La Cantata dei Pastori narrata da Giovanni Artieri

Giovanni Artieri, in un capitolo di Napoli nobilissima, rievoca la Cantata dei Pastori al teatro “San Ferdinando”. Affianco queste pagine a delle figure presepiali di Giuseppe Ercolano.

La Cantata dei Pastori di cui abbiamo parlato in queste pagine, è oggetto di un capitolo che Giovanni Artieri le ha dedicato nell’opera che ti ho presentato qui; essa era il “pezzo forte” della “stagione teatrale” natalizia al teatro “San Ferdinando”, il vecchio teatro sorto nella parte orientale di Napoli, all’interno della cinta muraria nell’ultimo ventennio del ‘7oo; esso è doppiamente caro alla memoria dei  Napoletani, sia per la Cantata dei Pastori, che vi fu eseguita fino alla seconda guerra mondiale,  sia perché fu ricostruito, dopo che era stato distrutto dai bombardamenti, dal nostro grande attore e drammaturgo Eduardo de Filippo.

Napoli Nobilissima - Frontespizio
Giovanni Artieri, Napoli Nobilissima, frontespizio

Artieri ricostruisce accuratamente la storia del teatro, della quale fu gran parte, tra Ottocento e Novecento, Federico Stella, don Federico, per i Napoletani. Se riesci a procurarti il libro, leggere l’intera storia, quale la racconta Artieri, ti renderà chiaro, una volta di più, che Napoli non è mai stata la città “del dolce far niente”, dove invece, tutti, compresi i nobili, oziosi in tante altre parti del mondo, partecipavano attivamente alla vita sociale e si davano da fare per incrementare l’economia, con imprese industriali, commerciali e culturali.
Ma per ora il mio scopo è quello di farti rivivere la Cantata dei Pastori attraverso queste belle pagine. Riporto la sintesi che di questo  “dramma sacro” ha scritta l’Artieri. Puoi magari confrontarla con ciò che io stesso ho scritto qui e qui.

Cos’era questa Cantata dei Pastori ossia Il Vero Lume tra le ombre per la nascita del Verbo Umanato? Un “materializzamento del pensiero religioso” come dice giustamente il Croce ed è tipico delle popolazioni meridionali, cattoliche; quasi una spinta o una straripante volontà di “vedere” e di “toccare” i vanenti soggetti mitici. […] La Cantata dei Pastori poneva a portata del pubblico Maria Vergine e San Giuseppe, Gabriele Arcangelo, nelle sue varie mutazioni (da Passeggero, da Sibilla Eritrea, da Pastore), Belfagor (nel suo aspetto di demonio, ma anche nel travestimento di masnadiero, oste, satiro). Accanto a queste entità divine e demoniache agisce una famiglia composta dal vecchio pastore Armenzio e dai suoi figli, Cidonio, cacciatore, e Benino, ancora in età fanciullesca. Loro amico e frequentatore è Ruscellio “pescatore gentile”; infine, personaggio principale: Razzullo, “vagabondo napoletano” costretto, per mangiare a mutarsi in  pescatore, cacciatore, al servizio di Cidonio e di Ruscellio; in oste agli ordini di Belfagor; e in capraro. Nel prologo figurano cinque “furie”: Pluto, Asmodeo, Belfagor, Astarotte, Belzebù. L’azione si svolge in una campagna presso Betlemme “con veduta di grotta e di fiume”. pp. 251-52

Artieri aveva assistito molte volte alla rappresentazione della Cantata dei Pastori ed è quindi capace di descrivere minuziosamente ed appassionatamente non solo lo svolgersi della vicenda e la bravura degli attori, ma anche la entusiastica, sanguigna  partecipazione del pubblico, che parteggiava per i personaggi rappresentanti del “Bene” ed imprecava contro quelli che incarnavano il “Male”. Il godimento massimo gli spettatori lo traevano dal contemplare la sconfitta del diavolo, che finiva a testa in giù e gambe all’aria in segno dello smarrimento e dello scoramento più totali. Artieri racconta di un operaio, un tal Antonio dei Cangiani che, uscito salvo da un incidente sul lavoro, aveva fatto voto (almeno così Artieri ricorda di aver sentito narrare) di impersonare Belfagor nella Cantata, esponendosi ogni anno alla inevitabile sconfitta sotto i colpi dell’Arcangelo Gabriele.

Il pubblico del “San Ferdinando”, di tutta la sua arte scenica, con la quale si industriava a rendere quanto più terribile possibile la parte del diavolo, apprezzava soprattutto la “caduta”: Artieri descrive così questa particolare “virtù acrobatica” che, eseguita bene, mandava in visibilio gli spettatori, soprattutto quelli appartenenti alla classe popolare, per i quali le vicende non erano pura finzione scenica, ma indiscutibile realtà: la “caduta” consisteva nel

porsi guancia per terra, sostenuto da una spalla, e tutto il resto del corpo librato verticalmente in aria: a simulare insieme disperazione e rabbia e somma sconfitta, dinanzi alle fulgenti legioni angeliche, accorrenti in difesa della Sacra Coppia, insidiata nel suo viaggio verso Betlemme. p. 247

Gli artigiani di San Gregorio Armeno hanno spesso raffigurato nella terracotta il diavolo, proprio traendo spunto dalla Cantata dei Pastori,  anche se porre la statuetta del Principe del Male sul presepe popolare, a rigore della logica del simbolismo, è una “ridondanza”, un di più, perché il diavolo si nasconde già nella figura dell’oste che vuole sedurre gli avventori. Ma la tentazione di rappresentare l’Avversario per eccellenza umiliato nella sconfitta costante, di cui sono simbolo le catene di cui è carico, era troppo forte per potervi restistere.

