Napoli è una città che ispira sentimenti ambivalenti e contraddittori. Ma in essa è radicato, risalendo agli antichi tempi della Grecità, il rispetto per l’ospite. Anche verso la povertà Napoli mostra una particolare sensibilità, che si esprime nella tradizione del “caffé pagato”.
Ho sempre amato questa mia città, anche se in essa non ho profonde radici, essendovi nato da genitori irpini.
Ne ho percorso le strade e i vicoli, mi sono soffermato alla sacra ombra delle sue chiese, ho cercato le tracce delle sue antiche mura, ho trascritto, tradotto, interpretato le epigrafi che narrano la sua storia.
Soprattutto ho parlato con le persone, sempre trovando nelle loro parole un calore, una modestia, una pazienza, che altrove ho invano cercato.
Non me ne vogliano, gli amici che ho in tutte le città d’Italia dove ho soggiornato, per motivi di studio o, più spesso, di lavoro: ma sempre, anche in mezzo alla migliore compagnia, si faceva sentire la nostalgia per la patria lontana.
In riva al lago di Garda, ma anche sulla Senna e sulla Moldava, una canzone napoletana affiorava senza che potessi trattenerla.
Le strade di Parigi, di Praga, di Dublino, perfino di Atene dove avrei dovuto sentirmi veramente “a casa”, hanno dovuto sopportare il mio nostalgico canto di Napoletano innamorato di Santa Lucia e di Posillipo.
Sopportare davvero, perché, se come filologo e come scrittore posso illudermi di valere qualcosa, come cantante, no, devo confessartelo, non valgo una cicca: anche la mia buona mamma mi pregava di tacere, quando cantavo, perché si vergognava della figura barbina che avrei potuto fare con i vicini.
Sì, lo so che a te può sembrare strano, il legame con questa città, di cui si dicono tante cose, non tutte false, ma neppure tutte vere, che non le fanno certo onore.
Ma se tu vivessi a Napoli, saresti preso anche tu nella rete di sentimenti ambivalenti: a Napoli non puoi abbandonarti all’incanto delle sue strade, del suo sole, del suo mare, che qualcosa ti fa montare su tutte le furie.
E, viceversa, non puoi andare fino in fondo al tuo risentimento, alla tua ira, al tuo sdegno, verso questa città, che subito qualcosa, di segno completamente opposto, come un raggio di luce, te la fa apparire sotto una prospettiva diversa.
Non credere che questo capiti solo a me: ho spesso ritrovato questo stesso alternarsi di sentimenti nei libri dei viaggiatori stranieri ed anche amici di altre città d’Italia, in visita a Napoli, mi hanno confessato di avere con essa un rapporto ambivalente di odio-amore.
Ti racconto qualche episodio per esemplificare ciò che intendo dire.
In una delle piazze che più mi sono care, un gruppo di ragazzi gioca al pallone, cosa che mai sarebbe concepibile in altre città d’Italia.
Una pallonata per poco non mi centra in pieno.
I ragazzi si affrettano a chiedermi scusa con la solita frase, che ha il potere di farmi infuriare sul serio: “Nun l’aggio fatto apposta”.
E ci sarebbe mancato che l’avesse anche fatto di proposito!
Quindi entro nel bar della piazza, dove sono ben conosciuto.
Mentre, al banco con un amico, mi gusto il delizioso caffé che solo a Napoli si sa fare, colgo un brano di conversazione tra il giovane padrone e un signore dall’aspetto dimesso e imbarazzato.
Capisco che il signore si sta scusando di non potere pagare il conto in sospeso, perché ancora non gli è arrivata la pensione. Il padrone gli dice tranquillamente di recarsi al banco a consumare, che poi pagherà quando potrà. Mi trattengo un po’ ad aspettare che il signore esca e si allontani.
Poi mi rivolgo al padrone e gli chiedo se, avendo compreso le difficoltà economiche di quella persona, posso lasciare del denaro per pagare qualche sua prossima consumazione.
Ma il giovanotto, con un sorriso di modesta complicità, rifiuta serenamente la mia offerta, mescolando napoletano ed italiano: “professo’, lo so che volete farlo pe nu sfizzio d’o vuosto (= per un vostro piacere personale), ma credetemi, non ce n’è bisogno: nuie ci o dammo ‘o stesso (glielo diamo lo stesso, anche se non ha i soldi per pagare)”.
Ecco, basta questo e dell’ira per la pallonata appena scansata non resta più traccia.
No, adesso non pensare che io e il padrone di quel bar siamo particolarmente generosi. Napoli è stata sempre comprensiva verso la povertà, nella quale vede un difetto non della persona, ma della fortuna e della società.
Hai mai sentito parlare del “caffé pagato”?
No? E allora te lo racconto.
Innanzitutto, sappi che il napoletano trova molto triste prendere il caffé, il suo delizioso caffé, da solo.
Per questo va sempre in cerca di un amico, magari un semplice conoscente, per dirgli: “Andiamo a prendere un caffé”. Naturalmente, è chiaro che offre lui, che ha rivolto l’invito (pensare di pagare “alla romana”, ciascuno per sé, è alla stregua di una bestemmia).
E l’altro non può rifiutare, perché un rifiuto susciterebbe delusione, quasi che si rifiutasse l’amicizia.
Così si va al bar allegramente insieme, magari a prendere il terzo, se non il quarto o il quinto caffè della mattinata.
