venerdì , 24 Gennaio 2025

Un angolo di Napoli: il fondaco S. Gregorio Armeno

Nel fondaco “S.Gregorio Armeno” nacque Giuseppe Sanmartino, lo scultore del “Cristo velato” nella “Cappella Sansevero”. Esso è, tra l’altro, uno dei pochi fondaci napoletani sfuggiti allo “sventramento” della città, nel “Risanamento” di fine Ottocento.

Una delle cose di cui ho menato più vanto, nella mia vita, è di essere nato a San Gregorio Armeno, la via dell’artigianato sacro, dei presepi, dei pastori e dei fiori di carta, da uno scultore che lavorava le statue per le chiese, quelle statue in legno o in terracotta e cartapesta, davanti alle quali la gente devota si ferma a pregare. Vedere, in una chiesa, qualcuno che prega davanti ad una statua di mio padre è qualcosa che mi riempie di tenerezza, di compiacimento e anche di giusto orgoglio.

Il civico della casa in cui nacqui, nella stanza sulla bottega artigiana di mio padre, è il numero 50. Lo scrivo qui, non nella speranza che qualcuno un giorno vi ponga una lapide commemorativa, ma perché di fronte ad esso si apre uno degli ultimi “fondaci” a Napoli sopravvissuti a quella furia urbanistica che fu chiamata “Risanamento” e che, se molto distrusse, ben poco risanò.

Credo che non tutti sanno che cosa è un fondaco, poiché si tratta di una struttura urbana propria delle grandi città marinare.

Provo a dartene una descrizione.

Ebbene, immagina l’androne di un palazzo, solo più lungo e dalla volta più bassa: quando lo si è percorso, non ci si trova in un cortile, ma piuttosto in una specie di piazza ristretta in cui si affacciano dei fabbricati che sono molto simili a dei palazzi: insomma, il fondaco è una specie di città nella città.

Questa realtà urbana risale all’epoca del tardo Medioevo, quando, dopo le Crociate, si riaprirono i mercati con l’Oriente e presero nuovo impulso i rapporti commerciali. Nei fondaci si addensavano commercianti di ogni città di Italia e di ogni nazione d’Europa: per questo ho detto che sono caratteristici delle grandi città marinare. Ed ogni fondaco era contraddistinto dal nome della nazionalità, “fondaco dei Genovesi”, “fondaco dei fiorentini” e così via. A Venezia, per esempio, era celebre il fondaco dei Tedeschi, che nella storia dell’arte rimane legato al nome del grande pittore Giorgione, che lo abbellì con una serie di affreschi.

La parola stessa “fondaco” fa capire che questa realtà urbana ha origine nel commercio.Essa deriva dall’arabo “funduk”, a sua volta derivazione dal greco “pandokos”, con il significato di “mercato“.

Nel corso dei secoli, questi fondaci divennero a Napoli degli agglomerati densamente popolati, in cui si raccoglievano le famiglie povere e diseredate: veri centri della miseria materiale e morale, in cui le epidemie, soprattutto quelle di colera, proprio per l’addensarsi della popolazione, facevano ampia strage.

Dopo una di queste epidemie, alla fine dell’Ottocento si decise di porre rimedio, “sventrando” la città e abbattendo i fondaci, con quell’operazione che andò sotto il nome di “Risanamento”. Le intenzioni erano buone, ma a quell’opera di distruzione e ricostruzione non si accompagnarono adeguate misure che potessero alleviare le condizioni della povera gente e favorire il suo riscatto sociale. Così, andò distrutta una quantità di importanti documenti storici e i problemi della plebe indigente non furono, non dico risolti, ma neanche seriamente affrontati. A questa situazione si riferiva la giornalista e scrittrice Matilde Serao, nelle pagine di “Il ventre di Napoli“, che suonano accusa ai governi che si succedettero tra il 1880 e il 1904. Ma prova a cambiare sul frontespizio del libro la data e a scrivere, invece che 1905, “2013” e vi sembrerà che quelle parole siano state scritte per i governi italiani degli utltimi venti anni.

