Natale, in casa Scognamiglio, un po’ diverso, in verità, dal “Natale in casa Cupiello”: come, in poche ore, si può allestire una scenografia presepiale per “pastori vestiti”, ottenendo il risultato di un valido effetto.
Comodamente seduto sul divano, Guido contempla il risultato del nostro operare, rapido ma efficace. Il presepe del suo amico non è più solo una esposizione di piacevoli statuine, disposte su una tavola in bella mostra, ma una vera e propria rappresentazione dell’evento capitale della nostra storia, della Nascita da cui prende l’avvio la nostra attuale numerazione degli anni.
Come nella “casa Cupiello” della commedia di Eduardo, si fa il presepe, ma diversamente da casa Cupiello non c’è in casa Scognamiglio nessuno che dice “nun me piace ‘o presepio”.
Ma andiamo con ordine.
Passeggiavamo per la via San Gregorio Armeno, non troppo affollata, nonostante il periodo natalizio, grazie all’ora che avevamo scelta per la passeggiata. Mentre andavamo osservando i prodotti dell’arte presepiale, disposti lungo la strada, fuori le botteghe artigiane, Guido mi parlava di un suo amico che, pur possedendo dei “pastori” molto belli, aveva il cruccio di non poterli disporre ad arte su un vero e proprio presepe: mancava a Natale solo qualche giorno, così che tempo per allestire una scenografia, uno “scoglio” degno di questo nome, non ve n’era. Senza parlare del costo che avrebbe avuto un presepe per “pastori” di trenta centimetri. Si trattava, infatti, mi disse Guido, di statuine “vestite”, opera di capaci artigiani contemporanei.
Guido conosce la mia capacità di “improvvisare” presepi e quindi la richiesta sottintesa era evidente.
Insomma, presi gli accordi del caso, il giorno dopo ci troviamo a casa del suo amico, intenti a “fare” il presepe.
Diamo un’occhiata al materiale che abbiamo a disposizione: l’amico di Guido, che abita nella zona dei Campi Flegrei, dispone di alcune tavole di legno, di alcuni grossi pezzi di sughero e, inoltre, di uno sfondo su cui è dipinto un paesaggio, con una roccia che si protende sul mare. Per allestire il presepe, c’è dunque, l’essenziale.
Cominciamo con il collocare delle tavolette di legno. Sotto, per non danneggiare il tavolo, su cui poggia la costruzione, abbiamo messo un tappeto verde. Così, se verranno a crearsi dei vuoti nella composizione, il verde del tappeto si confonderà con il verde del muschio.
Secondo una consuetudine ormai consolidata, penso di collocare la Natività un po’ più in alto rispetto al piano. Chiedo se vi è qualche scatola. Me ne portano una di scarpe. La colloco davanti allo sfondo.
Quindi sulla scatola disponiamo la Natività, con alle spalle un rudere di tempio pagano, il frammento di un arco, in cui è contenuta l’allusione all’Antichità classica, con una duplice significazione: la vittoria del Cristianesimo sulla religione pagana, ma anche la vitalità della cultura antica che della nuova religione è necessaria base e valido supporto.
La scatola di scarpe scompare, celata da un grosso pezzo di sughero.
Chiedo, poi, se vi è un’altra scatola di scarpe, un po’ più bassa della prima. La portano e la dispongo davanti a quella che sostiene la Natività; con delle tavolette, preparo i gradini per i tre Re Magi, che intendo disporre ad altezze diverse. Tavolette e pezzi di sughero sono fissati mediante colla liquida. Nella foto, in basso a destra, puoi vedere la “pistola” che serve per questo tipo particolare di colla, molto efficace e rapida, ma anche un po’ pericolosa, perché può causare delle brutte ustioni. Va quindi usata con le dovute cautele. Io la uso quando devo lavorare velocemente. Ma tu, se non hai sufficiente abilità manuale e dimestichezza con certi attrezzi e certe tecniche, puoi con maggiore sicurezza usare una colla normale: naturalmente, devi metterti al lavoro molto tempo prima, per dare alla colla il tempo di asciugarsi del tutto.
Disponiamo quindi i Re Magi, in modo da lasciare libera la visuale al centro: Baldassarre, il vecchio, Melchiorre, il moro, e Gasparre, il giovane.
I Magi poggiano già sulle loro basi. Le copriamo con pezzi di sughero, ottenendo così degli scalini. Il sughero è un materiale molto bello, che simula con molta fedeltà la roccia e può essere lavorato facilmente. Un pezzo di sughero, che riesco a ridurre in forma leggermente arcuata, collocato di fronte al frammento di arco, viene a racchiudere la scena della Natività.
