Nell’arte di costruire il presepe non intervengono solo le competenze tecniche e l’abilità manuale: qualche volta vengono in aiuto la musica di un grande compositore e la meditazione su un grande filosofo.
Costruire il presepe a volte consente delle soddisfazioni che vanno ben al di là del piacere che si prova nel momento dell’allestimento.
Ti voglio raccontare un episodio della mia storia personale nel rapporto con questa meravigliosa arte del presepe.
Credo fosse il novembre del 1985, quando un mio amico prete mi confidò il suo cruccio di non potere preparare per il Natale un bel presepe nella sua chiesa parrocchiale, perché il preventivo presentato da alcuni esperti prevedeva la spesa di alcuni milioni di lire.
Pensai che fosse davvero il caso di mettermi a disposizione dell’amico in difficoltà, con il mio sistema di costruire il presepe, e mi posi all’opera con l’aiuto di alcuni giovani e ragazzi della parrocchia.
Il sistema era uno dei più economici; con la spesa di pochi sacchi di gesso nella varietà “alabastrina”, con giornali e tela di sacco, preparammo un presepe che occupava ben due grandi cappelle, unite tra loro da uno stretto passaggio, nel quale, come collegamento, facemmo scorrere il fiume, che, come sai, nel presepe popolare napoletano, è uno degli elementi essenziali.
Sai anche che il presepe popolare prevede uno scenario con delle discese che conducono al pianoro, sul quale si affaccia la grotta della Natività: fino a quel momento, nel costruire il presepe, mi ero attenuto a quella scenografia tradizionale, pensando alla discesa nelle profondità del proprio io e meditando sulla celebre frase di Sant’Agostino, che tutti conoscono: “Non uscire fuori di te. Ritorna in te stesso. Nell’interiorità dell’uomo c’è la verità”.
Ma Agostino non termina qui. Il mio amico Giuseppe Balido, che è uno dei più profondi conoscitori dell’opera del Santo Dottore, avverte di leggere il seguito. Dice, infatti, Agostino: “E se troverai che la tua natura è mutevole, va al di là anche di te stesso”.
L’invito del grande pensatore cristiano, uno dei capisaldi del pensiero dell’Occidente, è di scendere nella propria interiorità ma poi a risalirne, per trovare la Verità a un livello superiore.
Una sera, ero rimasto solo a lavorare, perché i miei giovani aiutanti mi avevano chiesto il permesso di assentarsi (non ricordo se per un importante avvenimento sportivo o per una trasmissione televisiva).
L’amico parroco, perché non mi sentissi troppo abbandonato, ebbe il gentile pensiero di farmi tenere compagnia dalla musica: e scelse, per pura combinazione, l’opera che più di ogni altra amo: l’oratorio “Il Messia” di Händel.
Non avrei potuto avere compagnia migliore!
Sull’onda di quelle note, lavorai alacremente, non solo con le mani, ma anche, e soprattutto, con il cervello ed il cuore.
Ma quando giunse il momento più alto, in cui gli ascoltatori non possono restare seduti, ma all’unisono scattano in piedi, il momento dell’Halleluja!, i pensieri presero un’altra direzione.
La grotta che si apriva sul piano mi sembrò troppo in basso, perché in essa si compisse il Mistero della Nascita di Dio nella Storia. Allora, su quella prima grotta ne alzai una seconda, un po’ più in alto.
Credevo di essere soddisfatto, ma avvenne un fatto strano: la sinfonia, invece di procedere, sembrava essersi incantata nella ripetizione dell’Halleluja!: anche la seconda volta la grotta mi sembrò troppo in basso, e così la terza e la quarta.
Mentre si ripetevano le note sublimi dell’Halleluja! la grotta andava sempre più in alto, finché dovetti farmi portare una scala per continuare il lavoro.
Con la sinistra mi tenevo aggrappato al piolo più alto della scala e con la destra continuavo a innalzare la grotta della Natività, finché essa arrivò ad un’altezza per così dire vertiginosa.
La collegai al piano mediante una serie di archi rampanti, così che alla fine l’intera costruzione assunse l’aspetto di una cattedrale gotica, con la sua spinta verso l’alto che simboleggia l’anelito al Divino.
