Il presepe in tempo di covid. In omaggio a chi pensa che, nell’attuale società, gli anziani siano soltanto un peso, avanzo qui una proposta provocatoria: fare il presepe senza San Giuseppe, Baldassarre, Armenzio e altri personaggi vecchi.
E se, quest’anno, nel fare il presepe, decidessimo di non collocarvi le statuette di Giuseppe, di Baldassare (il più vecchio dei Re Magi), di Armenzio (il padre di Benino, nella Cantata dei pastori) e degli altri personaggi anziani, tutti portati via dal morbo che ha imperversato nel mondo intero?
Né dovremmo affliggercene molto, in omaggio al comune sentire di una società tesa al godimento e alla spensieratezza anche di fronte a devastanti tragedie.
Ricordate la ragazza che, con gli occhi che luccicavano in un furbesco sorriso al di sopra della mascherina, affermava che avrebbe serenamente barattato la vita degli anziani nonni con il diritto all’aperitivo al bar?
“… che morissero, cioè”.
Ammetto di non avere mai creduto che la ragazza dicesse sul serio e che la sua fosse qualcosa di più di una sbruffonata propria di una ventenne che si produce in una lezione di realistico cinismo. Credo, invece, che al momento del distacco definitivo dei nonni anche lei piangerà, così come io stesso piansi quando mia nonna, lontana al paese, andò via, senza che potessi salutarla un’ultima volta.
È giusto, perché conforme a natura, che a un certo momento si lasci questa vita: ma che il distacco avvenga senza il compianto delle persone care, senza l’estremo addio da parte di chi ci volle bene, questo è contrario alla natura “civile” (cioè sociale) dell’uomo, che, a differenza degli altri animali, ha inventato il culto dei morti e la cura dei sepolcri.
Dal dì che nozze e tribunali ed are diero all’umane belve esser pietose di se stesse e d’altrui, toglieano i vivi all’etere maligno ed alle fiere i miserandi avanzi che natura con vece alterna a sensi altri destina
dice il Foscolo dei Sepolcri, riecheggiando Lucrezio e seguendo la lezione di Vico.
Ciò a cui quella ragazza non ha pensato è che la morte per “covid” comporta la solitudine più assoluta: che i suoi nonni sarebbero portati via e, in cambio delle care persone che l’hanno amata e allevata, le sarebbero restituite due fredde urne.
È ancora negli occhi di tutti la tristissima processione dei carri militari con il loro muto carico di bare, portate via senza canti, senza preghiere, senza lumi.
Ma la realtà più triste è che la ragazza, senza saperlo, esprimeva un comune risentimento verso ogni forma di prudenziale costrizione, in nome di esigenze edonistiche e finanziarie, legittime in sé, ma che diventano segno di un egoismo esasperato, quando non si tenga conto del diritto alla vita che gli altri hanno. Egoismo che, come tante altre volte, finisce con l’essere non solo becero, ma anche controproducente. Porto un esempio.
Passavo per via San Gregorio Armeno, la via dei presepi: una donna, piuttosto giovane, sulla porta di un negozio artigianale, protestava la sua preoccupazione per la scarsità delle vendite, dovuta alla chiusura delle frontiere e alla conseguente mancanza di turisti. Fin qua, niente di strano: ma poi si produceva in una serie di imprecazioni (in un linguaggio fin troppo colorito che non riporto perché impedito dal “fren dell’arte”) contro chi si preoccupava di quelli che morivano e non di quelli che non riuscivano più a vendere e a tirare avanti. Udire queste espressioni di egoismo proprio nella via dedicata al presepe, cioè al simbolo stesso dell’amore universale, faceva davvero male.
In quel periodo ho fatto spesso notare ai negozianti che, se le persone muoiono, essi perdono definitivamente i clienti: se le persone si salvano, queste potranno tornare a fare compere, sia pure dopo qualche tempo di stasi. Erano obbligati a darmi ragione, se pure a denti stretti. Ma, in preda allo sconforto, mi sono anche chiesto se valeva la pena di continuare a fare il presepe in tempo di covid. Anzi, nell’epoca che stiamo vivendo, ormai da troppo tempo.
Appartengo a quella generazione che, negli anni ’60-’70 del secolo scorso, malgrado gli orrori della prima metà del Novecento, o forse proprio per quelli, si illuse che il comune, grave pericolo potesse affratellare gli uomini e far comprendere a tutti che l’umanità è come un unico equipaggio su una fragile navicella nella vastità dell’oceano tempestoso. Se la navicella affonda, sarà comune il naufragio. Si aveva la certezza che, impegnandosi ognuno nella propria modesta realtà a operare per il bene comune, si potesse, un po’ alla volta, rendere migliore il mondo. Era la generazione dalle generose illusioni, cui appartenne anche il grande Gino Strada, che qualcuno, con il suo pescicanico sorriso, definì “un medico dalle idee confuse”. Né aveva torto, il padrone del pescicanico sorriso. Infatti, chi cerca di operare per il bene comune va alla ricerca della giusta via e dei giusti mezzi, con tutti i dubbi e i tentativi che la ricerca comporta: a differenza di chi, teso ad acquisire potere mediante il denaro, mostra invece di avere le idee ben chiare.
Ma se vogliamo dare il giusto peso alla frase della ragazza, come espressione di un’epoca, essa è rivelatrice di un cambiamento radicale nei rapporti sociali e familiari.
