La tradizione del presepe popolare napoletano comporta non solo delle tecniche, ma anche una precisa ritualità, che rispetta delle date definite, con una scansione che conferisce al tempo una dimensione sacrale.
All’età di dodici anni allestii, con l’unico aiuto di un amico della mia stessa età, il mio primo presepe, nello stile del presepe tradizionale napoletano, tentando di mettere in atto gli insegnamenti di mio padre e imitandone il modo di operare.
Naturalmente, erano pochi i materiali che avevo a disposizione, carta e colla, soprattutto, e qualche bacchetta di legno per l’ossatura. Il risultato non fu certo un capolavoro, eppure non sarebbe potuta risultare più commovente la piccola cerimonia con la quale, a mezzanotte, Gesù Bambino venne a nascere in quel povero presepe costruito interamente dalle mani del più giovane della famiglia: a porre il Bimbo nella mangiatoia fu la nonna materna, che recitò la preghiera, mentre tutti devotamente facevano il segno della Croce.
Il presepe, infatti, è al centro di una ritualità che coinvolge la vita dell’intera famiglia, per tutto il periodo natalizio.
Pensa ad alcune celebri scene di “Natale in casa Cupiello”, forse la più nota tra le commedie di Eduardo De Filippo: pensa alla ricorrente domanda “Te piace ‘o presepio?”, con cui Luca Cupiello tormenta il figlio, che a sua volta risponde con un caparbio “Nun me piace!”;
http://youtu.be/uyms7pyv3Bs
o anche l’entusiasmo con cui il vecchio mostra a Vittorio Elia il suo presepe di cui è giustamente orgoglioso. Il giovane seduttore, francamente antipatico, non sa far altro che esercitare la sua cinica ironia: “Questo l’avete fatto voi?” e poi “Bravo, bravo”, con un tono che non sfugge al vecchio Lucariello, ingenuo e semplice, ma non stupido. Ovviamente, da uomo capace di distruggere ma non di costruire, non saprebbe concepirlo, un presepe del genere. Nella sua aridità spirituale, non è neppure capace di commuoversi dinanzi al presepe costruito, con umili mezzi, da Luca Cupiello.
http://youtu.be/tRTyHEN_pk4
Allestire un presepe comporta una serie di gesti e di azioni, ispirati alla tradizione popolare; quella che voglio farti conoscere è appunto la tradizione specifica del popolo napoletano.
Credo sia importante, innanzitutto, precisare il reale significato della parola “tradizione”, che spesso è interpretata come il semplice attaccamento al passato e la chiusura mentale verso ogni tipo di cambiamento; non è così: “tradizione” viene dal latino trádere che significare “affidare”, “consegnare”; la tradizione è l’atto con cui si consegna, si affida ai successori il patrimonio prezioso delle conoscenze, delle usanze, perché essi lo arricchiscano e, così arricchito, a loro volta lo affidino a coloro che verranno dopo.
Per essere in sintonia con la tradizione, bisogna rispettare innanzitutto una cadenza temporale, cioè alcune date precise.
Tradizionalmente, infatti, il presepe popolare deve essere pronto per il ventinove di novembre, giorno in cui l’inizio della Novena dell’Immacolata è annunziato dal suono dolce e un po’ triste delle zampogne. Per nove giorni, dinanzi alla mangiatoia ancora vuota del Bimbo, gli zampognari suonano sui caratteristici strumenti pastorali le loro struggenti melodie, che hanno il potere di riportarci all’infanzia, alternando la musica con il canto di parole molto semplici: “la notte de Natale nun se dorme, se pensa a lu Bambino e a la Madonna”.
Poi, dopo l’otto dicembre, le zampogne tacciono, per riprendere il sedici dicembre per la Novena di Natale, che si svolge con la stessa ritualità che abbiamo vista per l’Immacolata.
La notte di Natale, al suono festoso delle campane, si pone nella mangiatoia il Bambino. La tradizione vuole che questo compito sia affidato al più piccolo o al più anziano della famiglia.
Inizia, nel frattempo, anche il cammino dei Magi verso la grotta della Natività: a Capodanno li si fa giungere a metà percorso e il giorno dell’Epifania, il sei gennaio, li si fa “scendere da cavallo” e disporsi dinanzi alla grotta per adorare il Bambino e offrirgli i loro doni, “oro, incenso e mirra”.
Viene, infine, il momento di togliere il presepe e riporlo in attesa del prossimo Natale. Lo si può fare la sera stessa dell’Epifania, ma chi volesse prolungare il tempo di permanenza, nella propria casa, del presepe può rinviare la cerimonia al diciassette gennaio, giorno consacrato a Sant’Antonio Abate. Nel passato, sceglieva questa data chi intendeva affidare il vecchio presepe alle fiamme dei falò accesi nelle piazze di Napoli in onore di questo Santo.
Altre date per disfare il presepe e riporre le statuine, i “pastori” che lo hanno popolato, sono il due febbraio, festa della Purificazione, e il tre febbraio, festa di San Biagio.
Le date tradizionali per togliere il presepe, come si vede, sono tutte ricorrenze che onorano dei Santi “vecchi”, così come in prossimità del Natale si fa ricordo di Santi “giovani” (Santo Stefano, i Santi Innocenti, San Giovanni Evangelista).
La ritualità che ho descritta, il rispetto della scansione temporale, l’affettuosa cura di cui il presepe è circondato, l’orgoglio con cui lo si mostra ai visitatori, la sollecitudine con cui se ne trasmette agli altri la passione, l’attenzione stessa con cui, al termine del periodo natalizio, si ripongono i le statuine, i cosiddetti “pastori”, sono tanti aspetti su ognuno dei quali occorre riflettere, per comprendere l’importanza di questa tradizione che, dopo avere conosciuto un periodo di oblio per l’introduzione dell’albero di Natale, sembra oggi acquistare una nuova vitalità.