Un po’ alla volta il presepe prende forma. Tutti i componenti della famiglia, la moglie, la suocera, la figlia del padrone di casa, si danno da fare per essere utili e contribuire sia pure con un piccolo apporto, magari anche solo con qualche osservazione o qualche consiglio, alla realizzazione dell’opera: fare un presepe è sempre una festa coinvolgente, anche se può capitare che il risultato finale non sia propriamente un capolavoro. A questo punto, Guido sospende l’attività per sedersi sul divano di fronte e contemplare il risultato finora ottenuto. Gli piace soprattutto quello slargo che si è quasi spontaneamente prodotto davanti alla Natività, posta leggermente in alto, con i Magi ai lati, che sembrano segnare un cammino: nonostante l’esiguità dello spazio, la vista sembra ampliarsi e lo spettatore avverte quasi fisicamente l’invito ad andare anche lui, a salire i gradini ed adorare il Dio che si fa Uomo.
Continuiamo a lavorare su un lato del presepe, che vogliamo raffigurare come montagnoso, mentre lasciamo libero e più aperto l’altro lato. In questa fase della lavorazione la sua parte la fa anche il muschio, che dà un tocco ancor più naturalistico, oltre a coprire spazi restati eventualmente vuoti.
Un altro amico, il cognato di Guido, si preoccupa di disporre le luci, che spuntano dal tavolato dello sfondo, creando l’effetto del cielo stellato.
In una cavità che è venuta a formarsi per così dire spontaneamente, suggerisce qualcuno, mi sembra la giovane figlia del padrone di casa, può essere comodamente collocata la scena dell’osteria. Accolgo immediatamente il suggerimento.
L’Angelo dell’annunzio è fissato allo sfondo, dal lato dove c’è la scena pastorale. L’annunzio della nascita del Salvatore, la “buona novella”, fu portata, infatti, ai pastori per primi, cioè ai più disprezzati fra gli uomini, come preludio a ciò che il Salvatore avrebbe detto: “Gli ultimi saranno i primi”.
Sull’altro lato, invece, lasciato più libero, trova collocazione una scena, per così dire, cittadina.Il carretto con la frutta e le verdure è un altro tocco pittoresco, adatto a suscitare la curiosità e l’ammirazione.
Il “mendicante”, assente sul presepe popolare, è invece quasi d’obbligo sul presepe che ho definito “colto”: esso per un “maestro pastoraro” è, infatti, un ottimo pretesto per mostrare le proprie capacità artistiche, di non essere, cioè, capace di modellare solo teste, ma anche un corpo umano nella sua interezza: quella che con termine tecnico si dice “accademia”.
Naturalmente, in qualsiasi presepe non può mancare il pastore sprofondato nel sonno, magari a causa di un’abbondante bevuta di buon vino, come suggerisce la fiaschetta ormai vuota nella sua mano sinistra, dove l’ha collocata, con felice intuito, la ragazza. Per esprimere l’idea che il sonno del pastore (il cosiddetto Benino) è un sonno che confina con la visione, lo abbiamo disposto in modo che sia rivolto verso la scena della Natività.
Il presepe può dirsi terminato, pronto per il Natale in casa Scognamiglio. Non ci è costato più di qualche ora di lavoro, ma sono state ore di entusiasmo coinvolgente, intorno al quale è ruotata l’attenzione di una famiglia e dei suoi amici: nulla, come il presepe, può essere simbolo dell’unità fra le persone. Un’altra di quelle che ho chiamate “le ragioni del presepe”.
Tu che ne pensi? Hai fatto esperienze del genere, allestendo il tuo presepe? Le tue osservazioni saranno sempre benvenute.
Riflessione
Guardare il presepio in casa Scognamiglio è come vivere una realtà folcloristica senza avere la pretesa di comprenderla nella sua interezza. Si è sicuramente catturati dallo spirito tipico della “fanciullezza”; non a caso Gesù dice:”Se non tornate bambini non entrerete nel regno dei cieli” (Mat .18,3). Nulla è stato posizionato a caso, una trama di figure, personaggi, eventi prendono forma, grazie anche alla lavorazione minuziosa di materiale grezzo utilizzato. Attraggono i dettagli, una meraviglia da contemplare nei minimi particolari; colpisce la scena della natività, con alle spalle un rudere di tempio, dove si nota il bambino Gesù appena venuto al mondo, che giace nel fieno, addormentato su un’aureola bianca che gli fa da cuscino e la Madonna con San Giuseppe. È una scena commovente che ci allieta di un gaudio mai assaporato prima. Disposti ad altezze diverse si notano maestosi e con manti regali i tre Magi, spettatori di quella stella cometa proiettata nella volta celeste che al suo sorgere li ha condotti fino alla mangiatoia di Betlemme per adorare il Messia con oro, incenso e mirra. Fissata sullo sfondo in una distesa di verde, immersa nel muschio è la scena pastorale, nella quale fanno da protagonisti i pastori; i più semplici, i più capaci di meraviglia che godono di quel prodigio e lo divulgano, ai quali fu annunziato per primi la buona novella. Persino le pecore, opere di Tiziana Dauria, sembrano partecipare all’evento con il loro beare, raggianti di letizia. Suggestiva è la scena dell’osteria collocata in una cavità che si è venuta a formare. Non manca il pastore sprofondato nel sonno chiamato Benino con in mano una fiaschetta vuota rivolto con lo sguardo verso la scena della natività, ma neppure il mendicante, reso ancor più attuale nella società odierna, verso i quali ha rivolto la sua attenzione il Papa Francesco nel Giubileo intitolato “Alla Misericordia”, richiamando tutti a rendere concrete le opere buone e a porgere una pano nei confronti dei più bisognosi. È proprio sotto questo punto di vista che il presepio loda la povertà, raccomanda l’umiltà ed esalta la semplicità.
