Il pastore della meraviglia di Gennaro Matino interpreta il presepe come una storia di grande valore religioso etico e culturale: la racconta un vecchio pensionato a un giovanissimo studente, nell’osservanza di una tradizione secolare
Era la mattina della Vigilia di Natale, a piazza San Gaetano, davanti la basilica di San Lorenzo Maggiore, quando ho incontrato per la prima volta, dopo una lunga frequentazione virtuale, il signor Mariano, il quale da tempo seguiva le note relative al presepe napoletano che andavo pubblicando sul web.
Per due appassionati del presepe non poteva esservi luogo più indicato della piazza cui fa capo San Gregorio Armeno, la celebre “via dei pastori”.
Il signor Mariano è nato in Campania, ma oggi vive a Marino, vicino Roma, e per quell’incontro mi aveva portato, quasi uno dei Re Magi, i suoi doni: due bottiglie di un favoloso bianco dei Colli Albani, accompagnate da un libro, che, inutile nasconderlo, mi incuriosì immediatamente, perché parlava, manco a dirlo, del presepe napoletano.
Così, quella sera, dopo avere innaffiato la cena della Vigilia con l’ottimo vino dei Castelli e avere posto, con la consueta commovente cerimonia, il Bambinello nella mangiatoia, mi dedicai al libro. Lo lessi senza interruzione per una buona metà, terminandone la lettura il pomeriggio successivo.
, in maniera piacevole e accattivante, narra la storia del presepe napoletano popolare, servendosi dell’artificio semplice e, per la verità, non nuovo nella letteratura, ma in ogni caso sempre efficace, della narrazione che un vecchio fa ad un giovane: è il senso della “tradizione”, cioè della “trasmissione” di cui ho più volte parlato.Ad un ragazzo di scuola media, dal napoletanissimo nome di Gennarino, è stato assegnato come compito, dalla insegnante di Lettere, una ricerca sul presepe napoletano: su questo argomento nessuno, per offrire spiegazioni, sembra più indicato del vecchio Peppe (che il ragazzo chiama, rispettosamente, zio, ma che in napoletano suona ‘o zi’), un ferroviere a riposo, appassionato cultore del presepe e di tutto ciò che lo riguarda.
Il vecchio vive molto modestamente della sua pensione, con la moglie Luisella, ma, proprio come il celeberrimo Luca Cupiello di Eduardo De Filippo, non rinuncerebbe mai ad allestire il suo presepe a Natale, anche se la spesa che questa attività comporta, per quanto piccola, ugualmente incide sulle finanze della famiglia. Proprio come Concetta Cupiello, anche Luisella finge di essere contrariata da questa mania del marito (non poche battute dei gustosissimi battibecchi tra marito e moglie sono un chiaro omaggio dell’autore alla commedia eduardiana), ma in fondo, anche per lei, Natale senza presepe non sarebbe più un vero Natale.
I due vecchi, consapevoli che, se non è vi una presenza di bambini, al presepe viene meno il pubblico più indicato, soprattutto nella festa di Natale avvertono la mancanza dei nipotini: ma questi vivono a Milano, con i loro genitori, che qui hanno trovato quel lavoro che la loro città non ha loro saputo o potuto procurare.
Per fortuna, ora è arrivato Gennarino, con la sua ricerca.
Un incontro davvero fortunato: un vecchio, con l’ansia di trasmettere, e un ragazzetto che, dapprima per necessità scolastica, poi per curiosità ed interesse crescente, vuole sapere.
Il ragazzo aiuta “zio Peppe” a sistemare i “pastori” sul presepe e il vecchio, mano a mano, va spiegando la storia del presepe, presentando i personaggi, di cui rivela il significato simbolico, chiarendo il senso dei particolari della scenografia, perché ci sono il fiume, l’arco, il ponte, il pozzo.
Si sofferma su due personaggi “chiave”, il “pastore della meraviglia” e “Benino”, il pastorello che dorme, o meglio sogna.
