Presepe e memoria: fare il presepe è uno dei modi per conservare il ricordo di persone care, che continuano a vivere nell’opera dei loro successori.
Presepe e memoria: non ho alcuna esitazione nel collegare questi due termini, poiché fare il presepe rinvia non solo alla conservazione della memoria, ma anche alla attivazione della memoria stessa.
Come non mi stanco di ribadire, fare il presepe non è modellismo, ma è qualcosa di più: altrimenti questa attività si differenzierebbe poco dalla costruzione del plastico per il trenino elettrico o per la rievocazione della battaglia di Marengo o di Austerlitz.
Si fa il presepe anche per tenere viva la memoria di chi ci ha trasmesso l’arte del presepe e nello stesso tempo per andare oltre ciò che ci fu affidato.
Un esempio l’ho mostrato con il presepe di Esther Pellegrini, del quale ho rilevato la bellezza e la verità; la nostra amica foggiana continua a fare il presepe in ricordo del padre e del nonno che le hanno trasmesso questa passione (conservazione della memoria), ma continua anche a migliorarlo e ad accrescerlo (attivazione della memoria), per essere degna di loro.
Da poco, Esther ha ricevuto un prezioso regalo da parte di un’amica, che ha di recente perso suo padre, anche lui cultore del presepe. L’amica non è credente, né amante del presepe, per cui ha pensato di donare i “pastori” di suo padre ad Esther.
Mi sento di suggerire affettuosamente all’amica di Esther che, per fare il presepe, non è necessario essere credenti nel senso di seguire una religione ufficiale. Per fare il presepe occorre credere nella vita e nel valore della memoria. In ogni caso, ha mantenuto anche lei fede alla memoria di suo padre, dandosi pensiero di collocare opportunamente le statuine a lui appartenute, e in questo modo le ha “salvate”.
Dal canto mio, ho un ricordo bellissimo di un amico, che ha lasciato questa terra due anni fa. Il suo nome, Elio Catalano, ha già fatto capolino, ogni tanto, dalle mie righe e prima o poi te ne parlerò diffusamente, perché da lui ho appreso molto, circa la tecnica di costruzione del presepe. Ebbene, non era credente, nel senso comune del termine, ma ogni anno “faceva il presepe” per i suoi figli e la sua nipotina, per tenersi legato alle tradizioni della sua città e per tramandare una memoria.
Presepe e memoria. Ti racconto ora una storiella, uno di quei fatti insignificanti nella storia universale, ma così pieni di significato per lo svolgersi delle nostre vite.
Camminavo per la strada di Port’Alba che è la via consacrata alla esposizione e alla vendita dei libri, soprattutto quelli vecchi, usati e fuori commercio, già descritta, quando scrivevo che raccontare il presepe è raccontare Napoli, e viceversa.
Qui, in questa strada, c’è Ciro. Svolge, appunto, uno dei mestieri più nobili al mondo: fa il libraio con competenza, garbo e cortesia. Si vede che i libri li ama, non li vende soltanto. Ha sposato Beatrice, una mia ex studentessa, volenterosa e graziosa al tempo stesso. Con queste premesse, più che tra negoziante e cliente, il nostro è un rapporto tra amici.
Ebbene, un giorno dello scorso novembre, mentre sto guardando i libri esposti nella sua vetrina (che belle edizioni, come si facevano una volta, e a prezzi accessibili anche alle borse meno fornite), Ciro mi fa vedere un vecchio presepe, uno di quelli come si facevano una volta a San Gregorio Armeno, con poche pretese e di molto fascino. Presenta la struttura tradizionale, con le discese che conducono al piano su cui si apre la grotta della Natività.
Rilevo l’eleganza della scala costruita con pezzetti di sughero, l’ingenua bellezza dei “pastori” tradizionali, la “verità” della donna, accanto alla fontanella, con le giare (le mummare, un aspetto tipico della Napoli di una volta, insieme alle fontane).
Ciro l’ha trovato nel retrobottega, dove lo aveva riposto il suocero, il padre di Beatrice, e dove era stato dimenticato per molti anni, dopo l’improvvisa, e da tutti pianta, scomparsa dell’antico proprietario.
Ciro vuole il mio parere, se è il caso di conservarlo o se non ne vale la pena.
Il presepe, è vero, si presenta alquanto malandato, ma la mia pronta e piena risposta è quella che, in fondo, il bravo Ciro si aspetta: un presepe non va mai buttato, va sempre e comunque restaurato. Certo, c’è da lavorarci un po’, anche per incollare i pezzi dei pastori in frantumi.
