Il pozzo è uno degli elementi “irrinunciabili” sul presepe napoletano. In correlazione con la zingara, indica la comunicazione fra l’alto e il basso, fra il cielo e le profondità della terra, nelle quali si nascondono le vite future e i destini degli uomini.
Era uno dei giorni immediatamente precedenti il Natale. Nelle case si davano gli ultimi ritocchi al presepe e qualcuno andava in tutta fretta a San Gregorio Armeno o a San Biagio dei Librai per cercare ancora un “pastore” che gli mancava, magari perché era stato trovato rotto nel corso dello scartoccio. Anche il simpatico Luca Cupiello, trovato uno dei Magi con la testa spezzata, si era recato a San Biagio dei Librai per acquistare una nuova serie dei tre re.
Ancora i turisti non l’avevano invasa, quella strada che è il simbolo di Napoli, e vi si potevano incontrare i cultori del presepe popolare, quello costruito con poca fatica e poca spesa e popolato dagli umili pastori in terracotta. Non me ne si voglia, se il mio spirito rifugge dall’attuale confusione e ritorna con nostalgica simpatia a quei tempi di povertà e semplicità, ma di grande ricchezza interiore e di una felicità, contenuta e appagata del poco: erano i tempi della mia infanzia e della mia adolescenza.
E fu in questa strada che, come ho raccontato qui, accadde uno di quegli episodi, insignificanti a prima vista, che mi misero sulla strada della mia interpretazione del presepe: un padre che, tenendo per la mano il suo piccolo, andava alla ricerca di un “pozzo”, senza il quale il suo presepe non sarebbe stato completo: “Ma come – sbottò a un tratto – a San Gregorio Armeno non si trova un pozzo!”
Segno che, per la tradizione, il “pozzo” è un elemento irrinunciabile.
In realtà, esso è parte integrante di qualunque antico paesaggio urbano, delle epoche in cui non vi era acqua corrente nelle case e per attingere acqua per le necessità quotidiane occorreva recarsi al pozzo. Ma sul presepe napoletano acquista una valenza simbolica di primo piano, come tutti gli altri personaggi ed elementi irrinunciabili.
Proviamo a precisarla partendo da alcune considerazioni e, come al solito, da miti e leggende di varia origine.
Ho parlato in altri articoli, per esempio qui, della qualità nostalgica e un po’ triste del suono delle zampogne, che si diffonde(va) per le strade di Napoli nei giorni delle due novene, dell’Immacolata e di Natale. Esso sembra(va) venire dalle profondità della terra e salire al cielo, quasi ad invocare la discesa del Salvatore. Il mito più antico, che è quello del sacro connubio fra terra e cielo, era adombrato dalle parole del profeta Isaia, che poi la Chiesa ha adoperato per la liturgia del Natale:
rorate caeli desuper et nubes pluant Iustum: aperiatur terra et germinet Salvatorem
“fate cadere, o cieli, rugiade dall’alto e le nubi lascino piovere il Giusto: si apra la terra e il Salvatore sia suo germoglio”
Nei punti in cui la terra si apre, le profondità della terra si congiungono al cielo.
Ma nelle profondità della terra si nascondono non solo le radici della vita, ma anche l’origine di tutto ciò che è negativo, poiché il grembo della terra è indifferente a ciò che, nel mondo di sopra, è il bene ed è il male.
E l’umanità, messa a confronto con questi misteri, ha narrato più e più volte questi miti.
Una delle divinità più importanti della mitologia greca è il dio Apollo. Dio terribile, che con le sue saette coglie infallibilmente il bersaglio.
Una delle sue prime imprese (era da poco venuto alla luce, nato da Latona, amata da Giove) fu di uccidere un enorme serpente, Pitone, che stava a guardia di un luogo misterioso, a Delfi, dove vi era una pietra che segnava l’ombelico del mondo: e qui vi era anche un crepaccio, da cui usciva la voce oracolare che svelava i destini. Un pozzo, dunque, né più né meno. Apollo divenne da quel momento il dio della profezia e sua sacerdotessa fu la Pizia, che rivelava il futuro, dopo avere aspirato i vapori che salivano dal profondo della terra. Poi Pitone stesso (non ti stupire: il mito ha di queste meravigliose contraddizioni) divenne amico del dio e continuò a custodire per lui il sacro luogo.
Una bella raffigurazione di Apollo con Pitone che si avvolge intorno alla pietra/ombelico si trova in un affresco pompeiano della “casa dei Vettii”.
Anche la Sibilla, che talvolta si confonde con la Pizia (anche se in realtà sono due figure diverse) è in comunicazione con le forze di sotterra, tanto è vero che accompagna Enea nel suo viaggio nell’oltretomba. Ed entrambe, Pizia e Sibilla, si traspongono nella figura presepiale della zingara.
Infatti, il pozzo è anche legato alla simbologia delle Madonne Nere che si incontrano in tutta Europa.
La simbologia del pozzo si ritrova in molte leggende popolari: un esempio è il celebre Pozzo di San Patrizio, che è indicato in varie località dell’Irlanda. Questa denominazione si adopera anche per la grande cisterna d’acqua che si trova ad Orvieto.
Arturo Graf, nel suo libro su Il diavolo, riporta la storia di un monaco che, per tentazione di Satana, si getta in un pozzo; e l’altra in cui è il diavolo stesso a minacciare Santa Francesca Romana di buttarla in un pozzo.
Il pozzo compare anche in una lettera di San Bonifazio, al principio del secolo VIII, il quale narra di un tale che ebbe una visione: uccelli neri uscivano da un pozzo che vomitava fiamme e quindi vi si rituffavano dentro, dopo essersi posate per po’ sull’orlo. Erano anime purganti che espiavano le loro colpe.
