Il cultore del presepe non perde occasione per visitare, nel corso di viaggi o di semplici passeggiate, i presepi, spesso in pianta stabile, che gli vengono incontro lungo il cammino: e che magari lo inducono a riflettere sui grandi temi della storia e della vita.
Il cultore di questa bella tradizione non si limita a “fare il presepe” a Natale: ho spesso scritto che il Napoletano, quando non fa il presepe, sogna di farlo.
E, quando va in giro, si sofferma a guardare se trova dei presepi che gli offrano un momento di commozione pre- e post-natalizia e che, magari, gli offrano lo spunto per il suo prossimo presepe.
Pensare al presepe come ad un momento puramente “natalizio”, insomma, per l’appassionato è inconcepibile.
Il presepe è la celebrazione della “nascita divina” nel mondo dell’uomo e, allora, ogni momento è buono per rievocare questa nascita. Tanto è vero che alcuni presepi sono collocati in modo stabile in luoghi significativi.
Questa volta ti parlo di presepi incontrati nel mio girovagare: sempre e comunque un presepe attira la mia attenzione, la mia “curiosità” di indagatore del presepe in quanto espressione sublime dell’animo umano, ed uno dei momenti sapienziali della cultura occidentale.
Qualcuno è più vicino ai modi tradizionali, qualche altro presenta dei caratteri innovativi.
A Rocca San Felice, in Irpinia, trovai, in un angolo di strada, una piccola edicola con un presepe essenziale, costituito cioè dalla “Sacra Famiglia” con bue e asinello: le figure erano state acquistate, probabilmente a San Gregorio Armeno, figure tradizionali di terracotta non dipinta. La grotta era stata costruita con pietre sovrapposte. Il presepe era protetto da una grata, ad evitare che le statuette potessero essere asportate.
A Rocca San Felice ero andato per delle ricerche sulla dea Mefite e su uno scrittore del Settecento, Vincenzo Maria Sàntoli, che era stato arciprete della cittadina e che sulla Mefite aveva scritto un libro importante, da cui ancora oggi gli studiosi devono partire. Per me si trattava anche di un ritorno “alle origini”, perché l’Irpinia è la regione da cui proviene la mia famiglia: Lioni, Sant’Angelo dei Lombardi, Frigento erano nomi che avevano già pervaso tutto il mio immaginario infantile. Ti lascio quindi immaginare la mia commozione nel trovare lì un piccolo presepe, che costituiva un duplice legame con la mia storia personale.
Un presepe egualmente essenziale, ma costruito in modo originale, ho incontrato quest’anno nel chiostro del monastero annesso alla Basilica dei Santi Quattro Coronati a Roma: le monache agostiniane avevano collocato in una nicchia, che rendeva bene l’idea della “grotta”, una “Natività” realizzata con tre icone lignee, raffiguranti Gesù, la Madonna e San Giuseppe.
Non era il “presepe” come io sono abituato ad immaginarlo, ma era suggestivo e pienamente rispondente allo scopo del presepe che è quello di celebrare la nascita di Dio secondo la carne.
L’estate del 2013, poi, mi capitò di incontrare, una sera d’estate, un presepe “tradizionale” nella vetrina di un ristorante di Amalfi: c’era anche il fiume, costruito con il metodo della “carta d’argento”: fu il particolare che mi divertì maggiormente, oltre, naturalmente, la circostanza, abbastanza curiosa, del luogo e della stagione.
Un altro presepe, questa volta, a grandezza quasi naturale, è collocato in pianta stabile in una cavità naturale della roccia sul monte Calpazio, all’ingresso del Santuario di Santa Maria del Granato.
Si tratta di uno di quei luoghi la cui visita è, per così dire, obbligatoria. Il Calpazio è uno sperone del Monte Soprano, che domina la valle del Sele: il santuario si vede anche dalla piana dei templi di Paestum. Se, magari la prossima estate, fai una gita da quelle parti, ti consiglio un itinerario interessante.