Lo ammetto: la tentazione di essere io stesso a porvi mano è forte, perché è proprio il presepe “tipo” che è stato oggetto delle mie cure e delle mie ricerche. Restaurarlo sarebbe per me un vero piacere. Ma so che è un piacere che non mi spetta, perché ha tutta la preziosità di un ricordo di famiglia.
Dico, allora, a Ciro che dev’essere lui stesso a restaurare il presepe, assieme ai due figli (ha due deliziosi bimbi, un maschietto e una femminuccia), ai quali deve essere spiegato appunto che è una memoria del nonno e che come tale va rispettato e curato.
Sono tornato a più riprese nella bottega libraria di Ciro a farmi raccontare i progressi nell’opera di restauro, e Ciro mi parlava dell’attesa ansiosa dei figli che il padre, a sera, tornasse e si mettesse all’opera a “fare il presepe”, la cura amorosa nel fare rivivere insieme il caro ricordo del nonno, infine, la gioia di vedere il presepe terminato e pronto ad accogliere, nella mangiatoia, il Bambino Gesù che la notte di Natale, torna ogni volta a nascere, a portare un raggio di luce superna nel disgraziato e ottenebrato mondo in cui ci tocca vivere.
Ed ecco, infine, il risultato.
Le lucine, i vecchi “pisellini”, che ormai è difficilissimo trovare in commercio, conferiscono un supplemento di magia al fascino del vecchio presepe rinnovato. La luce rossa nel forno suggerisce bene il bagliore delle fiamme. Anche la scala ne acquista in evidenza.
Che ne dici? Valeva la pena di lavorare al presepe, soprattutto per fare felici i bambini e tenere vivo in loro il ricordo del nonno? E tu, hai qualche storia simile da raccontarmi e da condividere con tutti gli amici del presepe?
Che bella questa storia, caro Italo: quest’anno alcune parti del presepe le hanno costruite direttamente i ragazzi ed è affascinante osservarli mentre alternano momenti di discussione animata ad un reciproco aiutarsi nei momenti più laboriosi.
Grazie, Mariano. Ma anche tu hai delle belle storie da raccontare. Allora, attendo particolari e foto del tuo ultimo presepe con i ragazzi. E che mi dici del mio “Sogno di Benino“?
Carissimo Italo,
finalmente si realizza un sogno, da me ribattezzato, come ben ricorderai, il Sogno di Mariano e posso affermare che la realtà supera di gran lunga l’immaginazione: il tuo libro è un vero capolavoro e consiglio di leggerlo proprio a tutti, presepisti e non.
Sì, lo ricordo bene. E proprio questo mi causava un po’ di apprensione: proprio perché lo avevi atteso a lungo, era possibile che ne restassi deluso, come avviene spesso quando un sogno si realizza. Sono contento che così non è stato. E ti dico pure che la richiesta di un parere era legata anche a un progetto che mi sta cominciando a frullare per il capo… Si vedrà.
Ritengo che sia un’idea favolosa!
Bellissimo articolo ed il mio caro cugino Ciro, è descritto egregiamente. È veramente una persona semplice e di gran cuore, amante della tradizione napoletana come pochi.
Grazie della conferma. Sono pienamente convinto sia di ciò che ho scritto io, sia di ciò che scrive Lei.
Gentile Prof. Sarcone, mi sono un po’ riconosciuto leggendo la sua biografia. Sono uno studente universitario di Lettere (che spera di poter realizzare il sogno di diventare docente) e anch’io, come lei, realizzo ogni anno (praticamente da sempre) il presepe, utilizzando materiali poveri e riproducendo scorci della mia terra, il Salento, che accolse secondo la tradizione Francesco d’Assisi, figura strettamente connessa all’arte presepiale. Complimenti per quello che ha realizzato e per il materiale che ha messo a disposizione dei visitatori.
La bellezza e la poesia del presepe, e della sua realizzazione, risiede anche e sopratutto nella tradizione che si tramanda di padre in figlio, come nella storia raccontata dal Prof. Sarcone.
Anche per me è lo stesso .
Attraverso i pastori del presepe, che ogni dicembre preparo con i figli, e che risalgono a oltre 60 anni fa quando a fare il presepe era mio padre, rivive in me e nei nipoti, il suo ricordo.
E sia per me che per i miei figli, soprattutto per il primo che porta il suo nome, vedere e toccare quei pastori significa sentire vivo più che mai il ricordo del padre e del nonno.
Grazie, signor Antonio, per le sue parole che mi confermano nella mia idea sull’importanza della tradizione.