Ed alla fine, si è quasi alla mezzanotte, per Gennarino la ricerca è passata in secondo piano, rispetto alla rivelazione di un mondo per lui del tutto nuovo. Andato lì a raccogliere notizie per un noiosissimo compito scolastico, si è lasciato prendere ed affascinare dalla storia vasta e complessa del presepe: alla fine, ha compreso che il presepe non è solo un più o meno artistico passatempo, ma è soprattutto l’espressione di una concezione del mondo.
Come ho detto, ho trovato questo libro “Il pastore della meraviglia” molto interessante, perché considera il presepe come un discorso, le cui varie parti si rapportano l’una all’altra, non soltanto come un “paesaggio”, in cui si muovono dei “personaggi” che potrebbero essere sostituiti, altrettanto bene, da altri: il presepe è una raffigurazione simbolica, in cui ogni elemento ha la sua ragion d’essere, la sua necessità.
L’autore, che è un sacerdote impegnato nell’attività pastorale, interpreta il presepe in chiave di “annuncio” evangelico, con dei risvolti sociologici di rilevante spessore: per esempio, per spiegare la presenza del cacciatore sul presepe, la rapporta a quella del pescatore, riconoscendo nei due “pastori” un’indissolubile coppia. Il cacciatore rappresenta lo status sociale del ricco, il pescatore quello del povero. Il presepe, cioè, contempla la compresenza dei diversi strati sociali, senza giustificare le disuguaglianze, ma prendendone atto.
Interessante è, quindi, questo metodo di far “parlare” il presepe, in un’interpretazione unitaria del complesso e delle singole parti. Si può essere, o no, d’accordo con la valutazione di questo o quell’altro particolare, sulla validità di questo o quell’altro passaggio: l’importante, in questo tipo di operazioni interpretative, è che l’interpretazione sia coerente e non presenti discrepanze e contraddizioni interne.
“Il pastore della meraviglia” è molto ben documentato.
Molti anni fa, tentai anch’io un’interpretazione globale e unitaria del presepe popolare napoletano, in cui rendevo conto puntualmente di ogni singolo elemento e di ogni singolo personaggio. La mia interpretazione si muoveva su un altro piano rispetto a quello di Gennaro Matino, ma, come avvertivo nelle prime pagine della mia ricerca
“qualunque simbolo è polivalente, o polisemico, si dica come si vuole; in ogni caso un’interpretazione non ne esclude, di massima, altre; per lo meno, se è vero che nel mito la norma non è la lezione unica, bensì la variante” (Il Sogno di Benino, premessa).
L’unico difetto che, in veste di critico letterario, devo rilevare, sul piano narrativo, è la “poca credibilità” della figura del vecchio “zio Peppe”, quando fa sfoggio di conoscenze che difficilmente gli possono appartenere e che l’autore gli ha prestate di suo, prendendole dal suo notevole patrimonio culturale (ho dimenticato di dire che Gennaro Matino è docente universitario di Teologia pastorale e di Storia del Cristianesimo). Il vecchio zio Peppe appare, insomma, non tanto con i tratti del vecchio pensionato delle ferrovie, quanto dello studioso di antropologia e di storia delle religioni.
Un altro particolare, su cui sarà il caso di ritornare, è che il pastore “della meraviglia” non mi sembra appartenere alla tradizione del presepe napoletano popolare, nel quale il suo ruolo (perfettamente equivalente) è assolto dal personaggio del Benino, all’origine del percorso presepiale.
Ovviamente in questo articolo, mi sono volutamente mantenuto su aspetti generali, per stuzzicare la tua curiosità e non privarti del piacere della scoperta.
Spero che quanto ne ho detto ti spinga a leggere il libro
Buona lettura!
L’ho letto, lo suggerisco a quanti più conosco, peppe cicirelli
Sì, è un bel libro. A me lo ha fatto conoscere Mariano. Ma, senza false modestie, continuo a preferire la mia interpretazione.