Aurora è il titolo di un bellissimo romanzo di Stanislao Nievo. In un episodio di questo libro, nei pressi della Porta Magica di Roma, si aggirano inquietanti personaggi che ritroviamo nel presepe popolare. La lettura di queste pagine mi confermò nella mia linea interpretativa del presepe popolare napoletano.
“Se stai seduto, non vai. Se non stai seduto, vai”. Il monito inciso sulla soglia della Porta Magica, a Roma, sta a significare che la nostra esistenza è un viaggio verso una meta, se non ci arrestiamo in una colpevole inerzia.
Il viaggio è il significato di alcune opere sapienziali della nostra cultura, quali la Commedia di Dante e il presepe popolare napoletano. Ma altre potrei portarti ad esempio; lo farò in altri momenti.
Per inciso, il celebre motto latino errando discitur è mal interpretato, quando lo si traduce “sbagliando si impara”. Sbagliando, infatti, è difficile che si possa apprendere qualcosa, a meno che non vi sia un maestro che ti corregga l’errore. Il motto latino che risale, in ultima analisi, al filosofo greco Aristotele (“il maestro di color che sanno / sedere in filosofica famiglia”, come dice Dante), va tradotto invece con “andando in giro s’impara”.
Si sedes non is, si non sedes is, come ci avvisa la Porta Magica a Roma.
Come ho raccontato qui, già la prima volta che feci la scoperta di questo strano monumento pensai al viaggio presepiale, così come esso è rappresentato nel presepe napoletano, secondo la sua variante popolare, con la serie di discese che conducono alla visione del Bambino Gesù, nato in una grotta in grembo alla Terra.
Sulla fronte della soglia, infatti, una iscrizione asserisce che “è opera del vero sapiente fare aprire la terra, perché essa germogli la salvezza per il popolo”:
EST OPVS OCCVLTVM VERI SOPHI APERIRE TERRAM VT GERMINET SALVTEM PRO POPVLO
Avevo già udito parole come queste, quando da ragazzo partecipavo attivamente alla liturgia del Natale:
Rorate caeli desuper et nubes pluant Iustum
aperiatur terra et germinet Salvatorem
“Stillate rugiada, o cieli, e le nubi diano come pioggia il Giusto
Apra il suo grembo la terra e dia come germoglio il Salvatore”
Sì, davvero tutta la Sapienza dell’Occidente ci riporta al viaggio, alla fine del quale possiamo contemplare la Nascita dell’Eterno nel tempo.
Ebbi la conferma che avevo intuito giusto, quando, qualche anno dopo, in una delle mie scorribande tra le bancarelle dei libri a Port’Alba, mi imbattei in un libro che mi incuriosì innanzitutto per il nome dell’autore: Stanislao Nievo. Mi chiesi se avesse qualche rapporto con il grande scrittore dell’Ottocento, Ippolito Nievo, autore di un romanzo, Le confessioni di un italiano, che, se se fosse stato riveduto e limato, avrebbe potuto gareggiare con i Promessi Sposi di Manzoni.
In effetti, Stanislao Nievo era pronipote di Ippolito, ma anche per parte di madre poteva vantare un illustre progenitore in Xavier De Maistre. Giornalista, viaggiatore instancabile, amante della natura, poeta, era autore di romanzi nei quali proponeva una visione assolutamente inedita della realtà.
Ma torniamo al libro trovato sulla bancarella di Port’Alba: il titolo, Aurora, era evocativo di un antichissimo culto italico, soprattutto campano, quello di Mater Matuta, di cui mi ero occupato per la mia tesi di laurea.
Le maggiori testimonianze di questo culto sono custodite nel museo di Capua, in un centinaio di statue, dallo straordinario vigore artistico, rappresentanti delle donne sedute in trono, le quali reggono sulle braccia e in grembo dei bambini avvolti in fasce.
Partendo dallo stupore che prende chi vede le statue, Stanislao Nievo ha scritto Aurora, questo romanzo di eccezionale spessore culturale, linguistico e psicologico, che voglio raccontarti molto brevemente, anche nella speranza che tu legga il libro e poi vada a visitare lo splendido Museo di Capua, uno dei più importanti d’Europa e purtroppo poco conosciuto.
