La citazione manzoniana è d’obbligo, poiché la storia di Mafalda Cicinelli, monaca per forza e suicida per amore, ricorda quella della più conosciuta “monaca di Monza” ed apre vasti orizzonti sul valore anche storico e sociologico della tradizione del presepe.
Nella conclusione dell’articolo in cui discutevo l’ambigua presenza, sulla scena presepiale, del personaggio “brigante“, nell’ampliamento dell’orizzonte storico ti offrivo un’ulteriore motivazione per “fare il presepe” . Una conferma me ne viene, qualche giorno fa, quando Antonino, che ti ho presentato nel medesimo articolo, non ricordo come, non ricordo perché, si lascia sfuggire la menzione della monaca Mafalda.
Anche questa volta, come già per il brigante abruzzese Santuccio, devo ammettere la mia abissale ignoranza.
Antonino, allora, mi racconta una storia toccante, dai particolari macabri e patetici: la storia mi è ignota nel caso particolare, tuttavia mi sembra di averla già udita tante altre volte.
Ecco la storia, e anche a te sembrerà di conoscerla.
Mafalda apparteneva a una famiglia napoletana di antica nobiltà. Come era consuetudine nelle famiglie nobili, per non disperdere il patrimonio, si costringevano i figli minori (i così detti “cadetti”) a intraprendere la carriera ecclesiastica, se maschi, a monacarsi, se femmine, a tutto vantaggio del figlio primogenito.
Si tratta, insomma, di una delle tante varianti della storia resa celebre da Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi, con i capitoli riguardanti la “Monaca di Monza” .
Proprio come a suor Gertrude, capitò a Mafalda di innamorarsi: contravvenendo così non solo al suo stato di monaca, ma anche al prestigio familiare, perché intrecciò l’idillio con un paggio al servizio della sua famiglia, con il quale si incontrò più volte.
Fino a che suo padre scoprì quella che, secondo la morale dell’epoca, era un’infame tresca. E decise di vendicare l’onore della famiglia.
Venne a sapere che i due amanti avevano appuntamento la notte di Natale, presso il Ponte della Maddalena. Si mise all’agguato e, quando il malcapitato giovane giunse al luogo del convegno, il nobile spietato non solo lo trafisse con un pugnale, ma, con quello stesso, lo decapitò. Quindi, gettata in terra l’arma del delitto, se ne andò.
Quando la povera Mafalda giunse sul posto, si trovò davanti all’orrendo spettacolo. Pietosamente levò da terra la misera testa che pose in una bisaccia. Vide anche il pugnale abbandonato da suo padre: lo raccolse e con esso si trafisse il cuore.
Da allora, sembra che la notte di Natale, presso il Ponte della Maddalena, finché questo ci fu, apparisse il fantasma della povera ragazza, monaca per forza e suicida per disperazione.
Non era, dunque, una storia nuova: a Napoli, del resto, era stato scritto e pubblicato un libro, la Cronaca del convento di Sant’Arcangelo a Baiano, che narrava la scandalosa vita condotta dalle suore di quel convento: ho sempre avuto il sospetto che Manzoni lo abbia conosciuto.
E in qualche modo, la storia di Mafalda era andata a finire sul presepe. Certo, come per il brigante Santuccio, si trattava di un personaggio ambiguo e del resto non molto frequente. Tuttavia, compariva in qualche tradizione presepiale.
Un barlume di luce si accese quando Antonino mi disse il nome della famiglia, Cicinelli. Perbacco, questa sì che la conoscevo: una delle più antiche e illustri famiglie nobili del Regno di Napoli, la cui menzione risale già ai tempi di Carlo II d’Angiò, alla fine del XIII secolo. Ne ricordavo anche lo stemma, un cigno in campo rosso.
Lo avevo visto, questo stemma, per tanti anni, agli angoli dei portici angioini nel centro storico, prima che sparisse, non si sa né quando, né come.
A pochi passi da piazza San Gaetano, l’antica agorà della Neapolis greco-romana, i portici angioini sono uno dei luoghi più significativi di Napoli, in cui la storia si mescola con la vita popolare, in modo che le varie botteghe vi rappresentano esse stesse un presepe.
Qui, una targa indica il palazzo d’Angiò, ma non rileva che esso, in seguito, passò ai Cicinelli.
Per una di quelle stravaganti combinazioni, così piacevoli e sorprendenti al tempo stesso, proprio di fronte al palazzo che fu di questa nobile famiglia hanno la loro bottega artigiana i fratelli Scuotto, gli unici a Napoli, a quanto ne sappiamo Antonino ed io, ad avere elaborato la figura presepiale della monaca Mafalda Cicinelli.
