Via dell’Anticaglia a Napoli è celebre per i ruderi del teatro romano in cui si esibì Nerone, ma oggi ha una nuova attrattiva: un presepe popolare molto bello e significativo, ospitato permanentemente in un locale a pianterreno, e che vado a visitare spesso, trovandovi ogni volta spunti di riflessione e commozione.
Via dell’Anticaglia a Napoli conserva il ricordo di quello che nella città greco-romana fu il decumano superiore.
Forsè è utile ricordare che le città antiche, a partire dal V secolo avanti Cristo, per suggerimento di un celebre architetto, il cui nome era Ippodamo di Mileto, erano costruite a pianta quadrata, con le vie che si incrociavano ad angolo retto. Secondo l’uso romano, le strade che seguivano la direttiva est-ovest erano indicate con il nome di “decumani”, mentre quelle che andavano da nord a sud erano chiamate “cardini”, come ho già scritto a proposito di presepe napoletano e centro antico.
A Napoli, i decumani correvano più o meno parallelamente alla costa, mentre i cardini conducevano ad essa.
Ora, via dell’Anticaglia rappresenta appunto quello che nella città greco-romana era il decumano superiore. Ma il visitatore consapevole e curioso è colpito da una particolarità: il decumano non ha un andamento diritto, ma si piega in un’ampia curvatura, come avviene anche alle strade contigue, che si trovano tra esso e il decumano centrale (che poi è l’attuale via dei Tribunali).
Questo strano andamento si spiega con il fatto che in quella zona vi era il teatro, celebre perché in esso si esibì Nerone. Le case che furono costruite sulla traccia delle antiche strade e degli antichi edifici conservano appunto la configurazione del teatro, del quale restano alcune arcate di mattoni dal colore rosso scuro, che hanno dato il nome alla via: via dell’Anticaglia, che è quanto dire “via dei ruderi”.
Per me ha pure un’altra attrattiva, oltre i ruderi dell’Antico, che rappresentano un’altra delle passioni della mia vita.
In un locale a pianterreno, uno di quelli che a Napoli si chiamano “bassi”, è da tempo collocato un presepe, che ne occupa l’intero spazio.
L’ho ammirato da sempre.
Una volta, c’era un calzolaio, uno di quei ciabattini, che erano umili artigiani, dei quali in più di un’occasione ho potuto apprezzare la profonda umanità, come ho scritto, rievocando un ciabattino alla Sanità.
Questo calzolaio in via Anticaglia aveva costruito il presepe in modo che il suo deschetto ne fosse quasi un prolungamento: l’artigiano era quasi lui stesso un elemento della rappresentazione presepiale.
Non so se cose del genere accadono anche altrove, ma il mio orgoglio un po’ campanilistico mi induce a pensare che queste cose sono possibili solo a Napoli.
Oggi il calzolaio non c’è più. Avrà pagato il suo tributo alla natura e ora, lassù in Paradiso, starà ribattendo le suole alle scarpe dei Santi.
Ma il presepe è ancora lì. E lo si può vedere, girargli intorno e ammirarlo.
I battenti della porta, spalancati, sono ricoperti di foto, di immagini sacre, di piccoli cartelli con massime di vita.
I vari oggetti disposti in artistico disordine conferiscono all’ambiente l’aspetto di una bottega che non si può certo definire di antiquario ma che sarebbe ingiusto chiamare di rigattiere.
Un cartello, tra i numerosi affissi alla porta, invita a non fermarsi davanti all’ingresso, ma a entrare. In effetti, la strada è stretta e una sosta potrebbe essere pericolosa, a causa degli autoveicoli che vi transitano.
Con ironia tutta napoletana, il cartello dice: “Non fermatevi fuori la porta. Entrate o proseguite, altrimenti le macchine vi arricettano senza pietà”.
Arricettano: da “arricettare”, verbo napoletano che significa “dare arricietto”, cioè “dare pace”, nel senso dell’eterna pace, che in questo mondo non c’è. Un altro cartello avverte che l’entrata è libera e aggiunge che è libera anche l’uscita: nessuno vi chiederà niente, né per entrare, né per uscire. Precisazione ironicamente doverosa. Sembra quasi di avvertire un’eco di Totò o di Massimo Troisi.
