Nel personaggio “la zingara”, sul presepe, confluiscono molteplici elementi delle antiche religioni del Mediterraneo e varie tradizioni culturali, sia ebraiche e cristiane, sia pagane.
La zingara fa parte del nostro paesaggio urbano. Non è perciò strano ritrovare questo personaggio nel presepe popolare napoletano, poiché, come ho altre volte ricordato, i personaggi del presepe sono quelli che si incontrano nel corso della nostra giornata, camminando per le vie di Napoli, come di qualunque altra città.
Ma la presenza di una zingara non è legata, sul presepe, solo a un bisogno di realtà e di attualità.
Per comprendere questo personaggio in tutta la sua portata, dobbiamo mettere da parte i nostri pregiudizi sugli zingari, o Rom, o Gitani, come che tu li voglia chiamare.
Di questo popolo noi, in genere, sappiamo davvero poco, anche a causa della sua caratteristica essenziale che è il nomadismo. Inoltre, nella nostra esperienza, veniamo a contatto solo con alcune frange, per lo più deviate, e siamo portati, per la limitatezza stessa delle nostre informazioni, a estendere ad un’intera etnia il poco lusinghiero giudizio che l’incontro, spesso non molto felice, con alcuni rappresentanti di essa ci costringe a dare. Chi ha subito furti o tentativi di furto, spesso mediante l’ipnotizzazione, non sarà certo portato ad essere molto tenero con la zingara che gli chiede l’elemosina.
Insomma, è un po’ come se gli Americani pretendessero di conoscere bene gli Italiani e di darne un giudizio, sulla base dell’esperienza fatta con Al Capone e altri personaggi del genere.
“Zingaro” è parola che in genere si pronuncia con un accento, magari non voluto, di disprezzo.
Non so se hai visto la commedia di Eduardo De Filipo, “Uomo e galantuomo“: mi riferisco alla scena in cui il povero Eduardo, con i piedi ustionati, sul terrazzo del medico che si prende cura di lui, racconta la vita che conduce con la sua compagnia teatrale, sempre in giro per città e paesi, sempre nella necessità di “arrangiarsi”.
“Zingari”, commenta il medico, sottovoce, ma non abbastanza perché Eduardo non oda: “Ma non siamo zingari”, precisa. “Magari non abbiamo sempre la fissa dimora, ma non siamo zingari”.
Eppure quella dei nomadi è una cultura interessantissima: a parte la ricchezza delle loro tradizioni, l’artigianato è a livello delle più alte manifestazioni artistiche dell’umanità, soprattutto per quanto riguarda la metallurgia, risalendo, miticamente, a quel Tubal-Cain discendente di Caino e artefice in ogni sorta di lavorazione dei metalli, come si legge nel libro della Genesi.
Di questa cultura parlò il grande storico delle religioni rumeno Mircea Eliade in un bel libro, Forgerons et alchimistes (Fabbri ed alchimisti), che è stato tradotto anche in italiano.
Un’altra “specialità” degli zingari è quella della divinazione, tanto che a loro è attribuita l’invenzione di quelle carte da gioco chiamate “Tarocchi“, che, soprattutto nei cosiddetti “arcani maggiori” , rappresentano un vero capolavoro di polisemia (molteplicità di significati). Se vuoi leggere su questo aspetto un libro bello e interessante, ti consiglio Il castello dei destini incrociati di Italo Calvino.
In quanto alla zingara, essa è menzionata anche in una celebre canzone napoletana, nella quale un estasiato ammiratore dichiara di non avere bisogno della zingara per sapere come la bellissima Concetta sia stata fatta dalla mamma:
Nun c’è bisogno ‘a zingara
p’andiviná, Cuncè’…
Comme t’ha fatto mámmeta,
‘o ssaccio meglio ‘e te!…
Ma il personaggio della zingara sul presepe è, naturalmente, molto più complesso. Come per gli altri personaggi di cui ho parlato, esso ha raccolto in sé spunti di varie tradizioni, miti e leggende.
La capacità divinatoria, o profetica, fa la zingara del presepe erede della Sibilla, personalità della religione antica che, storica almeno in parte, è però avvolta dalla leggenda: credo che tutti ricordano come Enea discese agli inferi, passando per l’ingresso presso il lago d’Averno, guidato dalla Sibilla Cumana. Sull’esempio dell’eroe troiano, Dante poi compì un simile e più alto viaggio guidato da Virgilio stesso.
Teste David cum Sibilla
La Sibilla entrò quindi a fare parte della tradizione cristiana, perché si diceva che avesse profetizzato le vicende della vita del Cristo e il Giudizio Universale: la Sibilla fu quindi collocata accanto al re Davide e ai Profeti dell’Ebraismo. Michelangelo, nella Cappella Sistina, alterna i profeti Isaia, Geremia, Ezechiele, Giona, Daniele e così via, alle Sibille Delfica, Cumana, Eritrea, Libica …
Le Sibille le trovi anche raffigurate su quel pregevolissimo monumento artistico che è il pavimento del Duomo di Siena.
La zingara del presepe reca in braccio un bimbo in fasce: simbolo quindi anche della maternità, ed una maternità pellegrina, come fu pellegrina Maria, nel viaggio verso Betlemme e poi nella fuga in Egitto. Il colore del suo volto è scuro, come quello delle celebri “Madonne Nere“, che ritroviamo in tutto l’arco del Mediterraneo, da Montevergine a Chartres.
E forse ricorderai che una dea dalla carnagione scura un tempo andò raminga in giro per la terra d’Egitto alla ricerca degli sparsi frammenti del corpo di Osiride, suo sposo, ucciso e fatto a pezzi dal suo malvagio fratello Seth. Nell’arte egizia la vediamo spesso che tiene in grembo il piccolo Horus, figlio suo e di Osiride.
Anche quella di Iside è una storia bella e significativa, piena di dolore e di amore coniugale.
La memoria dei popoli non permette che le storie belle e significative si perdano per sempre: ne conserva gli elementi essenziali, trasponendoli in altre storie, mutandone il segno, spingendoli sempre più in alto.
In questo processo, nel quale l’antropologo e lo storico delle religioni scavano, come il geologo scava la terra per studiare gli strati geologi e ricercare i fossili che documentano l’evoluzione della vita, l’umanità si arricchisce e le storie acquistano un significato sempre più alto e spirituale.
Naturalmente, chi fa il presepe e vi pone la statuetta della zingara tutto questo magari non lo pensa, perché non ne è al corrente. Ma, erede di una tradizione che risale a San Gaetano, arricchita dallo spirito di San Francesco, ed erede anche di un’altra tradizione, che attraverso Dante risale a Virgilio e alla Sibilla Cumana, sa che sul suo presepe, magari, nei pressi di un pozzo, ci deve essere anche l’inquietante presenza della zingara.
E tu, nel visitare la Cappella Sistina, hai mai pensato di ricollegare alle Sibille la zingara? O, viceversa, nel mettere sul presepe la zingara, hai mai pensato alla Cappella Sistina?
Insomma, l’invito è a riflettere sull’unità delle manifestazioni dello spirito umano.
Mi piacerebbe sapere che cosa pensi al riguardo.
Quante storie a confronto e quanto bel materiale su cui riflettere, caro Italo.
Grazie
Mariano
Grazie. In effetti, il presepe attira tanto proprio perché in esso confluiscono storie antichissime che sono spiritualizzate dal messaggio cristiano e, a loro, volta, lo rendono anche più inserito nella storia dell’umanità. Ma questo è un argomento su cui vorrò tornare.