Si possono chiamare pellegrinaggi presepiali le visite a presepi in chiese o anche in dimore private. Questa volta ti conduco in visita al presepe di una parrocchia napoletana del quartiere S. Carlo all’Arena.
Pellegrinaggi presepiali: intitolo così queste pagine dedicate alle mie passeggiate, nel corso delle quali, per lo più in compagnia di appassionati (qualcuno direbbe “fissati”) come me, visito presepi ospitati in luoghi pubblici e privati: queste passeggiate sono animate, infatti, non dalla semplice curiosità, ma dalla precisa intenzione di compiere un cammino verso la conoscenza.
Che cos’è un pellegrinaggio?
Pellegrinaggio: 1 il recarsi per devozione o penitenza in un luogo che si considera sacro; per estens(ione), viaggio per visitare luoghi celebri , ricchi di memorie storiche […] 2 comitiva di pellegrini in viaggio 3 (non com.) peregrinazione […]
Ti ho riportato le parti salienti della definizione che di pellegrinaggio dà il dizionario Garzanti, perché tu possa vedere come esse coprano la totalità delle motivazioni che spingono ad “andare per presepi”, a compiere cioè dei pellegrinaggi presepiali.
Infatti, la visita a un presepe (ti ricordo ancora una volta che un presepe, anche se piccolo, si “visita”, non si “guarda” semplicemente) è tutte e tre queste cose:
1 è un atto di devozione verso una tradizione che si ritiene “irrinunciabile”
2 è un viaggio in cui si visitano luoghi carichi di memorie: di una persona, di una famiglia, di una comunità; a volte si tratta di vere e proprie memorie storiche, come nel caso del piccolissimo presepe dei soldati nella Prima Guerra mondiale, nella chiesa di San Giovanni in Foro a Verona, di cui ti ho già parlato qui.
3 è anche “una comitiva”, perché in genere a visitare un presepe, o più presepi, non si va da soli, ma in compagnia: di amici, di ospiti, soprattutto di figli e di nipotini.
Alla fine del “pellegrinaggio” te ne ritorni a casa arricchito, “sapendo di più”, come al termine d’ogni viaggio. Spesso il presepe visitato a casa di un amico o in una chiesa ti offre lo spunto per soluzioni nuove, cui non avevi pensato: una particolare disposizione, una tecnica inedita, un personaggio che mai avresti immaginato (il brigante, per esempio).
Questa volta ti accompagno nella visita al presepe allestito nella chiesa parrocchiale del SS. Crocifisso e di Santa Rita, in Napoli, nel popoloso quartiere di San Carlo all’Arena.
Come puoi vedere, il presepe è stato disposto ad angolo, nello spigolo della parete, in modo da avere una base triangolare, il cui lato maggiore è rivolto verso lo spettatore. Questa disposizione conferisce profondità alla composizione, grazie anche alla soluzione per cui la cima del monte, su cui si arrampica il paese, viene a trovarsi nel vertice superiore del triangolo.
Una soluzione francamente da imitare: da presepista a presepista, direi “un’idea da rubare” (chi non “fa il presepe” non può capire il gusto di “rubarsi” l’un l’altro l’idea interessante).
Il paese che si arrampica lungo la costa del monte è un elemento dei più amati del nostro paesaggio campano. Il corso d’acqua, il fiume, che discende dall’altro lato ha un valore paesaggistico, ma anche un valore simbolico, come ormai sai bene.
La visita al presepe si compie spostandosi continuamente, per apprezzarlo da varie angolazioni: la veduta frontale ti nasconde spesso particolari e soluzioni tecniche che ti saranno invece rivelati da una veduta laterale, come in questo caso: collocandoti alla estremità alla tua destra, puoi apprezzare la “fuga” che dalla piazza conduce all’altura della Natività.
Poi, ritornando a sinistra, in primo piano, ti soffermi sui personaggi: la bottega del pescivendolo, in fondo, e , più avanti, il pastore della meraviglia, che alza la mano sinistra a riparare la vista dal bagliore che ha scorto sul poggio in cui si compie il miracolo della Nascita di Dio secondo la carne.
Lungo la strada che, mediante una stretta scalinata, conduce al paese arroccato sulla cima, una casa rustica ed una fontana ti riconducono ai paesaggi consueti della Campania e ti richiamano alla memoria antiche canzoni napoletane:
scalinatella longa longa, strettulella strettulella …
E l’altra, indimenticabile, di E. A. Mario:
‘Sta funtanella, che mmena ‘a tanto tiempo l’acqua chiara …
Poi, ritorni a immergerti nell’animazione della piazza, nella quale spicca la presenza del pozzo, elemento imprescindibile della vita popolare, quando non vi era nelle case l’acqua corrente, e irrinunciabile anche sul presepe, sul quale acquista il valore simbolico aggiunto di assicurare il collegamento dell’alto con il basso, delle potenze infere con quelle superne.
Ti invito ad osservare l’elegante fattura di questo pozzo, il suo aspetto di realtà, con la carrucola e i secchi per attingere l’acqua, ma anche la naturalezza con cui si inserisce nel pavimento, accuratamente lavorato e preparato, per rendere l’idea dell’acciottolato in alcuni punti e del selciato in altri.
