domenica , 8 Settembre 2024
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Dall’argilla alla terracotta: la cottura nel forno

Un lavoro di argilla, per acquistare durezza e sfidare i secoli, ha bisogno di essere sottoposto a cottura. Oggi vi sono dei forni elettrici molto utili. Ma si può usare, con la dovuta accortezza e la dovuta prudenza, anche qualche antico metodo artigianale.

Un manufatto lavorato in argilla richiede l’operazione della cottura, per essere reso pressoché indistruttibile.

Nell’immagine di testata, ti mostro, infatti, un antico forno per la cottura dell’argilla, che ho tratto da un libro di cui parlerò altrove: il libro “Terrecotte e presepi”, che è il catalogo di una mostra tenuta a Bologna nel 1992.

Nel corso dell’operazione, l’argilla acquista il bel colore rossastro che contraddistingue la terracotta. Certo, se si vuole, si può lasciare il manufatto anche senza cottura e dipingere ugualmente la creta cruda. Questo, per esempio, si può fare, se si vuole prepararre il presepe con un po’ di fretta e non ci si preoccupa di conservare i “pastori” così preparati per il presepe dell’anno successivo. Certo, la creta lasciata senza cottura può anche resistere nel tempo, ma teme l‘umidità e, soprattutto, tende a sfaldarsi e a ridursi in polvere. Dare il colore all’argilla cruda, poi, non è piacevole come farlo con la terracotta.

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In una bottega di San Gregorio Armeno, pastori vestiti e pastori in terracotta non dipinta. foto di Gianni Rollin

Apparentemente ottenere la terracotta partendo dall’argilla sembra facile: si crede che basti metterla al fuoco e il resto va da sé. Le cose, invece, non stanno affatto così.

Innanzitutto, l’argilla deve essere ben asciutta: il minimo che può accadere se si espone al fuoco quando l’umidità non è andata tutta via è che si producano nell’argilla delle fenditure poco piacevoli a vedersi.

Un’altra avvertenza importante: l’argilla va lasciata asciugare da se stessa lentamente. Se si ha fretta, si può essere indotti a volere accelerare il processo esponendo il pezzo al fuoco. Ebbene, un processo di “asciugamento coatto” fa deformare il pezzo. Perciò, anche qui, niente fretta. Se non ti sei mosso per tempo a preparare i pastori per il presepe, lasciali senza cottura e adoperali così come sono. Vanno bene anche di creta cruda: potranno passare a terracotta per il presepe dell’anno successivo.

Ricordati, inoltre, che se il fuoco che accendi si fa violento, il pezzo scoppia irrimediabilmente.

Come vedi, anche per questa fase, occorre armarsi di pazienza.

Naturalmente, la maggior parte degli artigiani oggi possiede dei forni elettrici che graduano la temperatura e la elevano lentamente. Ma quando non si possedevano questi strumenti approntati dalla tecnica occorreva arrangiarsi.

Nella nostra bottega artigiana l’operazione della cottura era curata personalmente da mio padre con l’aiuto di mia madre. Il mezzo adoperato era il carbone di legna, lo stesso che si usava per accendere il fuoco nel braciere.

Accanto a mio padre, mia madre era diventata anche lei molto esperta in questa delicata operazione.

In seguito, dopo quella che io chiamo “la cacciata dal Paradiso terrestre”, cioè l’abbandono da parte nostra della bottega a San Gregorio Armeno, per anni ho continuato a “giocare” con la creta, modellando statuette da regalare agli amici, copiando le opere di mio padre, qualche volta osando perfino imitare i grandi del passato. Una volta, per una mostra di lavori artigianali in parrocchia, a scopo di beneficenza, mi cimentai anche con un “Mosé di Michelangelo in terracotta. Per avere solo quindici anni, devo dire che me la cavai abbastanza bene e che il mio “Mosé” ebbe un notevole successo.

Ma se sto a parlarti di questo, è solo per dire che dell’operazione della cottura si occupò sempre mia madre.

La mia cara e buona mamma: con quanta pazienza assecondava il “gioco” di questo figlio, ultimo nato, che era stato violentemente strappato all’arte e consegnato agli studi. A volte, mentre modellavo, la sentivo dire, quasi tra sé: “Il figlio della gatta acchiappa i topi!”, per significare che comprendeva come mi fosse innata la passione per l’arte che era stata di mio padre.

