Nell’articolo sul mistero della morte e della resurrezione nel presepe, ho presentato un mio vecchio amico, Giovanni di Fiore. Come me, è un appassionato del presepe popolare. Nel passato, ne allestimmo insieme qualcuno, scambiandoci conoscenze, tecniche ed osservazioni, come accade di solito fra i cultori della materia presepiale.
Oggi Giovanni vive a Cassino, dove sono andato a trovarlo. Mi ha fatto leggere un articolo da lui scritto per il giornale della sua parrocchia, nel quale parla del presepe popolare e della sua passione per esso.
L’ho trovato interessante e ho creduto bene di fartelo conoscere.
Naturalmente, lo pubblico con la sua approvazione. Ho aggiunto i rinvii agli articoli da me pubblicati sugli argomenti toccati da Giovanni, relativi al presepe popolare.
IL PRESEPIO
Ho rispetto per il il Presepio e la passione di costruirlo. Secondo la tradizione, fu ideato da San Francesco, e la notte di Natale del 1223, a Greggio (Rieti), lo mise insieme con figure viventi. Presto s’impadronirono dell’idea i grandi artisti con dipinti, statue di marmo e di legno, per inneggiare al Presepio.
Per giungere alle piccole figure per un Presepio popolare, si arriva al secolo XVIII, in cui entrava nelle case ad avvivare il Santo Natale. Il Presepio, o Presepe, è la testimonianza dell’inizio di una nuova era, la testimonianza della nascita del Redentore e dell’inizio del contatto uomo-Dio, perché il Redentore, figlio di Dio, con l’Eucarestia ci lasciò il Suo Corpo.
Ricordo che nella mia infanzia al mio paese, venivano due zampognari da Castel Nuovo a suonare con le loro zampogne, casa per casa, la novena dell’Immacolata e quella del Santo Natale. Erano ospitati da una famiglia; alla fine della novena, ogni famiglia dava del grano, con cui riempivano i sacchi che poi venivano a riprendere col traino: era questo il loro raccolto annuale. Finita la prima novena, salutando lasciavano un foglio di carta con l’immagine della Natività, come impegno che il quindici del mese sarebbero tornati.
In casa noi avevamo una mensola a muro, là si sistemava la Natività. Mia sorella andava dal Parroco o dal Segretario Comunale, che leggevano il giornale, a farsi dare un foglio, con le forbici vi si frastagliava una specie di volano che si attaccava alla mensola: era il nostro piccolo Presepio, davanti al quale al suono della zampogna si accendeva la candela.
Il sacrestano in Chiesa, sotto rami di ginepro, metteva Giuseppe, Maria, il Bambino, l’asino e il bue, tutti di terra cotta smaltata, e li copriva con un drappo: a mezzanotte di Natale, toglieva il drappo ed il Bambino era nato.
Poi venne la guerra. In quel periodo gli zampognari non vennero più; in seguito passavano solo un giorno per fare un giro, sperando di ricevere offerte in denaro, non più grano. Così, nelle case non avevamo nemmeno quel foglio di carta con la Natività.
Nel 1961 andai con la famiglia a Napoli come custode di un palazzo. Al primo Natale, le famiglie che avevano bambini mi chiamarono per allestire il loro Presepio; mi adattai alla meglio e rimasero contenti. Entrando nelle Chiese di Napoli, ovunque trovavo il Presepio, allestito in vari modi sì, ma era sempre un osanna alla Natività.
L’anno dopo anche io preparai il mio Presepio in casa.Il supermercato “La Standa”, aveva dei piccoli pastori di gesso: erano fatti in serie, ma erano caratteristici.
In più c’era l’assortimento della famosa via San Gregorio Armeno: pastori fatti e dipinti a mano, ma lì se ne poteva prendere solo qualcuno speciale, si spendeva un po’ troppo. Io, nato e cresciuto in un paese di montagna, conoscitore di stalle, con la mia fantasia davo un’impronta personale al Presepio.
Continuavo a comprare pastorelli con addobbi, e ogni anno il presepe diventava più grande.
Un anno che avevo a disposizione le tavole da muratori, le famose “palanche” di quattro metri, più i loro cavalletti, nel cortile del palazzo seicentesco, in un angolo, ne feci uno veramente grande; montagne con paeselli arroccati, pendii di pascolo, un lago con papere e cigni e tutto intorno un viale alberato, circa duecento elementi fra pastori e pecorelle: era veramente da soffermarsi a guardare. Il Parroco don Domenico veniva spesso a dare un’occhiata. Un giorno venne insieme al Cardinale Ursi: guardato il Presepio, si fermarono in portineria per parlare e prendere un caffè. Il cardinale mi mandò un diploma di benemerenza.
Tornato al mio paese, Rionero Sannitico, in prossimità del Santo Natale, feci il mio Presepio: una commissione popolare mi assegnò la coppa per il miglior Presepio fatto in casa.
Per due anni, lo feci nella nostra Chiesa, occupando tutto il battistero e l’altare di San Bartolomeo. Fu una sorpresa per il Parroco don Antonio e per la gente, tanti lo fotografarono. E però non ho neppure una foto, e così anche nemmeno di quello di Napoli.
All’inizio usavo carta, sughero e scagliola, in seguito scoprii che con gli stracci imbevuti di scagliola su sostegni di legno si lavorava meglio.
In casa, ogni anno ho conservato i pastorelli, smontando il presepio per rifarlo al prossimo Natale. Ma ora non più; l’ultimo lo feci un po’ di anni fa su una specie di tavolo con rotelle, ed ogni anno, con qualche piccola modifica, per il 16 dicembre, lo aggiusto in un angolo della casa. Il 16 gennaio poi, in attesa del prossimo Natale, lo riporto in un angolo del garage. Quando scendo nel garage, questo Presepe mi fa compagnia anche nel mese di agosto.
Giovanni Di Fiore
Giovanni non si dà le arie da scrittore; gli piace scrivere e lo fa in maniera semplice, che risulta accattivante e coinvolgente.
Spero che questo articolo ti sia piaciuto e sia servito a ravvivare in te l’amore per la bellissima tradizione del presepe, che, come ho più volte ribadito, racchiude capacità inventiva e manuale, doti di fantasia e di immaginazione. Per chi ha la fede, come è il caso di Giovanni, è un atto di amore verso Colui in cui crede; per chi non ce l’ha è l’espressione della sua interiorità di uomo e la realizzazione dei suoi sogni più belli.