La mia via al presepe è l’argomento del centesimo degli articoli che pubblico su queste pagine, ormai da tre anni, in concomitanza della ripubblicazione del mio vecchio libro In Limine.
Mi accade, talvolta, nel mio vagabondare per le strade, le piazze, i vicoli di Napoli, di prendere l’erta salita di via del Sole, popolarmente conosciuta come “salita dei Pompieri”, e di arrivare alla chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli, che per essere il punto più alto fu l’acropoli della città greco-romana.
Sant’Aniello è la forma napoletana di Sant’Agnello, uno dei Santi che hanno la tutela della città di Napoli e per questo molto popolare. Gli fu consacrata l’acropoli della città, per averla validamente difesa contro l’assalto dei Longobardi.
Chi l’avrebbe detto, quando ero ancora un ragazzo, che anche questa strada sarebbe stata la mia via al presepe? Su questo colle, alcuni scrittori di patrie memorie individuarono il luogo dove c’era stato il sepolcro della Sirena Partenope. Sbagliavano, naturalmente, ma se ci sali, non è poi così facile liberarti dalla suggestione dell’antica leggenda. Se non la conosci, questa leggenda, ti farà sicuramente piacere leggerla; e se già la conosci non ti sarà sgradito udirla ancora una volta.
Narrava, dunque, il mito che la Sirena Partenope, insieme alle sorelle Leucosia e Ligeia, aveva tentato di trattenere, con la malìa del canto, Ulisse e i suoi compagni che facevano ritorno alla loro patria, l’isola di Itaca, piccola e pietrosa, ma cara, perché, appunto, la loro patria.
Il canto delle Sirene era irresistibile e già molti naviganti, fermatisi, intenti solo ad ascoltarlo si erano dimenticati di tutto, lasciandosi morire di inedia. Ma Ulisse era stato istruito da Circe e, seguendo i consigli della maga, poté non solo ascoltare il canto delle Sirene, ma anche sfuggire al pericoloso incontro. Questa è la storia, così come la narra Omero, nell’Odissea.
Ma altri autori ne hanno scritto il seguito.
Questa, per le Sirene, fu dunque un’amara sconfitta, che veniva ad aggiungersi a quella inferta loro precedentemente dagli Argonauti, che furono i primi navigatori: artefice della sconfitta era stato quella volta il poeta Orfeo che aveva cantato in maniera più affascinante delle Sirene stesse.
Due sconfitte sono troppe e, dopo il fallito tentativo con Ulisse, le Sirene decisero di farla finita: sebbene fossero creature che si muovevano a loro agio nell’aria, nell’acqua e sulla terra, decisero di annegarsi. E così fecero. Le correnti marine portarono le tre sorelle ognuna in un luogo diverso. Ligeia giunse a Terina, Leucosia a quel promontorio che da lei prese il nome di “Punta Licosa”, mentre Partenope fu portata dal flutto su quella spiaggia che poi si chiamò Mergoglino, o Margellina.
Gli abitanti vollero, allora, propiziarsi l’annegata Sirena, onorandola di una tomba e di riti iniziatici, placando così le oscure forze di un regno misterioso, le quali, altrimenti, sarebbero state pericolose. Narra ancora il mito che sulla sua tomba sorse in seguito la città che da lei fu chiamata Partenope e che ebbe in seguito il nome di Neopolis, Neapolis e, infine, Napoli.
E, stando a quel che dicono i poeti, dal sottosuolo della città, la Sirena fa udire ancora il suo canto, che impronta il carattere del napoletano il quale ad esso deve quel tanto di ironico fatalismo con cui è portato ad accettare ciò di cui avverte la forza spietata e contro cui sarebbe dunque inutile lottare.
Fu su questo colle che, una volta, meditando sulla Sirena e sul suo mito, mi ricordai di ciò che avevo letto a proposito di Rabbi Simeon Ben Laqis: disse, il dotto rabbino, che, per comprendere una “via”, cioè un metodo di conoscenza, bisogna porre ai suoi seguaci questa domanda:
E voi, dei vostri sogni, che cosa ne fate?
Allora, su quell’altura, finalmente compresi: il popolo napoletano del suo sogno ne aveva fatto il presepe. Era la prima volta che intuivo i legami del presepe tradizionale, come lo preparavo a Natale, con i simboli che si dispiegavano in ogni angolo di Napoli. Intuivo, cioè, il presepe come centro vivente di una fitta rete di rapporti simbolici.