L’immaginazione popolare ha infatti sempre posto l’oltretomba nel sottosuolo e di questa immagine si è impadronita l’altissima fantasia di Dante che ha raffigurato l’inferno come una voragine che raggiunge il centro della terra, in cui è confitto Satana, il quale, nei suoi tre volti di tre diversi colori, scimmiotta la Divina Trinità: perché, nella simbologia di tutti i tempi, l’alto è come il basso, per analogia e per opposizione.
Dante, nel XXXI canto dell’Inferno, parla anche di un altro pozzo in cui sono confitti i giganti.
Si potrebbe continuare; ma credo che, per il momento, basti quello che ho detto per abbozzare il simbolismo del pozzo sul presepe popolare.
Non lasciarti però sfuggire il significato della più bella immagine del pozzo che io conosca: quello sul cui margine siede Gesù, quando chiede alla Samaritana un po’ di quell’acqua che ella ha attinto, ma in cambio promette a lei, e con lei a tutta l’umanità, l’acqua viva di verità, che scorre per la vita eterna.
E tu, in quale punto del tuo contesto presepiale collochi il pozzo? E lo colleghi a qualche figura in particolare?
E quali “pozzi” hai incontrato nelle tradizioni del tuo paese?
Avrei piacere se con le tue esperienze volessi arricchire queste note.
Che bello quando il narratore che è in Lei prende il sopravvento sullo studioso! Quando quel pozzo, prima che metafora, è ricerca di un padre che tiene per mano il suo bambino..
In effetti, lo studioso dovrebbe sempre essere al servizio del narratore e mai viceversa. Del resto, se ricordi, vi parlavo spesso della “gioia ionica” del raccontare, che è di Omero, di Erodoto e anche mia, se mi è lecito mettermi al seguito della grande schiera. Ma la tua osservazione mi mette sull’avviso che il più delle volte è lo studioso a prendere il sopravvento: che è quanto dire che talvolta sono un po’ (o molto?) pedante. Accolgo quindi le tua osservazione come un invito, avanzato con molta discrezione e apprezzabile tatto, a ritrovare la “gioia ionica del racconto” e a non lasciar trapelare troppo le letture che del racconto costituiscono la base. Accolgo l’invito e ti ringrazio della lettura e del commento.
Solitamente colloco il pozzo (un piccolo pozzo che ho costruito incollando l’una sull’altra delle pietruzze e con l’impalcatura soprastante e il secchio per attingere in legno) nei pressi della piazza del mercato, non distante dalla taverna, insomma nella parte “urbana” del mio presepe che mi piace suddividere in una parte di campagna, idilliaca, coi pastori e le greggi, dove trova posto la Natività ed una parte appunto urbana con le abitazioni, la piazza e quegli elementi non propriamente rassicuranti come il pozzo e la taverna. Riguardo al folclore sul pozzo mia madre mi racconta che una volta ai bambini per tenerli lontani dal pericolo si diceva che al suo interno si nascondeva una specie di strega chiamata “Maria Ganciona” che con un gancio afferrava i bambini che vi si avvicinavano e li trascinava dentro. Io sono della Liguria ma ho scoperto che c’è un equivalente Napoletano di questo misterioso personaggio chiamato, chiedo scusa se sbaglio a trascriverlo, “Maria a Manilonga”. Mi piacerebbe sapere la sua opinione al riguardo. Saluti Francesco.
Mi piacerebbe vedere qualcuno dei suoi lavori. Se mi manda le foto, potremo pubblicarle e commentare i suoi presepi. Ha ragione, nel folclore campano c’è una figura detta Maria Manilonga: è un essere fantastico che attira i bambini nel pozzo. La figura à stata realizzata per il presepe dai fratelli Scuotto, che hanno il laboratorio artigiano a Napoli, di fronte ai portici angioini. Il mio parere? Non so se gli avellinesi collocassero sul presepe questa figura, ma vorrei richiamare ciò che ho scritto negli articoli recenti su tradizione e innovazione nell’arte presepiale, e cioè che occorre fare attenzione a non fare diventare il presepe qualcosa d’altro. Il mostro che attira i bambini nel pozzo, dà a questo una valenza del tutto negativa. Ora, nel mondo dei simboli la regola è quella dell’ambiguità: nessun simbolo è del tutto positivo, nessuno del tutto negativo. Così l’elemento “acqua” è pericolo ed è vita, il capro può raffigurare il diavolo, ma anche Cristo… e così via. Il pozzo ha dunque anche caratteristiche positive: se si fa uscire da esso Maria Manilonga o Maria Ganciona (i due appellativi si equivalgono), si distrugge la valenza positiva della sua presenza sul presepe. Meglio mantenersi in una prudente ambiguità. Grazie ancora per l’attenzione che mi dedica.
Manderò le foto molto volentieri, onorato se riesco anche io a dare un piccolo contributo ai suoi articoli. Per quanto riguarda l’ambiguità dei simboli ricordo che prima di conoscere il significato della figura di Benino nel Presepe tradizionale Napoletano avevo interpretato la figura del pastore dormiente in due differenti significati, uno negativo e l’altro positivo appunto. Nel primo vi vedevo la figura dell’ottuso che non accorgendosi del Miracolo che si manifesta a poca distanza da lui dorme oziosamente; nel secondo vi vedevo al contrario l’uomo che trovando finalmente pace e protezione con la venuta del Salvatore si addormenta sereno come un fanciullo. Trovo che il significato tradizionale di Benino, che vede lo stesso presepe come frutto della sua visione o cammino iniziatico, con i suoi pericoli e rivelazioni, coniughi molto bene le mie due iniziali interpretazioni, un po’ come Lei spiega succedere con la lavandaia per le figure del cacciatore e del pescatore, dove positivo e negativo trovano finalmente equilibrio.