Mendicanti, voci dal Purgatorio: perché a Napoli, i mendicanti rappresentano le anime purganti che si aggirano tra noi, a richiedere l’obolo dell’umana solidarietà, obolo che è elemosina e preghiera.
Perché questo articolo, sui mendicanti, voci dal Purgatorio? Devo partire da lontano.
Secondo uno storico dell’Ottocento, Fustel de Coulanges, la nostra civiltà affonda le sue radici nel culto dei morti. In questa forma eccessiva non sarà magari vero, tuttavia non si può negare l’importanza che ha, o che ha avuto, la memoria di chi ci ha preceduto sul sentiero del vivere.
A Napoli, questo culto assume un aspetto particolare nella cura per le cosiddette “anime pezzentelle“, cioè quelle anime del Purgatorio che non hanno nessuno che preghi per loro e che sarebbero dimenticate: esse, quindi, “mendicano” (in napoletano “vanno pezzenno”, da “pezzire“, mendicare) l’elemosina di una prece.
Premesso che nell’idea delle “anime pezzentelle” più che una preoccupazione teologica (non esistono anime dimenticate, alla presenza di Dio), c’è da rinvenire una preoccupazione morale, direi anche poetica, nel tentativo di superare l’egoismo insito nell’animo umano, vi è comunque in essa un abbozzo della stupenda concezione cristiana della “ Comunione dei Santi“.
Naturalmente, il limite è dato da quel residuo dell’anima naturaliter pagana, per cui all’interessamento per un’anima “pezzentella” ci si attende il corrispettivo nel “numero buono” da giocare al lotto: il “pagano”, cioè l’uomo naturale” non fa niente (forse non può permettersi) di fare niente per niente. Sarà il Cristo a insegnarci che “gratuitamente abbiamo avuto, gratuitamente dobbiamo dare“. Nella consuetudine tutta napoletana del “caffé pagato”, ci sono echi sia della generosità pagana sia della carità cristiana, come ho cercato di dire nell’articolo Un caffé per le anime purganti.
Nelle strade e nelle vie di Napoli, sotto ogni edicola sacra si nota un’altra edicoletta, dedicata alle anime del Purgatorio: in genere sono quattro: la triade costituita dal vecchio, dal giovane uomo e dalla giovane donna, completata dal prete con la berretta nera dai tre pizzi. L’interno è dipinto di rosso, a significare le fiamme purgatoriali.
Una emanazione di questo culto può essere forse considerata l’opera di un a me ignoto artista, che in un vicolo di Napoli ha lavorato le pietre di un muro tufaceo, in modo da fare assumere loro l’aspetto di piccoli teschi:
passando accanto a quel muro (ci passo almeno due volte al giorno) ho l’impressione di compiere uno di quei tanti descensus ad inferos che erano per me le visite alle varie catacombe napoletane (quelle di Santa Maria del Purgatorio ad Arco e di Santa Maria della Sanità principalmente, ma anche quelle di San Pietro ad aram e di Sant’Efremo)
Un tempo, a Napoli, i mendicanti avevano un potente mezzo di richiamo per il passante al quale si rivolgevano: arrefrisco all’anime ‘e tutte ‘e muorte vuoste… (l’elemosina è un “rinfresco” per l’anima di tutti i vostri morti). C’è dunque, nell’antica ideologia del popolo napoletano, un legame strettissimo tra i mendicanti e le anime del Purgatorio (le anime pezzentelle) di cui essi sono forse l’incarnazione.
Da queste considerazioni nasce una domanda: se il mendicante è parte integrante dell’ambiente partenopeo, sarà importante collocarne la figura sul presepe? Qui devo fare riferimento a quella distinzione che operai fin dal primo momento tra “presepe colto” e “presepe popolare”.
Sul presepe colto l’immagine del mendicante è consueta: nel Museo Correale di Sorrento notai questo “pastore” dalla figura molto espressiva, un cieco vestito di stracci.
Ma il più delle volte, sul presepe del Settecento si incontrano figure di mendicanti il cui aspetto è contrastante con la loro condizione: una sorta di “marcantoni” muscolosi che inutilmente si ammantano di stracci e di una benda su un occhio, per rendersi credibili. Io li definirei più esattamente “bovari” o “vastasi” (facchini).
Pe questo mi piacque il libro di Benedetta Cibrario, di cui scrissi nell’articolo Figurari e collezionisti a Napoli: esso è incentrato su una statuetta da presepe che dal Settecento giunge ai giorni nostri: una figura di vecchio che mostra i segni della miseria, della fame e della malattia.
Anche il mendicante sul presepe del Natale in casa Scognamiglio, opera del maestro Pinfildi, mi sembra rendere bene l’oggettiva condizione del povero, vecchio e malandato.
Questo, per quanto riguarda il “presepe colto”, con i pastori vestiti del Settecento o a imitazione di quelli del Settecento. E sul presepe popolare, quello popolato dalle figurine di terracotta? Ebbene, mendicanti di terracotta sul presepe popolare un tempo non si mettevano: senza neanche sapere perché, i “pastorari” non li lavoravano e chi faceva il presepe non li cercava. La ragione è per me evidente, così come per chi ha letto le mie descrizioni del presepe popolare, che è un “viaggio” in una regione “al di là della soglia”, la stessa da cui provengono le anime purganti e mendiche. Seppure inconsapevolmente, chi faceva il presepe nella forma popolare, avvertiva che la presenza del mendicante sarebbe stata una ridondanza, un inutile duplicato.
Fino a che un bravissimo artigiano, il maestro Nicola De Francesco, non a caso ex lavorante della fabbrica di porcellane di Capodimonte, non presentò, tra le sue belle statuine, una figura di mendicante in terracotta con una benda sull’occhio. Ricordo che la sua prima esposizione la fece su una bancarella della romana piazza Navona, che un tempo era anch’essa luogo deputato alla vendita di “pastori” in terracotta, in piacevole concorrenza con San Gregorio Armeno.
In seguito, il maestro De Francesco rielaborò la sua figurina, aggiungendovi la gruccia e rendendo così anche più credibile l’aspetto del mendico.
Nel mio Videocorso sulla costruzione del presepe popolare, celai poi la figura del mendicante in una statuina di “zingara”, anch’essa “voce dell’abisso”.
In effetti, se fai il presepe sulla scorta del presepe popolare napoletano, potresti collocare anche delle figure di mendicanti, se nella realtà ne hai incontrati che abbiano lasciato nel tuo animo un segno indelebile.
Dal canto mio, ho avuto, in questo campo, degli incontri significativi e spesso ho avuto l’impressione che chi mi chiedeva l’elemosina fosse un “messaggero”, un angelo. Per questo sono stato sorpreso nel vedere sul presepe di Michele Clima, il mio amico foggiano dall’animo napoletano, un Angelo che nella notte si aggira per le strade e i vicoli di una Foggia che potrebbe benissimo essere Napoli.
Ma l’argomento è tutt’altro che chiuso. Perciò, hai ricordi significativi di mendicanti? Mi piacerebbe conoscerli.
Proprio bello questo articolo, caro Italo, complimenti di cuore e spero proprio di leggerti ancora sull’argomento. E la sera purtroppo di mendicanti, alla stazione di Roma Termini, ne vedo proprio tanti, tutti in fila, per un pasto caldo e una parola di conforto da parte di altri “messaggeri” che si prodigano incessantemente.