E questa idea la espressi la prima volta in una pagina di un libro, In Limine, scritto nel 1985 e stampato nel 1986, nel quale concludevo la prima fase, diciamo pure preparatoria, della mia ricerca.
Intitolai questa pagina “Appunti per la realizzazione del presepe popolare napoletano” e la concludevo così:
Perché dovrei stare a spiegarti il simbolismo del Presepe, o amico Lettore? Se mi hai ascoltato fin qui con attenzione, ormai sei in grado di capirlo da solo. Non ti ho già tante volte (forse troppe) avvertito che è sempre la stessa storia che da millenni ci narriamo l’un l’altro?
Affermavo, cioè, che si poteva comprendere la struttura e il significato del presepe, solo collegandolo a tutte le immagini le storie le tradizioni che arricchiscono l’atmosfera della città di Napoli.
Naturalmente, mi riferivo non al presepe con i “pastori vestiti” del Settecento, quale puoi ammirare, per esempio, nel museo civico di San Martino, ma a quello che gli artigiani costruivano con poca spesa e poca fatica e che, popolato dalle umili statuette di terracotta, andava poi a nobilitare il mobile più in vista, la credenza o il comò, delle case napoletane.
Era questo il primo passo, di quella che chiamo la mia via al presepe, verso la distinzione che avrei operato tra “presepe colto” e “presepe popolare”, definitivamente nel mio successivo libro, dedicato esclusivamente al presepe e intitolato Il sogno di Benino, che puoi trovare qui.
Il titolo fa riferimento, ovviamente, al pastorello che, posto all’inizio del percorso presepiale, dorme e sogna Gesù e di cui ho ampiamente scritto qui.
Il sottotitolo, Alchimia del presepe popolare napoletano, metteva in rilievo il collegamento del presepe, nella sua variante popolare, beninteso, con tutti i rami del sapere tradizionale e iniziatico della cultura non solo europea.
L’edizione era veramente splendida, realizzata su carta d’Amalfi e con le immagini a colori: con un particolare procedimento tipografico, era stato possibile evitare l’orribile carta patinata, la quale invece tanto piace alle signore “alla moda”, che l’assidua frequentazione di certa stampa ha privato di cultura e di sensibilità artistica.
Lo “Studio Bianco” di Salerno, in particolare l’artista Enzo Bianco, aveva posto ogni cura dal punto di vista grafico sia per l’insieme, sia per i particolari . Ne uscì quindi un libro moderno, dal gusto antico, nel quale le immagini interloquivano con il testo, come già avevo fatto con In limine.
Il testo era preceduto da una prefazione dell’antropologo Paolo Apolito, che così scriveva:
Il Presepe di Sarcone parla una lingua segreta napoletana, che non si individuerà nelle figure ricche e negli scenari sontuosi del Presepe settecentesco, ma nei disseminati e ripetuti presepi dei Bassi, dove la suggestione del quadro mitico proposto trova luogo, dove le vecchie figure rivelano ciò che sono e schiudono segreti simbolici immemorabili […]
Nuovo mito su Napoli, dunque. Vivo e capace di farci intravedere aspetti forse inediti, sicuramente inconsueti oggi. […]
Natale. Accomodiamoci davanti al Presepe. Sfogliamo il libro: immagini, parole, figure vecchie, fulgore nuovo. Il Presepe riprende a parlarci.
Alcuni qutidiani napoletani pubblicarono delle recensioni. Ne ho conservate alcune. Se ne hai l’interesse, puoi leggerle nelle immagini seguenti. Il primo uscì su “Il Mattino” di martedì 18 dicembre 1990. Purtroppo, non ricordo il nome del giornalista indicato dalla sigla p.t.
La seconda è a firma di Gabriele Bojano (g.b.) e fu pubblicata dal quotidiano “Roma” del dicembre 1990.
La terza, infine, che ti presento, e quella più ricca per l’analisi dei contenuti, fu pubblicata dal giornalista Alfonso Schiavino su “Il Giornale di Napoli”, nel periodo natalizio (purtroppo, nel ritaglio non c’è la data precisa).