Un tempo, e direi, per lungo svolgersi di secoli, i vecchi costituirono un tesoro di sapienza e di esperienza cui fare ricorso nelle più varie circostanze della vita. I vecchi, sapienza del mondo: naturalmente i giovani facevano le loro scelte, ma ascoltavano con rispetto le parole degli anziani, anche se poi facevano (e direi giustamente) di testa loro. In ogni caso, ciò che avevano udito sarebbe servito a confrontare i risultati della propria azione con un’esperienza più antica.
È ciò che possiamo vedere nell’Iliade di Omero, dove gli eroi impegnati nella guerra contro i Troiani non fanno affidamento solo sulla propria notevole forza fisica e sull’attitudine guerriera, ma ascoltano con rispetto le parole del venerando Nestore. Per non parlare poi dei patriarchi dell’Antico Testamento. Ad Atene e a Roma il più importante consesso politico prendeva il nome dal termine che indicava i “vecchi” (la gherusìa e il senatus). Certo, anche nell’antichità doveva esservi chi riteneva i consigli dei “vecchi” superati, se Cicerone si impegnò a scrivere il De senectute, proprio per dimostrare l’importanza dell’esperienza di vita che nei vecchi risiedeva. Il giovane Catullo, nell’invitare la sua Lesbia a darsi vicendevolmente un milione di baci, le suggeriva di non stare a preoccuparsi dei rimbrotti dei vecchi brontoloni, ma, trattandosi di affari di cuore, troppo torto non aveva.
Ancora la mia generazione ricorda che una famiglia presentava almeno tre generazioni: nonni, genitori, figli. E i nonni erano quelli che avevano il posto d’onore nella casa. I loro racconti erano fonte di arricchimento e godimento mentale e spirituale. Le fiabe della nonna erano il primo strumento per avviare i bambini alla conoscenza del mondo, in maniera fantastica. Poi c’erano i ricordi del nonno, che aveva partecipato alla Grande Guerra. O parlava semplicemente di viaggi in terre lontane (quando anche un viaggio da Roccasecca a Napoli era un’avventura).
Oggi i giovani non sentono più il bisogno di confrontarsi con l’esperienza di passate generazioni, perché possono ricorrere a internet, disponibile anche sui telefonini, con tutti i vantaggi e i pericoli che la rete comporta.
Non dico che è sbagliato, perché ogni generazione ha il diritto di perseguire la propria strada: affermerò sempre che è giusto che si cambi, non è giusto che si dimentichi.
Ma sul rispetto per la vita non dobbiamo e non possiamo transigere. C’è una bella pagina di Martin Mystère, uno dei miei “fumetti” preferiti, nell’albo gigante intitolato Il Mistero di San Nicola (sì, proprio quel san Nicola di Bari tanto importante nel ciclo delle feste natalizie, del quale ho parlato in San Nicola di Mira e Babbo Natale: perdita di valori? ): ebbene, il simpatico personaggio potrebbe impadronirsi del Santo Graal, raggiungendo uno scopo che ha, per un millennio circa, affascinato gli spiriti avventurosi. Vi rinuncia per permettere a un vecchietto ultranovantenne di poter godere ancora dei suoi ultimi tre giorni di vita.
Capito? La conquista del Graal contro pochi giorni di vita di uno sconosciuto. E un “fumetto”, uno di quei prodotti popolari così a lungo vituperati, ci insegna che un frammento di vita ha maggior valore anche del possesso del Graal.
Forse, se i giovani leggessero questo genere di “fumetti” e, soprattutto, se imparassero dai padri e dai nonni a “fare il presepe” anche in tempo di covid, non si lascerebbero sfuggire delle frasi così infelici, alle quali non credono, in fondo, neanche loro stessi.
E, comunque, continuerò a mettere sul presepe il mio san Giuseppe, i vecchi Baldassare e Armenzio, con un grato pensiero ai miei nonni, dai quali molto ho appreso. Soprattutto la pazienza e la generosità: se vuoi, puoi andare a leggere questi due articoli, Uno scultore a San Gregorio Armeno e Calabritto, un paese come un presepe .
Anche su questo argomento mi piacerebbe conoscere la tua opinione.
Decisamente provocatoria… nel leggerti mi sono profondamente commosso, caro Italo: tante volte da quel tesoro di esperienza e saggezza di mio padre ho attinto a piene mani confrontando poi le mie di scelte con i suoi preziosi consigli, purtroppo da tanti o meglio troppi anni quel conforto è venuto meno… GRAZIE DI CUORE!
Tantissimi complimenti anche per i tuoi disegni sono dei veri capolavori!
Un caro saluto
è una pagina che ci commuove, condivido il pensiero di Mariano. Italo hai toccato uno degli argomenti di questa travagliata realtà, noi anziani da rottomare come proposto d illuminati politici, facciamo fatica ad accettare l’egoismo e il menefreghismo, la nostra generazione dell’immediato dopoguerra ha creduto in un mondo migliore, più giusto e i risultati non sono mancati e poi sono comparsi i falsi miti;: l scalata sociale, il potere , iì facila guadagno da ottenere con qualsiasi mezzo. Parole come etica, educazione sono state dimenticate, bagaglio di una cultura reazionaria. Ma non siamo sconfitti, la ragione, i valori sono momentaneamente sospesi, sul nostro presepe c’è sempre un posto per i vecchi .