I fratelli Scuotto non sono solo bravi, sono anche simpatici e gentili. Ci danno il permesso di fotografare la loro Mafalda Cicinelli e aggiungono alle nostre conoscenze un particolare interessante, che apre un altro spiraglio per la nostra indagine: la figura in vetrina fu realizzata per un evento a Grottaglie, dove, sul presepe, si rappresenta anche il “ponte dei Carmelitani” con la dolente figura di Mafalda. La nebbia si dirada: nel XVII secolo, infatti, i Cicinelli avevano ottenuto il ducato di Grottaglie.
L’immagine che vedi in apertura rappresenta appunto l’ opera dei fratelli Scuotto, con il ponte dei Carmelitani e l’immagine della monaca disperata.
La storia della povera Mafalda Cicinelli costituiva così un legame tra Napoli e la Puglia.
In entrambi i luoghi la sanguinosa vicenda aveva suscitato la pietà popolare: a Napoli aveva dato origine alla leggenda del fantasma presso il Ponte della Maddalena, a Grottaglie aveva addirittura attratto il personaggio della monaca nell’ambito della tradizione presepiale: e, manco a dirlo, anche qui presso un ponte.
Del ponte, di questo elemento irrinunciabile del presepe, conosci il valore simbolico.
Ma la storia di Mafalda Cicinelli non esaurisce qui il suo significato.
Spontaneo ci viene alla mente un ricordo degli anni di scuola, la novella del Decamerone di Boccaccio che narra una vicenda simile: la storia di Lisabetta, una ragazza di Messina, alla quale i fratelli uccidono l’amante. Lisabetta, scoperto il cadavere dell’innamorato, ne nasconde la testa in una pianticella, che cura con amore. I fratelli, accortisi del fatto, sottraggono alla sorella anche quel misero conforto. Poi i tre assassini, temendo che il loro crimine si risappia, fuggono a Napoli (e probabilmente qui Boccaccio venne a conoscenza della pietosa e macabra vicenda. Se vuoi leggerla, si tratta della quinta novella della quarta giornata).
Ma ci viene alla mente anche una ballata siciliana, che ispirò uno sceneggiato televisivo, La baronessa di Carini. Anche qui, una giovane donna è uccisa dal padre per motivi d’onore familiare, avendo ceduto alla passione amorosa.
Terribili i versi della ballata con l’ingenua domanda della figlia e l’agghiacciante risposta del padre:
“Signuri patri, chi vinisti a fari?”
“Signora figghia, vi vegnu a ‘mmazzari.”
Il sentimento popolare è stato sempre pietoso nei riguardi della passione d’amore, anche quando questa è colpevole. All’amore è difficile resistere e a nulla valgono le barriere innalzate dall’occhiuta vigilanza dei padri e dei fratelli.
Mafalda Cicinelli, Laura Lanza di Carini, la Lisabetta di Boccaccio, la Gertrude di Manzoni, sono tutte espressioni di un’inaccettabile condizione di soggezione della donna, sempre in potestà di qualcuno, del padre, del fratello, del marito. A queste donne è negato il diritto all’amore e, il più delle volte, il diritto stesso alla vita.
Dibattendo questi argomenti, ci capita di entrare in una chiesa nella quale ancora non è stato tolto il presepe.
Guardiamo la Sacra Coppia nella grotta. Alla luce delle atroci vicende, che ancora rimuginiamo, comprendiamo anche meglio il rischio che Maria corse, nell’accettare l’annuncio dell’Arcangelo, nella società patriarcale dell’epoca. Risalta anche meglio la statura morale di Giuseppe, “uomo giusto”, attento al rispetto della Legge, ma ancor più sensibile alle esigenze della carità: credendo all’innocenza della sua sposa, la salva dai rigori della Legge, preservandone l’onore e la vita stessa. Consentendo la nascita del Redentore.
E così, credo di averti offerto un’ulteriore motivazione a “fare il presepe”, ove mai tu ne avessi ancora bisogno.
Ma ora chiedo il tuo aiuto, per proseguire nell’indagine: hai mai udito parlare della monaca Mafalda Cicinelli? E se sì, puoi darmi qualche notizia da condividere con gli altri?
Stupendo articolo, sconosciuta storia, grazie per l’articolo molto legato ai due territori, complimenti. Saluti e sereno lavoro.
Se ti è piaciuto l’articolo, puoi leggere il seguito in quello successivo, “A Grottaglie le polpette del diavolo per Mafalda”. Si tratta, in effetti, di una storia che è strano ritrovare sulla scena del presepe e che quindi deve avere qualche significato particolare. Spero che qualche lettore mi offra dei suggerimenti, come ha fatto la signora Maria. Grazie di avermi scritto.