Poi spostiamo lo sguardo sull’osteria: davanti alla porta, dei tavolini già apparecchiati attendono dei probabili avventori, per i quali il pizzaiolo, la pala in mano, sta preparando una delle favolose “pizze” napoletane, che inutilmente, in altri paesi, si tenta di imitare. Difficile immaginare, guardando il pacifico aspetto dell’oste, che esso incarni il nostro antico “avversario“, sempre pronto a distogliere il nostro sguardo dalle eterne realtà divine, per tenerlo ancorato alle effimere realtà di quaggiù.
Divertiamoci anche a guardare all’interno delle case, che sono state arredate secondo la povertà di mezzi di un tempo: scrutandovi dentro non pecchiamo di indiscrezione, una volta tanto, perché sono le finestre stesse, restando spalancate anche se è pieno inverno, a invitarci a gettare uno sguardo nell’intimità dell’abitazione. Ricordo di un tempo in cui la vita era pienamente vissuta solo se condivisa con la collettività. Anche a questo serve il presepe: a perpetuare il ricordo di un tempo in cui la porta era sempre spalancata per tutti e non c’era bisogno di serrature alle porte e di spranghe alle finestre. Il presepe, insomma, ci ammonisce che l’individualismo esasperato è un portato di tempi recenti.
Mi divertono, naturalmente, i piccoli particolari di vita vissuta: il paniere calato dall’alto del balcone, per “fare la spesa”, i vari tipi di “meloni” appesi alla finestra a farli maturare, la gabbietta per gli uccelli, il lenzuolo steso ad asciugare.
Fa simpatia la discreta presenza della cappelluccia con la Madonna di Pompei (un anacronismo? il presepe non ne ha certo paura), accanto al portone, a poca distanza dall’osteria: segno di sacralità, lungo la strada, ed ammonizione che “non di solo pane vive l’uomo”… che anche per i frequentatori dell’osteria il riscatto non è impossibile.
Il culmine della rappresentazione è naturalmente il luogo della Natività: trova il mio pieno e incondizionato consenso il fatto che esso sia posto su un’altura, in modo che, dopo avere compiuto la discesa dal monte al piano, gli adoranti debbano poi compiere un’ascesa. Ritrovo qui, dunque, una soluzione che io stesso adottai per la prima volta tanti anni fa, sotto la spinta emotiva dell’Alleluia di Haendel, e che da allora non ho più abbandonato.
Mi piace, insomma, questo presepe. Sono tornato spesso a “visitarlo”, pensando ogni volta alla cura attenta al particolare e alla abilità manuale profuse dai costruttori. Ma essi tuttavia non sarebbero riusciti a compiere un’opera che trasmettesse un’emozione profonda, se all’origine non vi fosse già stata un’emozione: più che un’emozione, una fede. Come più volte ti ho detto, “fare il presepe” non è come fare il plastico per il trenino o per la battaglia di Waterloo: fare il presepe non è né modellismo, né collezionismo, ma qualcosa di più, molto di più.
Un aspetto su cui voglio attirare la tua attenzione: i pastori sono di diversa fattura e di diverso stile, come è ovvio per un presepe parrocchiale, costruito con l’apporto dei fedeli che avranno donato chi una statuetta, chi un’altra. Ma questa disparità non stona affatto, poiché i vari elementi sono circonfusi della stessa luce. E in più c’è il sentimento della partecipazione: il presepe in parrocchia è la festa dell’intero quartiere. E c’è ancora qualcosa di più.
Non so se è un caso (ma che cosa avviene a caso, nel mondo dello spirito?): il presepe viene a trovarsi tra la statua (molto bella) della Madonna Immacolata (di Colei che con il suo umile “sì” ha permesso che tutto il Mistero si compisse) e il grande Crocifisso sull’altare: il Bimbo, che ora, nella mangiatoia, apre le braccia per accogliere l’umanità dolente rinvia al Cristo che apre le braccia sulla croce nel segno della Redenzione.
Non per nulla il presepe si disfa preferibilmente il due febbraio, festa della Purificazione di Maria e della Presentazione di Gesù al Tempio.
Si chiude il periodo di Natale e si apre quello di Pasqua. Il Venerdì Santo, adorando la Croce, aspetteremo la Risurrezione e i “fissati” come me staranno già pensando al nuovo presepe da allestire di lì a qualche mese. Impossibile pensare il presepe, senza il pensiero della Pasqua. Né la Pasqua verrebbe, senza, prima, il presepe.
E tu, hai l’abitudine di “andar per presepi”?
Ciao Italo,
quanto mi piace il titolo che hai dato a queste pagine e rileggere le appassionate “istruzioni” per visitare al meglio un presepe: anche se sicuramente mi si obietterà che, facendo parte della Compagnia dei “fissati”, la mia opinione non può essere che di parte.
Un caro saluto
Mariano
Siamo “fissati”, è vero, però ci siamo fissati su un’idea buona, come diceva il grande Nino Manfredi, nel film “Carmela è una bambola”… Ciao, Mariano, e grazie dell’attenzione.