Una nota di colore è rappresentata anche dal carretto con la frutta e la verdura. Ma ciò che conferisce a tutto lo spettacolo una nota di grazia incomparabile è lo sfondo in cui si incorniciano tutti i personaggi, compresi quelli che librano nell’aria, tra i quali L’Angelo dell’annunzio; e ancora il gioco di luci, il cielo stellato e il sottofondo di musica soave che echeggia nell’aria dal titolo “Quanno nascette ninno”.
Un presepio, dunque non allestito da veri e propri artisti, ma artisticamente bello, grazie alla maestria e il genio di due professori, Di Lorenzo e Sarcone, i quali aiutati anche da contributi, idee e consigli familiari, non hanno risparmiato tempo per allestire una così bella e significativa scenografia. Chi ha la possibilità di ammirarla non può non provare un senso di dolcezza infinita, riflettere e meditare su cosa significhi il Natale, spogliandolo di ogni sua decorazione.
Un esempio di vera condivisione senz’ altro da seguire!!!
Grazie, Luciana, per questo che, più che un commento, è un vero e proprio articolo. Spero che siano in molti a leggerlo, perché è davvero bello.
Al presepe con i pastori grandi ci stavo rimuginando già da diversi anni e ripensando alle tue parole “uno spunto fecondo” e a quelle di mio padre “devi saper rubare con gli occhi”, cioè imparare a fare le cose guardando, ti sono grato, caro Italo, per l’articolo e per le foto scattate passo passo, affinché ognuno possa giungere a quello “spazio” esiguo e salire finalmente quei gradini per adorarLo.
Sicuramente ne hai già parlato e mi scuso, ma volevo farti ugualmente due domande: per quale motivo il mendicante nel presepe popolare è assente? E poi nel presepe definito “colto” il mendicante è d’obbligo solo per dare la possibilità al maestro pastoraro di mostrare le proprie capacità e competenze artistiche?
Come sempre grazie di cuore
Mariano
P.S. Complimenti a Luciana per il suo “articolo”.
Sul “mendicante” scriverò di sicuro una pagina. E comincio a rispondere dall’ultima domanda. Il presepe “colto” rappresenta il mendicante naturalmente per aderenza alla realtà, poiché si propone di rispecchiare fedelmente il “paesaggio urbano” di Napoli, del quale i mendicanti sono parte integrante, come gli “zoppi”, gli “storpi”, i “ciechi”. Sono celebri i “deformi” nelle bacheche del Museo di San Martino (mi pare di averne fatto un accenno). A volte, però, come mendicanti quegli straccioni robusti e muscolosi sono poco credibili e per questo si pensa, in questo caso, che l’artista sia stato spinto più che altro dal desiderio di mostrare la propria bravura. Qualche volta c’è pure un fraintendimento: si tratta di di bovari e facchini, infatti, e non di mendicanti. Il presepe “popolare”, che, come ho scritto spesso, ha un più forte interesse per la simbologia, e quindi vede i personaggi anche come simbolo di qualcos’altro, non adopera il “personaggio mendicante”, perché non ne avverte il bisogno. Il viaggio suggerito dal presepe è un viaggio “al di là della soglia”, come la Divina Commedia; ora, il mendico, come ho scritto più volte, anche nel mio primo libro (In limine), nel nostro mondo è una presenza che proviene essa stessa “di là della soglia”. Allora il “mendicante”, sul presepe popolare, sarebbe una vera e propria ridondanza. Sul mio presepe, tuttavia, continuamente in evoluzione, misi per la prima volta un mendicante, perché attirato, in piazza Navona, a Roma, da un bellissimo “pezzo” del Maestro De Francesco. Non so se nelle mie pagine l’ho già mostrato. Se non l’ho fatto, lo farò al più presto. Grazie per avermi letto e per avermi rivolto delle domande, e buon anno alla tua famiglia. Un augurio speciale di tutto cuore a Francesco e Silvio.
Luciana Fiorellino l’ho cononsciuta l’altra sera, nella parrocchia di S.Artema a Monteruscello nei Campi Flegrei, dove Guido Di Lorenzo ed io abbiamo tenuto una conversazione su “Le ragioni del presepe”; è una donna giovane ed entusiasta, che scrive delle cose molto belle.