Soprattutto, alla fine del pezzo, Alfonso Schiavino metteva in rilievo l’intento fondamentale del libro: far comprendere che chi fa il presepe, nel realizzarne la scenografia e metterne in atto i rituali, comprende se stesso.
Con questo libro, credevo di essere giunto al termine della mia via al presepe, pensando di avere detto tutto ciò che avevo da dire. Poi, Guido Di Lorenzo mi chiese di collaborare al suo sito sul Presepe Napoletano … e l’avventura ricominciò da capo… il resto lo conosci.
Pare, infatti, che la via al presepe non consenta di giungere a una meta dove potersi fermare, per la vastità, la ricchezza, la profondità dei suoi contenuti e dei suoi simbolismi, tanto che oggi mi sembra di essere appena all’inizio del cammino.
E tu, sei disposto a proseguire con me questa straordinaria avventura alla scoperta del presepe, dei suoi personaggi, dei suoi simboli, dei suoi riferimenti alla vita quotidiana?
Se sì, dovresti già iniziare a pensare al tuo presepe per il prossimo Natale.
“Il Presepe dura tutto un anno” una frase dell’amico Italo, che invita alla riflessione. L’ allestimento del Presepe esercita un fascino irresistibile, le scene costruite con materiale povero :cartapesta, sughero, muschio, sassolini, e figure di terracotta raccontano storie e misteri. Una storia descritta con un linguaggio simbolico, antico e profondo che ci appartiene ma che abbiamo in parte dimenticato.
Grazie, Guido.
Dispostissimo a seguirti e complimenti per i tuoi cento meravigliosi articoli, tutti letti e tanti anche commentati.
Grazie poi per le bellissime immagini del santo: io sono nato proprio a Sant’Agnello, piccolo comune vicino Sorrento. E cosa dire dell’intuizione del presepe, sogno di un popolo: è splendida!
Voglio chiederti però due cose: In limine è già disponibile in libreria? E poi sulla copertina del tuo libro “Il sogno di Benino” è raffigurato un Gesù bambino dormiente potresti cortesemente parlarcene?
Grazie
Mariano
Su Sant’Agnello ritorneremo, in ua serie di articoli sui “Santi Vecchi” e sui “Santi Giovani” che fanno corona alla festa del Natale. In quanto a In Limine,credo sia disponibile in internet e anche alla libreria Neapolis della signora Annamaria Cirillo. L’immagine del Bambino in copertina del “Sogno di Benino” è la foto di un bellissimo pezzo in terracotta, che credo dell’Ottocento. Non so chi ce l’abbia, oggi, visto che mi fu rubato assieme ad altre cose.Risiede qui la ragione per cui diffido del collezionismo, che, quando diventa mania estremizzante, arriva fino all’atto criminoso, pur di possedere l’oggetto desiderato. Grazie del tuo interesse.
Anch’io desidero seguirla in questo meraviglioso viaggio di scoperta nei suoi articoli caro professore. Per quanto riguarda il prossimo Natale sono lieto di informarla che ho già messo in pratica alcuni suoi consigli nel creare pastori in terracotta per il prossimo Presepe per cui chiedevo indicazioni in un altro commento. Per precauzione ho iniziato da personaggi secondari perché devono ancora passare la terribile prova della cottura, spero non scoppino perché nonostante sono ancora pochi pezzi riposti in un armadietto mi ci sono già affezionato. Questo è il fascino e il magnetismo della figurina d’argilla come lei spesso evidenzia. Tanti cari saluti.
Spero che ci farà vedere i suoi pastori di argilla. Grazie.
Caro Professore,
grazie ai suoi spunti, ogni volta che torno a Napoli, ho il piacere di (ri)percorrere strade, vicoli, piazze alla riscoperta dei luoghi da Lei citati.
Tornero’ a Napoli per Natale (guarda caso!) non prima pero’ di aver allestito il mio presepe nella casa dove vivo.
un caro saluto,
Raffaele
La ringrazio, Raffaele, di queste parole che mi confortano nel mio lavoro. Mi scriva ancora.
Ogni volta caro Professore mi emoziono a leggere i suoi Articoli, ultimo “La mia via” essendo anch’io di Sant’Agnello. Grazie e felici ore.
Caro signor Cicirelli, vedrò di farLe cosa ancora più gradita, scrivendo di Sant’Agnello (sia del personaggio sia della cittadina) in un prossimo articolo. Grazie per avermi scritto.