Lo stesso cartello invita a girare intorno. Si tratta infatti di un presepe a struttura circolare, che è una forma esteticamente bella e simbolicamente interessante, perché permette di vedere il presepe da tutti i lati, obbligando lo spettatore a non restare immobile, ma a compiere una specie di piccolo pellegrinaggio: si rende così ancora più chiaro quello che continuamente scrivo, cioè che un presepe non si guarda, ma si “visita”.
Il presepe è corredato da una serie di cartelli, che illustrano sia il percorso, sia il senso di ciò che appare sul presepe e nell’ambiente circostante. Uno specifica che il presepe è stato dedicato alla Madonna e al popolo da Umberto Iannaccone (rilevo, per inciso, che si tratta di un cognome tipicamente napoletano).
Un cartellino al di sopra della grotta con la Natività specifica che le eventuali offerte lasciate dai visitatori saranno devolute ai poveri che non osano chiedere, quelli che una volta, nel linguaggio di chiesa, si chiamavano i “poveri vergognosi”.
Camminare intorno al presepe di via dell’Anticaglia è anche come camminarci dentro, poiché anche le pareti all’interno del locale sono ricoperte da scenografie presepiali. Vi è anche una piccola grotta con una immagine della biancovestita Madonna di Lourdes.
Mentre passeggiavo “nel presepe”, gettando lo sguardo curioso all’interno delle case, mi sembrava di percorrere le strade di Napoli com’erano tanti anni fa, popolate anche nel cuore della notte, non solo d’estate, ma anche d’inverno: con porte e finestre spalancate, in modo che la vita della casa, soprattutto dei bassi, si prolungava nella strada e la vita della strada penetrava nella casa.
Lo spazio della strada antistante il “basso”, del resto, era la vera e propria anticamera della casa: qui erano sistemate le sedie per una tranquilla chiacchierata e spesso anche un tavolino, intorno al quale gli uomini, dopo la giornata lavorativa, si concedevano una partita a carte, resa più piacevole magari da una caraffa di buon vino.
L’atmosfera è resa suggestiva anche dall’illuminazione disposta accortamente, in modo che alcuni punti siano in piena luce, altri quasi in penombra. In altri punti è soffusa, quasi con discrezione.
L’interesse che ho provato per questo presepe è simile a quello che provai per il presepe di Arturo Quaglia, quello che chiamai il presepe del Cilento, sulla facciata di una casa di Albanella.
Credo che per i turisti che si recano nella zona per visitare il teatro recentemente riportato alla luce è un buon suggerimento di prolungare il loro cammino di pochi passi, appena svoltato l’angolo, e visitare questo presepe, sul quale mi riprometto di fornirti più ampie notizie.
E tu, hai mai visto, nella tua città, nel tuo paese, oppure andando in giro, qualcosa che somigli a questo presepe e del quale potresti parlarci?
Volevo puntualizzare che l’autore del presepe in via Anticaglia non è il ciabattino, ma l’artista che tuttora lo custodisce per amor del popolo a cui l’ha dedicato. Il nome è appunto Iannaccone Umberto, autore anche di tutte le frasi che di ritrovano affisse in ogni dove della bottega. Il presepe rappresenta la gerarchia di noi mortali. In basso a tutto la gente comune, il popolo i malati e i bisognosi… e il cima i potenti… i politici… il re. Tuttavia la forma nel complesso ricorda la corona della Vergine Maria. Mi permetto tali affermazioni perché sono la figlia dell’autore e conosco la storia. Tuttavia è vero che merita una visita, il luogo è suggestivo e scambiare chiacchiere con l’autore arricchisce il cuore.
Cara Signora Laura, La ringrazio per la precisazione, che mi è veramente utile. Non ho mai avuto il tempo per fare delle ricerche sull’autore del presepe; ricordavo, da anni e anni, solo che circondava il ciabattino, senza però pensare che ne fosse davvero lui l’autore. Poiché non sempre i lettori leggono i commenti, riporterò le sue preziose precisazioni in un prossimo articolo, che comunque pensavo già di scrivere, perché il “presepe dell’Anticaglia”, come l’ho chiamato, mi piace moltissimo. Grazie ancora per avermi scritto.