Poco lontano dalla foce del Sele, vi sono i resti del santuario della divinità greca Era (Giunone per i Romani) Argiva: puoi visitare anche il Museo Narrante, che sarà per te fonte di conoscenze e di suggestioni irripetibili. La tappa successiva sono i templi di Paestum, con il museo archeologico annesso, dove sono coservate anche le lastre dipinte della famosissima “Tomba del Tuffatore“.
A questo punto non puoi perderti la salita al monte Calpazio e la visita al Santuario della Madonna del Granato: vi troverai una bella immagine della Vergine che tiene nella mano destra una melagrana, un simbolo interessante che ha ereditato dalle antiche divinità pagane e che non ti sarà difficile ricollegare ad analoghe figure “pagane” che avrai notato nelle vetrine del museo. Ma vi troverai anche un bel ciclo pittorico con le storie di San Biagio, il Santo del quale già ti ho fatto qualche cenno qui.
Ma prima di entrare nel santuario, fermati ad ammirare il presepe: molto semplice, con i tre personaggi della Sacra Famiglia, un pastore con la pecorella sulle spalle e i Re Magi che, quasi in processione, si avviano verso la grotta della Natività. L’atteggiamento dei tre Re, i primi due inginocchiati, il terzo che piega il ginocchio, pronto a prostrarsi, conferisce movimento alla scena.
Ma l’immagine più significativa la incontrai un’estate di un anno lontano, a Verona, dove mi trovavo come commissario d’esami. Nella chiesa di San Giovanni in Foro è conservato in una vetrinetta a muro un presepe di piccole dimensioni, con figurine alte due centimetri, risalente alla Grande Guerra del 1915-18: fu creato dai soldati ricoverati nella chiesa, trasformata in quegli anni dolorosi in ospedale militare. Non ho mai incontrato nulla di più commovente nella sua estrema semplicità.
Il paesaggio spoglio ed essenziale risponde allo stato d’animo di coloro che presero parte a quel conflitto, nato da grandi speranze e che ben presto si rivelò per quella che Benedetto XV aveva definito un’inutile strage. Di fronte a questo piccolo presepe, appello alla pace nella drammaticità di una guerra in cui l’Europa, ancora una volta (e purtroppo non per l’ultima), tentava il suicidio, mi confermai nell’idea che la storia umana è guidata dalla follia.
E tu, hai qualche presepe significativo di cui parlarmi?
Ciao Italo,
scusami se vado fuori argomento, ma a proposito della dea Mefite ho letto che alcuni la identificano con Giunone, ma è esatto, tu che ne pensi? E poi il suo culto era legato alle acque sulfuree?
Un caro saluto e come sempre grazie per il tuo prezioso aiuto
Mariano
Quando si parla del presepe e di Napoli, nulla è fuori argomento, caro Mariano, altrimenti sarei continuamente “fuori traccia”.
E vengo alla tua domanda. L’identificazione di Mefite con Giunone è di epoca piuttosto tarda e risponde all’esigenza di riportare al noto ciò che era diventato ignoto. In realtà la dea Mefite fu una dea potente, espressione per le popolazioni italiche della “Grande Madre” e in particolare delle acque, e che come tale aveva anche una manifestazione “tremenda” nei punti in cui la terra mandava su delle esalazioni pericolose. La parte su Mefite era il “pezzo forte” della mia tesi di laurea in glottologia sulle lingue italiche. Vi esprimevo un tesi che con gli anni non ho abbandonato, ma che ho invece confermato e rafforzato. I testi e le prove documentarie li analizzo in un mio libro per gli studenti (ma non solo), “Dal Roccamonfina al Vulture”, del 2007, in cui tratto della visione che gli Antichi avevano dei fenomeni vulcanici e tellurici nella Campania. Naturalmente gli ex voto in terracotta offerti a questa, come ad altre divinità, mi hanno sempre riportato all’arte presepiale dei pastori fatti interamente di questo materiale, come puoi ben immaginare. Grazie ancora di avermi scritto.