Di tutte queste cose, allora, naturalmente, non sapevo niente; sapevo solo che nel fondaco dall’altro lato della strada era nato probabilmente Giuseppe Sanmartino, uno scultore del Settecento che mio padre ammirava moltissimo e la cui opera più celebre egli andava di tanto in tanto a contemplare, il “Cristo velato” nella “Cappella Sansevero“. E naturalmente ci andava con me attaccato alla falda della giacca, poiché non mi scostavo di un passo da lui.

Il “Cristo velato” è un pezzo di magistrale perizia scultorea: con tanta naturalezza il velo appare poggiato sul corpo del Cristo che qualcuno ha fantasticato su quel velo e lo ha ritenuto un portato della sapienza alchimistica di Raimondo de Sangro, il Principe che la leggenda ammantò di un colorito stregonesco.

Tutte fantasie, naturalmente: il Cristo velato è il portato di di una grande sensibiltà artistica e di una ammirevole capacità tecnica, come comprende anche chi non è un esperto in materia di arte.

A distanza di alcuni anni, appena un po’ grandicello, ci ritornai ancora, ma questa volta da solo. O meglio: apparentemente da solo.

Tra i quindici e i diciotto anni fui un frequentatore assiduo della Cappella, spesso conducendovi dei compagni di scuola, degli amici, talvolta delle amiche; qualcuna, dalla sensibilità più acuta, rimase fortemente impressionata dall’atmosfera che si respira in quel luogo.

La mia presenza nella “Cappella” era divenuta così abituale, che ormai la proprietaria (almeno credo lo fosse) non mi faceva neanche più pagare il biglietto d’ingresso, in considerazione sia del numero di visitatori paganti che conducevo con me, sia del fatto che spesso mi improvvisavo “cicerone” per gli altri visitatori (all’epoca non c’erano guide). E infatti, sul Principe Raimondo de Sangro e sulla sua Cappella gentilizia, sapevo ormai tutto quello che c’era da sapere. E ricordo ancora con grande simpatia la proprietaria: una signora con un’aria di distinzione unita a cortesia ed affabilità, con un sorriso dolce e modesto, che mi pare ancora di vedere, mentre rifiuta di accettare il mio denaro e mi lascia passare gratuitamente.

Se sono riuscito a suscitare la tua curiosità riguardo a questi due personaggi, Giuseppe Sanmartino, scultore, e Raimondo de Sangro, principe di Sansevero, a titolo diverso così rappresentativi della mia città, ho raggiunto il mio scopo.

Tu che ne pensi?

17 commenti

  1. Bellissimo! E’ bello ricordare i posti dell’infanzia che più ci hanno colpito!

  2. Grazie. Ci ha regalato uno scorcio di Napoli molto affascinante. La statua del Cristo velato è veramente un’opera insuperabile.

    • Sì, il Cristo velato è bellissimo. Fa il paio con un’altra statua nella Cappella,la cosiddetta “Pudicizia”, del Corradini, a cui appartiene anche l’idea prima del “Cristo velato”. Credo che prima o poi ne scriverò qualcosa. Grazie del tempo che, nel leggermi e nello scrivermi, mi ha dedicato.

  3. Hai raggiunto il tuo scopo, caro Italo, non solo nel citare due personaggi leggendari, ma grazie alle tue parole ad evocare immagini piene di tenerezza: ripenso al lavoro del tuo papà e ad un bimbetto che annaspando lo seguiva, già guidato sui sentieri del bello.
    E grazie poi alla tua menzione sono andato a rivedermi sul web alcuni capolavori del Giorgione e tanto per rimanere in tema… la Sacra Famiglia, l’Adorazione dei pastori e quella dei magi, nonché dulcis in fundo la Madonna leggente.
    Un caro saluto
    Mariano

    • Ti ricambio il saluto, che estenderai alla famiglia. Dì a Francesco che mi attendo un suo commento a qualche pagina che gli è piaciuta o che gli è stata utile. Grazie anche per avere così prontamente accolto i miei suggerimenti.