La vicenda di Aurora prende l’avvio da un fatto di cronaca quotidiana: un’anziana signora che aveva vissuto molti anni nell’agro pontino, morendo a Firenze, ha chiesto di essere sepolta nel vecchio cimitero nella zona in cui sorgeva Satricum con il tempio di Mater Matuta. Del fatto burocratico si deve occupare Alessandro, agronomo impiegato presso l’opera agricola. Dapprima infastidito, poi sempre più attratto da aspetti inconsueti della vicenda e incuriosito dalla personalità della defunta, Alessandro cerca di capire: l’inducono alla riflessione alcune considerazioni contenute nei quaderni della “signora”. Questa, per esempio, era convinta che i Romani avessero un senso della vita meno maturo rispetto alle genti da loro vinte e che distruggendole i Romani stessi avessero perso una grande occasione. Così Alessandro si mette alla cerca, sulle tracce della dea, tra Satrico, Roma e Capua, scoprendo che a lei è legato un sentimento che gli uomini hanno perso all’inseguimento del potere.
C’è in Aurora un momento preciso che riguarda l’argomento che sto trattando. Nel corso delle sue ricerche, Alessandro si ritrova in piazza Vittorio, davanti al rudere della Porta Magica. Non l’ha mai visto, per questo resta perplesso per gli strani segni e le enigmatiche iscrizioni che vi vede incisi. E nei pressi del monumento fa degli straordinari incontri.
Il primo è con una zingara.
Qualcuno lo [Alessandro] prese per la manica, una zingara che chiedeva l’elemosina […]
La zingara si attaccò ancora al braccio di Alessandro. Aveva un richiamo differente dagli altri. In quel mercato dove ogni cosa era trattata con rapacità corrotta, il suo volto brillava di residui gioiosi, liberi, carico di monili d’oro, sfrontatamente esibiti. La guardò affascinato. Saliva da essa una tranquillità selvatica che le permetteva di superare qualsiasi affronto, restando a galla, pronta ad aggredire, morbida. La sentì padrona. Immediatamente la donna lo notò. Alessandro se ne andò veloce.
Il secondo incontro è con un mendicante, veramente un tipo di mendicante molto originale, poiché è lui che si incarica di spiegare ad Alessandro il significato delle bizzarre incisioni:
“Basta comprendere la lingua vera, non quella apparente” e strizzò l’occhio, malizioso.
Alessandro non sapeva che cosa fare. Gli diede mille lire. Più in là, la zingara guardava, con occhi sfavillanti, d’acciaio, e sentì che lo seguivano.
Non ho bisogno di parlare del valore simbolico della zingara, dopo ciò che ne ho scritto qui. Anche il mendico è un personaggio simbolico importante, soprattutto se è cieco: nella cultura europea, le due caratteristiche della cecità e della mendicità sono unite in Omero, mentre la cecità è legata al dono della conoscenza del passato, del presente e del futuro in una figura mitica importantissima, che è quella di Tiresia, che, nella sua vita fu uomo, poi donna, infine nuovamente uomo.
A rigore, sul presepe popolare napoletano, il mendicante non è necessario, anzi, da un punto di vista simbolico, è addirittura superfluo, mentre sul presepe “colto” è una figura che consente numerose variazioni artistiche.
Ma sul mendico, dovrò ritornare, se avrai la pazienza di seguirmi in questo labirintico percorso.
Voglio ancora una volta ringraziarti, caro Italo, per questo viaggio presepiale a cui affianchi un tour letterario intrigante e piacevolissimo alla scoperta di autori noti e meno noti. A proposito di Ippolito Nievo ti allego un link per vedere questa bellissima intervista a Livio Garzanti anche se l’audio non è dei migliori. Non ho letto purtroppo “Le confessioni di un italiano” e accolgo il tuo invito, ma la cosa che più mi sorprende sono le tue parole: “riveduto e limato avrebbe potuto gareggiare con i Promessi Sposi”.
Un caro saluto
Mariano
http://www.letteratura.rai.it/articoli/ippolito-nievo-confessioni-di-un-italiano/1031/default.aspx
Ippolito Nievo scrisse il suo grande romamzo tra i venticinque e i trent’anni, poi preferì fare il garibaldino. Purtroppo, non morì per il piombo borbonico, ma molto probabilmente per gli intrighi della burocrazia piemontese, in una vicenda che getta una luce ancora più sinistra sul modo in cui avvenne l’Unità d’Italia … ma è meglio che mi fermi qui. Sono un fautore dell’Italia unita, ma avrei voluto che fosse unita in modo molto diverso. Così come vorrei un’Europa unita, ma non nel senso in cui è oggi, sottoposta ai ricatti e ai diktat di un paio di nazioni che già nel passato hanno riempito il mondo di odio e di stragi. Finiamola qui, dunque.
… e una passa una vita intera a sbagliare pensando di imparare e invece sarebbe dovuta andarsene in giro per avere quel risultato? 🙂
Non è colpa mia, ma è proprio così. Prenditela con Aristotele, se hai sbagliato il senso del tuo “errare”.