Alla cassa, chi offre non si limita a pagare i due caffé, per sé e per l’ospite: ne paga anche un terzo, che resta in sospeso, il cosiddetto “pagato”, a disposizione di chi non può permettersi di pagarsi neanche un caffé.
Domattina, qualcuno si affaccerà timido alla porta del bar a chiedere umilmente alla cassa: Scusate, c’è un “pagato”?
Chi lascia il “pagato”, non sa chi trarrà beneficio dal suo gesto, ma sente di doverlo compiere: fa parte di un’antichissima tradizione che risale ai Greci e forse anche a tempi antecedenti ai Greci.
E forse, chissà, … forse, sotto gli abiti dimessi di chi si affaccia a chiedere se c’è un “pagato”, si nasconde un dio che si aggira tra gli uomini, per vedere se c’è ancora carità sulla terra … oppure, più modestamente, si nasconde un’anima purgante che, da quel gesto di bontà, si vedrà alleviata la pena e che, a sua volta, pregherà per i viventi, perché sia loro alleviata la fatica del vivere.
Sì, a dispetto di tutto, amo profondamente la mia città …
Bene: ancora una volta, ho lasciato che l’argomento mi prendesse la mano … perché, in realtà, volevo parlarti di quel personaggio, comico e commovente, della “Cantata dei pastori”, che è Razzullo e che è rappresentativo del popolo napoletano.
Ma, pazienza, te ne parlerò in uno dei prossimi articoli!
Ciao Italo,
sono Silvio e finalmente, tra un esame e l’altro, riesco a scriverti anch’io. Ho letto il tuo articolo sul caffè “sospeso” ed è davvero interessante notare come, da piccoli gesti, si esprima il buon cuore e l’animo nobile del napoletano, contrariamente a tutto ciò che di brutto e volgare si dica su Napoli e sul suo popolo.
Ora, però mi chiedo quale sia il motivo che ti ha spinto ad inserire nel tuo blog – mi sembrerebbe un tantino fuori tema, cioè fuori dal percorso presepiale – questo articolo sul ruolo “da protagonista” del caffè a Napoli?
Buona serata
Silvio
Caro Silvio, ho davvero piacere che, questa volta, a scrivermi sia tu.
Comprendo bene la tua perplessità, che probabilmente è di molti lettori.
Apparentemente, infatti, ogni tanto vado “fuori tema”.
Cosa un po’ grave per chi, nella sua carriera di insegnante, ha sempre raccomandato di rispettare la traccia.
Ma sottolineo “apparentemente”.
In realtà, in anni di studio e di ricerca, mi sono convinto che nella vita, così dei singoli come dei popoli, ben poco vi sia di casuale, ma che tutto sia legato da vincoli tanto sottili, ma tanto forti, che, come sono difficili da scorgersi, così sono difficili da spezzarsi.
Perciò ti chiedo, a mia volta: è davvero un caso che il popolo che ha la più celebre tradizione presepiale sia lo stesso popolo che ha una profonda pietà per le anime purganti e conserva la cultura del “pagato”?
E che sempre a Napoli vi sia stato il culto per il poeta Virgilio, il cantore della discesa agli inferi di Enea, e che vi si possano trovare i primi codici della Divina Commedia?
Voglio dire: può essere davvero soltanto un caso che tanti segnali, che si trovano, distinti e separati, qua e là nel mondo, a Napoli siano riuniti?
Ma di questo, ho delle prove documentarie o sono solo suggestioni?
Potrai giudicare tu stesso, se continuerai a leggermi.
Mi raccomando gli esami: alla mia età ti troverai ciò che hai appreso adesso. Perciò, sotto con gli studi.
Caro Professore, che bell’articolo!
In un piccolo gesto, tanta umanità.
Sarebbe interessante aprire una discussione sulla ‘fonte’ di tanta solidarietà umana, empatia, altruismo.
Forse la povertà che da sempre ha attraversato questo popolo?
O la vicinanza al Vesuvio e ai Campi Flegrei?
“Sotto il cielo più puro, il suolo più insicuro” diceva Goethe. Ed è forse anche questa insicurezza che ci rende più umani?
Nel frattempo, mentre anche io vado alla ricerca di risposte, Vi allego un video-intervista del grande ‘ciociaro’ Marcello Mastroianni:
https://www.youtube.com/watch?v=4tZLSo5X9bM
Buona serata e a presto!
Giovanni
Grazie, Giovanni, sia per il commento, sia, ancor più, per il link con l’intervento del grande Marcello, che rappresenta un’autorevole conferma a quanto ho affermato nell’articolo. Mi proverò a dare maggiore spazio a questa davvero preziosa testimonianza.
no.. parlando di napoli non si va mai fuori tema.. napoli è complessa, contorta…
provare a districarsene vuol dire finire per intrecciarsi inevitabilmente in altro..
grazie per lo sguardo che vaga sulla nostra città e coglie anche quello che ai nostri sfugge..
Buonasera Professore,
ho letto con molto piacere questo articolo.
Complimenti per il sito (o blog, per la generazione del web 2.0), a parer mio, vale la pena dedicarci un po’ di tempo!
https://www.youtube.com/watch?v=ruWlagKvuK0
Grazie, Adriana. Questo articolo è uno dei miei preferiti. Spero che continuerai a leggermi e a dirmi le tue impressioni; tengo molto al parere dei giovani.