Da quell’anno, nel costruire il presepe, gli ho dato questo duplice andamento: dalle montagne vicine, le genti scendono al piano, ma poi affrontano la salita per giungere ad adorare il Bimbo Divino appena nato.
Fu quello il presepe più bello che ho mai costruito.
La mattina di Natale andai, naturalmente, ad osservare l’effetto che il “mio” presepe faceva sugli spettatori. Mi accorsi che erano un po’ sconcertati, ma che in fondo apprezzavano il presepe, con il suo svolgersi nelle due cappelle.
Una famigliola, composta di nonna, giovane madre e dei bambini, si fermò davanti al presepe.
Io osservavo.
Dapprima cercarono il Bimbo nella grotta che si apriva sul piano e che, pensata originariamente come grotta della Natività, avevo trasformato in un rifugio per i pastori e le loro pecore; poi, dopo avere guardato invano, la madre sbottò: “Ma a’ ro’ sta? a’ ro’ l’hanno mise? (Ma dove sta? dove l’hanno messo? il Bambino, naturalmente)”.
Fu la figlia più grandicella a guardare in alto e ad avvertire gli altri: “Mamma, è lassù!”
Nonna, madre e figli alzarono la testa e videro finalmente il Bimbo nella mangiatoia: naturalmente, avevo costruito il piano della grotta in modo che la scena della Natività, per quanto in alto, fosse dal basso perfettamente visibile.
Mi avvicinai al piccolo gruppo e chiesi, simulando indifferenza (non sapevano che l’artefice ero io):
“Non le piace, signora?”
“Sì – rispose la giovane – è bello. Ma non capisco perché hanno messo il Bambino così in alto“.
Ed io, sorridendo sornione:
“Ma Lei, signora, quando cerca Dio, guarda per terra o alza lo sguardo al cielo?”
“Oh! non ci avevo mai pensato!” E mi ringraziò del suggerimento.
Mentre la famigliola discuteva, mi allontanai soddisfatto: ecco, con il mio presepe, avevo offerto non solo un motivo di piacere estetico, ma anche uno spunto per riflettere.
Complici mi erano stati un grande Santo, Dottore della Chiesa e pensatore geniale, e un grande compositore, che Mozart dichiarò “padre di tutti noi (musicisti)”.
E tu, quale episodio significativo ricordi, nel tuo rapporto con l’arte di costruire il presepe?
Sono un settantenne tra due anni, mi appassiona costruire ogni anno un presepe casalingo stile napoletano,sento in quei momenti una pace particolare, ma la tua sensibilità, il tuo amore nel costruire che credo scaturisca da una spiritualità non comune, mi commuove spingendomi quest’anno ad accompagnare la musica alla realizzazione del mio prossimo e semplice presepe. Felice di averti incontrato, abbraccio, peppe
Anch’io tra qualche anno avrò settant’anni. Ed anch’io costruisco ogni anno un presepe diverso. La mia più grande ambizione è quella di tramandare la nostra arte alle giovani generazioni. Grazie per le tue belle parole e scusami per il ritardo nella risposta.
Con questo articolo, Italo, metti in mostra, penso, anche la tua genialità!
Roberto
Grazie. Ma genialità forse è troppo: diciamo, va’, un certo geniaccio! 🙂
Anche io nel Presepe colloco la Natività nel posto più alto. Non conoscendo inizialmente la tradizione del porla in basso, pensavo istintivamente che fosse in alto il luogo più adatto al Bambino ed anche in seguito quando ho conosciuto la tradizione ed il suo significato profondo, qualcosa mi ha sempre comunque frenato dal seguirla, come se dentro di me sapessi che l’unico posto per il Bambino era in alto, ed i pastori dovessero “meritarsi” la contemplazione salendo. Senza nulla togliere alla tradizione, ma anzi all’interno di essa, trovo bello che ogni casa ed ogni famiglia si crei la sua propria “etichetta” presepiale, l’importante è che sia motivata da significato e sentimento.
Caro signor Francesco, sono lieto della sua conferma a quella che per me fu l’intuizione di un momento di grazia. Naturalmente, la grotta in basso sul piano è un’esigenza del presepe popolare napoletano, ma poi ognuno può e deve sviluppare una propria simbologia, pure restando nell’ambito della tradizione. Ho svolto questo tema negli ultimi articoli. Grazie del tempo che mi ha dedicato