Benevento, “città delle streghe”, ma anche della più antica rappresentazione presepiale. Per noi, una vera “scoperta”.
Ho spesso sostenuto che Dio creò l’uomo perché andasse a spasso. Idea che è piaciuta a molti. Infatti, la passeggiata è la migliore occasione per conoscere, meditare, e anche discutere, se si è in compagnia. E si possono fare interessanti scoperte. Voglio riportare il resoconto di una passeggiata a Benevento con Guido Di Lorenzo, redatto in stretta collaborazione.
È il dodici marzo, un giovedì; ci si incontra alle dieci antimeridiane, a piazza Carlo III, ed anche se la giornata è piovosa, la proposta di Guido di andare a Benevento è accolta con entusiasmo; proprio perché il tempo non è buono, è il caso di andare un po’ all’avventura, per combattere la malinconia.
Due insegnanti in pensione, che si trovano a viaggiare insieme, finiscono inevitabilmente per parlare di scuola, di quella di ieri e di quella di oggi.
Certo, bisogna convenire che la scuola di ieri dava ottimi risultati; e tuttavia la bontà di quella scuola, nei ricordi di Italo, non è senza pecche. In quel tipo di scuola, dovevi affidarti (sia detto senza ironia e senza nessuna intenzione blasfema) all’illuminazione dello Spirito Santo: nel senso che se una particolare disposizione naturale non ti soccorreva, eri irrimediabilmente tagliato fuori.
Guido concorda pienamente sul fatto che il successo della scuola di ieri era dovuto anche alla selezione drastica e, purtroppo, senza appello. Si ritorna quindi al punto centrale di tante nostre discussioni: il ruolo fondamentale dell’insegnante che deve trasmettere conoscenza ma essere soprattutto una guida.
Ci godiamo comunque la giornata di libertà e Italo la contrappone alla schiavitù del lavoro. Dapprima Guido non è d’accordo, affermando che il lavoro è un’espressione della libertà dell’uomo, anzi il suo fondamento. Ma Italo si riferisce al lavoro organizzato gerarchicamente, con rapporti che sono quasi di sudditanza e nel quale spesso il capo è colui che vuole impedirti di compiere serenamente il tuo dovere: insomma, “il senso del potere, che fu prealessandrino” (come dice, leggermente modificata, una celebre, intelligentissima canzone).
Ovviamente, questa sintesi non può rendere l’animazione di un discorso che non sempre riesce ad essere continuo, pure è ricco di sfumature, nei suoi toni, nelle sue pause, sottolineature, anche ridondanze.
Abbiamo dimenticato di portare con noi le carte topografiche: ad un certo punto, per essere sicuri che siamo sulla strada giusta, facciamo ricorso alla tecnologia, la mappa sul cellulare e il navigatore, per raggiungere Benevento. Ci siamo arrivati in non più di un’ora.
Fin dal primo approccio Benevento ci fa una buona impressione. Una cittadina tranquilla, ordinata, vivibile: per mettere le mani avanti, si tratta, naturalmente della prima immediata impressione.
La giornata dal punto di vista meteorologico non è delle migliori: ci sono folate di vento che, provenienti dalle gole dei monti circostanti, spazzano la strada e intirizziscono le dita delle mani che sono restie ad uscire dalle tasche per prendere l’apparecchio fotografico: ma la forza di volontà ha la meglio, anche perché nella Rocca dei Rettori sono incastonati dei marmi antichi che Italo non può esimersi dal fotografare.
Un po’ di commozione è d’obbligo davanti al monumento ai caduti, simile a quelli di tutte le piazze nelle cento e più città dell’Italia.
Intanto comincia anche a piovere.
Davanti all’obelisco egizio, ci ricordiamo che in epoca imperiale Benevento fu la città della dea Iside, ciò che, nella tradizione posteriore, la consacrò come la “città delle streghe”, cosa che poco si addice alla sua atmosfera pacata e serena.