  4. sono nato nel fondaco di S. Gregorio Armeno ma 10 anni abbiamo dovuto lasciare il posto per la perdita di mia Madre. Ma io ci torno sempre in quei luoghi e poi ho lavorato come collaboratore di barbiere di fronte alla chiesa di Santa Patrizia fino 1969.

  5. Da dove ha preso la notizia sulla presunta nascita del Sanmartino nel Fondaco di Santo Liguoro (oggi di San Gregorio Armeno)? Non abbiamo conoscenza di documenti in materia.
    Grazie
    Associazione Corpo di Napoli – Onlus

    • Gentile signor Gabriele, la sua perplessità non è infondata.
      Io stesso, nel corso dell’articolo, ho usato una forma dubitativa: il “probabilmente” è saltato nel riassunto iniziale.
      In realtà, che Sanmartino sia nato nel fondaco di san Gregorio Armeno era una tradizione che raccolsi, quand’ero piccolo, dalla viva voce di alcuni frequentatori della bottega artigiana di mio padre, che era al numero 50, cioè proprio di fronte al fondaco.
      Da studente, cercai di verificare quella tradizione, ma di (quasi) certo trovai solo che nel fondaco Giuseppe Sanmartino aveva avuto uno studio in età giovanile.
      Ora, agli inizi del percorso, per un artista, quando ancora non ha raggiunto la celebrità, è difficile avere la possibilità di uno studio diverso dalla casa natale.
      La ricerca erudita, quindi, se non confermava, neanche smentiva quella tradizione raccolta da bambino e che è per me troppo bella per potervi rinunciare senza prova contraria.
      Grazie per avermi scritto.
      Sono grato a tutti coloro che mi fanno notare lacune, imprecisioni, notizie inverificate, offrendomi così l’opportunità di precisare e chiarire.

      • A seguito dello scambio epistolare su questo blog, l’Associazione Corpo di Napoli – Onlus che riunisce la stragrande maggioranza degli artigiani presepiali di Via San Gregorio Armeno e zone limitrofe, ha avviato, con la preziosa collaborazione di una ricercatrice qualificata, una “indagine” approfondita e che si spera, alla fine documentata, circa la conferma sulla nascita nel Fondaco, di Giuseppe Sammartino. Ci auguriamo di concludere il lavvoro che sfocierà in un libro, prima di Natale 2014

  6. Grazie per la notizia e l’informazione, ignoravo che a san Gregorio ci fosse un fondaco. Ci piace l’idea che Sanmartino sia nato là.

    • Purtroppo, come ho avuto modo di precisare ad un altro lettore, è solo un’idea, non precisamente documentabile.
      Ma è bella. Io sarei nato proprio di fronte al luogo che diede i natali al mio amato Sanmartino.
      Grazie per avermi scritto.

  7. Sono nata in quel fondaco 75 anni fa.
    Poi mi sono sposata e da allora sono vissuta a Roma, ma non dimenticherò mai quei luoghi della mia infanzia e adolescenza.
    Ho scritto un romanzo che inizia proprio citando il fondaco: “Una per mille”.
    Cordiali saluti
    Cristina Bove

    • “Della propria infanzia nessuno si libera mai”. Lo scrisse, se non sbaglio Gesualdo Bufalino. E, considerando i tempi, forse ci siamo incrociati tutti i giorni… almeno fino a quando io non sono andato via, costretto da “forze maggiori”. Cercherò il suo romanzo, se lo ha pubblicato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

For security, use of Google's reCAPTCHA service is required which is subject to the Google Privacy Policy and Terms of Use.