Il presepe della maternità è quello che ho realizzato, pensando al mistero della vita e al dolore di tutte le madri i cui figli cadono in guerra. Alla fine di una guerra, che sia vinta o persa, c’è il pianto delle madri, come dice il grande scrittore Giuseppe Marotta.
Sono diversi i metodi per realizzare un presepe, dalla costruzione con il sughero, a quella con il gesso e la cartapesta, senza dimenticare i più semplici e umili presepi di carta da ritagliare. Credo che nella mia vita li ho adoperati quasi tutti. Uno degli ultimi l’ho realizzato adoperando alcuni pezzi della collezione “Del Prado”, del bravissimo scultore spagnolo Jose’Luis Mayo Lebrija, inserendoli in uno scenario di sughero. Mi sembra che il risultato sia accettabile, anche se la mia predilezione va ai pastori interamente di terracotta, come ho più volte scritto su queste pagine. Malgrado siano realizzati in resina, i personaggi dello scultore Mayo, del tipo cosiddetto “palestinese”, sono piacevoli, finemente lavorati.
Ma, al di là dei vari sistemi di costruzione, ho sempre raccomandato che alla base della realizzazione di un presepe vi sia almeno una idea da meditare e sviluppare. Ciò che ho fatto anche in questo caso in cui ho adoperato i pezzi “prefabbricati” della collezione Del Prado.
Rinunciando a modellare ex novo la grotta, ho assemblato i pezzi per realizzare la stalla della Natività. Se mi hai letto altre volte su queste pagine, o anche nel mio libro Il sogno di Benino, saprai che, per motivi simbolici, preferisco la grotta, sia al tempio pagano in rovina, sia alla capanna. Ne ho parlato soprattutto nell’articolo su Presepe napoletano colto e popolare.
Ma questa volta ho voluto fare qualcosa di diverso.
Mi sono preoccupato soprattutto di realizzare tre scene, ispirate alla maternità ed accostate significativamente l’una all’altra: al centro la maternità divina (la Madonna con il Bambino Gesù), ai lati la maternità umana (la madre che conduce la giovanissima figlia ad adorare il Figlio di Dio fatto uomo) e la maternità animale (la vacca che allatta il vitellino). Per questo l’ho chiamato il presepe della maternità.
Quello della maternità è un mistero profondissimo, di fronte al quale gli uomini dell’antichità chinavano il capo in assorta meditazione, perché sapevano che in questo mistero è racchiuso quello della vita. Forse il matriarcato, come “governo delle madri”, non è mai esistito, ma è certamente esistita una forma di venerazione e di rispetto per la Madre, che dava origine a bellissime figure mitiche di Dée, i cui attributi si sono poi trasferiti alla Gran Madre di Dio, la Vergine Maria.
Fin dai tempi antichi, nell’idea della Grande Madre è insita anche l’idea della mater dolorosa… tutti i dolori che toccano ad un uomo, in questa valle di lacrime, si aggrumano nel cuore della madre. Dallo stupendo bronzo nuragico, definito “La madre dell’ucciso“, alla Pietà di Michelangelo, l’emozione sottesa è che la morte di un uomo trapassa come una spada il cuore della madre, secondo la profezia del santo vecchio Simeone, alla presentazione di Gesù al tempio (“E anche a te una spada trafiggerà l’anima”: Vangelo secondo Luca 2, 34-35).
Il dolore delle madri non ha confini e non ha bandiere, mentre il sangue ha un unico colore.
Vorrei che sul tuo comodino ci fosse sempre il libro di Giuseppe Marotta, Le madri, come utile correttivo agli odi nazionalistici che portano alle guerre e agli stermini. Al termine di ogni guerra, che sia vinta o sia persa, dice Marotta, resta il dolore delle madri.
Papa Francesco, la sera del venerdì santo, quando il mondo cristiano commemora l’ingiusta morte del Giusto per eccellenza, ha voluto che a portare la croce fossero insieme due donne, una ucraina e una russa, rappresentanti di due nazioni in guerra. Entrambe realizzazioni della mater dolorosa.
E fu subito polemica. Un “filosofo”, uno di quegli intellettuali che il nostro tempo, privo di un vero pensiero, reputa un maître à penser, accusò Francesco di non “comprendere il dolore degli Ucraini”. Con più verità, è l’illustre filosofo a non comprendere il linguaggio del papa, che è il linguaggio del Vangelo. Al di là della guerra giusta o ingiusta e degli odii nazionalistici, c’è il dolore di tutte le madri: una madre russa orbata del figlio non può consolarsi al solo pensiero che suo figlio appartenesse all’esercito invasore.
Un ricordo della mia gioventù è quello delle madri italiane che alle stazioni, ancora negli anni Sessanta, attendevano il ritorno di un figlio dalle steppe della Russia, nella speranza che fossero rimasti prigionieri e non morti sul campo di battaglia. Avrebbe avuto, il nostro maître à penser, il coraggio di dir loro di non piangere, perché i loro figli erano, per i Greci e i Russi, nient’altro che invasori?
Il papa è portatore di un messaggio di amore, quell’amore che induce il cristiano a pregare anche per i suoi nemici. Nei Promessi Sposi del Manzoni c’è una pagina bellissima quasi alla fine del capitolo VIII, in cui fra Cristoforo invita i suoi protetti a pregare anche per il loro persecutore, di loro ben più infelice, perché è nel torto ed è nemico di Dio. Per questo il cristiano prega sia per i martiri sia per i carnefici.
Ma già, dimenticavo: il filosofo, maître à penser, è lo stesso che sconsiglia di far leggere ai giovani I promessi sposi. Chissà se li ha mai letti sul serio lui stesso.
Ma, per fortuna, noi non abbiamo bisogno di alcun maître à penser, perché sappiamo pensare con la nostra testa e, soprattutto, sentire con il nostro cuore. Che batte per i giovani morti di entrambi gli schieramenti, al di là della condanna senza mezzi termini per tutti gli aggressori e i violatori dei confini, che scatenano guerre, stando al sicuro nei loro palazzi, come un giorno Erode, che, arroccato nel suo castello, scatenò la strage degli Innocenti.
Le madri di Giuseppe Marotta fu uno dei primi libri che mi consigliasti di leggere e, a mia volta, non mi sono mai stancato di riconsigliarlo vivamente.
Mi si riempie il cuore di tanta tenerezza nel guardare le foto del presepe che hai allestito sul mistero e sulla bellezza della maternità, ma allo stesso tempo ti toglie il respiro il solo pensiero di riuscire a vivere e poi a sopravvivere alla morte di un figlio.