La chiesa di Santa Sofia, il gioiello di Benevento, è chiusa, data l’ora in cui siamo arrivati.
Ma possiamo visitare il Museo del Sannio che è di una ricchezza affascinante, poiché conserva opere d’arte dalla preistoria ai giorni nostri. Così, dalle urne cinerarie e dai vasi greci, si passa alle opere di Carlo Levi, Emilio Greco e Corrado Cagli, con naturalezza: naturalmente attraversando anche quella tappa obbligata che nella storia di Benevento sono i Longobardi.
I Longobardi: provenienti dall’attuale Ungheria, nel 568 d.C. giunsero nel Nord Italia, per conquistare un po’ alla volta buona parte della penisola; Langobardia Minor è questa parte d’Italia che stiamo visitando.
Il chiostro è un’oasi di arte e di serenità, espressione di quella vita monastica, fatta di lavoro, meditazione e preghiera, che arricchì la vita spirituale e materiale dell’Europa medievale e i cui riverberi giungono fino a noi.
Le arcate del chiostro sono sostenute da colonnine tutte diverse tra loro, ma ciò che più attira l’attenzione è la serie di pulvini scolpiti.
Il pulvino è un elemento architettonico, tipico dell’arte bizantina: di forma trapezoidale, raccorda la base dell’arco con il vero e proprio capitello.
I pulvini di Santa Sofia sono adornati con scene di vario genere che dispiegavano dinanzi agli occhi dei monaci, che trascorrevano nel chiostro le pause di meditativo riposo, tutta la vita sacra e profana, industriosa e combattiva, del mondo reale e immaginario.
Vi sono rappresentati i mesi dell’anno con le opere agricole caratteristiche delle varie stagioni. I nomi dei vari mesi sono anche dichiarati da brevi iscrizioni. Scene di caccia e di guerra esemplificano la durezza della lotta per la sopravvivenza, il cui carattere selvaggio è mostrato da rilievi con combattimenti non solo tra cavalieri, ma anche tra centauri e belve.
Ma la vera “scoperta”, per noi, è costituita da un pulvino decorato con la Natività di Cristo: è impossibile descrivere la sorpresa, al limite dell’eccitazione, nel vedere dispiegarsi dinanzi ai nostri occhi, dapprima increduli, poi sempre più convinti, quello che è un vero e proprio presepe. Ecco, al centro, il Bambino nella mangiatoia, completamente avvolto nelle fasce all’uso del tempo, la Madonna che con il braccio destro avvolge teneramente, a proteggerla, la sua creatura, a destra l’Angelo con le ali dispiegate e, sulla sinistra, San Giuseppe. Non manca neppure la stella, somigliantissima a quella in cartone argentato che mettiamo sul presepe a Natale.
L’ignoto artista ha compiuto un vero e proprio miracolo compositivo per fare entrare nell’esiguo spazio del trapezio regolare tutti i personaggi e gli elementi del racconto evangelico.
Girando, senza più nascondere la nostra eccitazione, tutt’intorno alla colonna, scopriamo le altre scene: un pastore con le pecore, i tre Magi in corteo e, sul lato posteriore, quella che ci appare essere la “presentazione al tempio”.
Naturalmente, iniziamo a fotografare partitamente, quando una voce, con tono cortese e, si comprende, anche un po’ dispiaciuto di doverci richiamare all’ordine, ci ricorda il divieto di fotografare nell’ambito del Museo e del chiostro.
E fanno la loro comparsa la signora Rita e il signor Antonio, la nostra seconda grande “scoperta” a Benevento…
Bene… per il momento mi fermo qui!
Interessantissimo. Soprattutto il concetto della “passeggiata come scoperta”. Sono curioso di leggere il resto e di sapere della signora Rita e del signor Antonio…
Caro Luca, credo di averti accontentato con l’articolo successivo.