di grossa anguilla fatta di cenci, si afflosciò e miseramente giacque!
Allora una voce reboante, forse quella d’un pescivendolo, scese dal loggione:
– A tre lire ‘o chilo ‘e capitune muorte! … A tre lire! …
Raccontare Napoli è come raccontare il presepe e raccontare il presepe non lo si può fare senza raccontare Napoli.
Che è ciò che mi sto provando a dimostrare con queste mie pagine. Che dici, ci sto riuscendo?
Smettere di comprarli, non farsi tentare, resistere alla tentazione, ma come si fa, caro Italo, purtroppo ti capisco, non ci si riesce. E per fortuna che non ci sono bancarelle di libri lungo il percorso che faccio tutti i giorni per andare al lavoro altrimenti…
Complimenti, l’articolo è molto divertente, però volevo farti una domanda: sono diversi anni che non vado più a San Biagio dei librai, ma come mai sono scomparse tutte quelle meravigliose botteghe dei librai?
Grazie
Mariano
Ho tardato a risponderti, caro Mariano, perché cercavo io stesso una risposta. Sono anni che le botteghe che caratterizzavano la zona di San Biagio dei Librai hanno iniziato a trasferirsi un po’ alla volta verso vie più eleganti della città, il celebre Loffredo, al Vomero, per esempio. Altri hanno chiuso bottega. In generale, io trovo una preoccupante disaffezione per il libro, da parte non solo dei lettori, ma da parte degli editori, dei librai e dei tipografi. Si tratta di un altro capitolo dolente della nostra epoca. Non ti dico quante ne passo per fare stampare un libro. Meglio lasciare correre.
Complimenti Prof. Sarcone, leggendo l’articolo si riesce quasi a percepire i tratti caratterizzanti dell’Anima Napoletana…
Grazie dei complimenti, ma, a questo punto, caro Ciro, direi che i complimenti devi farli allo scrittore di cui ho “recensito” il libro. Che spero cercherai e leggerai per intero, perché è piacevolissimo.
… se dovesse ancora star decidendo cosa fare da grande non scelga il recensore.. io spazio ne ho ancora ma di questo passo non ancora per molto..
cercheremo anche questo…
In effetti, è così. Non so ancora che fare “da grande”. Credo che sceglierò di fare l’artigiano di presepi… ma non credo che rinuncerò a recensire i libri che mi piacciono. E se non hai spazio, la colpa è tua, perché non seguisti quel saggio consiglio che vi diedi, a voi femminucce, alla fine del terzo liceo…
“sposate uno ricco, così potrete passare tutta la vita in biblioteca senza preoccuparvi di nulla” 🙂
… e dimmi che vi avevo dato un cattivo consiglio … 🙂
il problema è che quelli vanno via come il pane…