Ad illustrare la vibrante prosa di Artieri affianco la figura di Belfagor che Giuseppe Ercolano, artigiano/artista di Meta di Sorrento, ha realizzato nella terracotta (a lui appartengono anche le figure della Natività, nell’immagine di apertura, in una foto di Gianni Coppola). Come puoi vedere, essa è una vera e propria “accademia“, perché il modellato non si limita alla testa, ma si estende all’intero busto. L’espressione accigliata con le narici frementi e la bocca semiaperta, i gesti delle mani, rendono bene lo sgomento del nostro “Avversario” nel vedere frustrati i suoi tentativi di impedire la nascita del Salvatore. Non mancano le catene di cui sembra quasi di avvertire il tintinnio.

Belfagor - Giuseppe Ercolano
Belfagor, nella Cantata dei Pastori.
Opera di Giuseppe Ercolano.
Foto di Gianni Coppola

Se appena mi pongo pei sentieri delle memorie, ecco mi appare ancora nella luce della ribalta lo scintillio delle catene di rame e di ottone saldate ai polsi dei “diavoli” e il tremito delle gambe e delle altre membra, nello sforzo di sostenere il corpo nella simbolica posizione di “precipizio agli inferi”, in quegli attori in trucco demoniaco, ricoperte di maglie rosse, anneriti i volti dall’abbondante carezza del sughero bruciato, resi orribili gli occhi e le orecchie dalla pittura di carminio, e le corte corna aguzze di taluni dei maggiori, come Belfagor, Pluto e Asmodeo, corredate di minuscoli fanalini a pila elettrica che, intermittentemente e con effetto improvviso, si arroventavano sulle punte. p. 247

Ai diavoli si contrappongono le schiere degli Angeli. Anche la figura che qui ti propongo di un “messaggero” (questo significa il nome “angelo”, nella sua etimologia dal greco) della Volontà Divina, è di Giuseppe Ercolano.

Angelo - Giuseppe Ercolano
Angelo.
Opera di Giuseppe Ercolano
Foto di Gianni Coppola

Ma degli “Angeli” dovremo ben presto parlare, perché sono parte essenziale della rappresentazione presepiale.

E tu, hai già iniziato a “fare il presepe”? Chissà che, visti i recenti, tragici avvenimenti, non sia il caso di mettervi anche la statuetta del “principe del Male”, perché assista ancora una volta, come segno augurale di un mondo migliore, al trionfo del Bene. Che cosa ne pensi?

8 commenti

  1. Sono poco propenso ai commenti, pertanto mi limito a complimentarmi con voi e a ringraziarvi per le bellissime e interessantissime letture che mi proponete. Grazie di cuore. Distinti saluti.
    Libero Meloni

  2. professo’ il male ha fra le tante funzioni, quello di farci rendere conto della nostra limitazione, e’ il nostro specchio, e’ il contraltare al bene che abbiamo rifiutato nella circostanza.
    belfagor va bene sul presepe, perche’ il presepe e’ vita, e quindi comprende anche il male,
    solo il paradiso che non e’ vita non lo prevede.
    al posto del volto di belfagor, metterei uno specchietto in cui ciascuno potrebbe vedere se stesso.
    in altre sembianze brutte o belle sono solo un mezzo per dissociarci dal nostro m.hyde.
    professo tu resterai professore a vita e’ questa sara’ la tua medaglia.
    un tuo ancora oggi allievo, non di scuola ma di vita.
    pegaso antonio.
    p.s. ma comm fai, ma comm fai

    • La notizia che resterò professore a vita mi deprime un po’. Pensavo di essermi liberato dal “professore” con il pensionamento. Ma se così dev’essere, si faccia la volontà di Antonio. Il quale peraltro dichiarandosi mio allievo dimostra che non merito medaglie :-).
      Lo specchio sul presepe c’è, ma ben dissimulato: è un trucco di cui sono andato sempre fiero e tu stesso ci cascasti…

  3. E’ bella e dettagliata la descrizione dell’Artieri: sono passati tanti anni, ma fu la mia prima esperienza teatrale alle elementari e, anche se non ho nessuna foto, il ricordo è ancora vivido.

  4. bartolo incoronato

    Salve, mi sono imbattuto in un immagine di un presepe ( DI QUELLI IN CARTAPESTA E GESSO) e mi sono detto ma questo è un presepe di Italo, quel personaggio un po strano e un po’ incutente soggezione, il professore che faceva il presepe nella parrocchia. Sono andato alla pagina ed avevo indovinato avevo individuato la cifra dell’ artista. Pagine interessantissime, ma oltre il mio cordiale e reverente saluto volevo esprimere il mio interesse Per il libro ” Il sogno di Benino” come si può fare x procurarselo?

    • Ciao, Bartolo. Ho incontrato tuo fratello Rosario l’altro giorno, a via Atri, a Napoli, e abbiamo insieme ricordato i tempi in cui facevamo insieme il presepe in parrocchia. Grazie per il cordiale saluto, ma, ti prego, togli il “reverente”: siamo amici di vecchissima data e mi fa davvero piacere che tu mi abbia incontrato su queste pagine. Purtroppo il mio libro sul presepe è stato pubblicato una sola volta nel 1989 e da allora non ho trovato nessun editore disposto a rischiare le spese di stampa. Perciò è introvabile. Ma in qualche modo vedremo di fare.

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