E così si predisponeva alla delicata operazione della cottura, che ti racconto esattamente come l’ho vista fare tante volte da lei.

Come fornace, preparava una scatola di latta, di quelle che si usavano una volta per le conserve alimentari. La sua grandezza variava in base alle dimensioni del pezzo da cuocere: con un punteruolo e un piccolo martello traforava la scatola (in napoletano si dice “buatta”, una parola derivata chiaramente dal francese boite: il napoletano è pieno di francesismi). Alla fine la scatola era tutta crivellata, piena di fori dall’orlo alla base, perché l’aria potesse passare e circolare tra i carboni che vi sarebbero stati sistemati.

Quando il pezzo era piccolo, poteva bastare anche semplicemente il crivello usato per cuocere le castagne. In fondo, il principio era lo stesso: l’aria doveva potere circolare liberamente.

Poi, nella “fornace” così preparata, era disposto un primo strato di carbone di legna, poi un secondo e un terzo. Il pezzo da cuocere era quindi adagiato su questi strati e ricoperto da altri strati. Ossevando la procedura, mi rendevo conto di quanto fosse importante che i carboni non fossero ammucchiati, ma disposti in strati regolari. Alla fine, il pezzo di argilla doveva essere completamente circondato dai carboni.

Si passava quindi all’accensione del fuoco. Si cominciava con l’accendere delle carte di giornali alla sommità del carbone, in modo che si accendesse il primo strato. Quando il fuoco alla sommita era ben vivo, allora bisognava disporsi ad aspettare. Il fuoco, infatti, doveva comunicarsi al secondo strato e poi al terzo e così via, naturalmente, per opera propria, e con lentezza. In questo modo, l’argilla, al calore che aumentava poco per volta, terminava di asciugarsi, riceveva un primo preparatorio riscaldamento e si preparava a essere investita dalla rovente violenza della brace, che proseguiva fino in fondo alla “fornace”.

Naturalmente, si stava con il cuore sospeso, sempre aspettandosi il temutissimo scoppio.

Scoppio che, fortunatamente, non avveniva che molto raramente, grazie alla maestria con cui mia madre aveva proceduto.

Quanto tempo durava il tutto? Te l’ho detto subito che occorre armarsi di pazienza. Mia madre iniziava l’operazione nel primo pomeriggio, subito dopo l’ora di pranzo. Il fuoco lavorava tutto il resto del giorno, fino a che i carboni erano tutti diventati un’unica ardente brace. Per tutta la notte il fuoco languiva e lentamente consumava i carboni, finché, al mattino, non restava che cenere. Verso le nove, con un po’ di ansia, si toglieva la cenere e si recuperava il pezzo.

Era sempre un’emozione ed una gioia tirare fuori dalle ceneri il pezzo di argilla divenuto finalmente “terracotta”, con il suo bellissimo colore rossastro.

Non possiedo quasi più nulla dei miei giovanili lavori: posso mostrarti questa testa lavorata da ragazzo sul modello di un pastore del Museo di San Martino.

In questo tipo di teste, si lasciano le cavità per inserirvi gli occhi di vetro, che rendono più viva e vera l’espressione del viso. Io non avevo, però, la possibilità di procurarmi occhi di vetro e così feci la testa già bella e pronta con gli occhi.

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Realizzai questa testa di vecchio ispirandomi a un “pastore” che avevo visto al Museo di San Martino. Avevo forse quindici anni.

Ora, non mi aspetto certo che tu ripeta queste operazioni così come te le ho descritte. Il mio intento era più che altro storico-evocativo.

Un piccolo forno elettrico non costa poi molto.

Ma, se non te lo puoi comunque permettere, puoi sempre portare i tuoi pezzi a cuocere presso qualche bottega artigiana che dispone di un forno elettrico e che, sicuramente, ti renderà questo servigio per un modico compenso.

Che se poi tu volessi provare il sistema che ti ho descritto, ricordati di tenere i bambini a debita distanza: è importante che i piccoli assistano alle opere della manualità, ma sempre in condizioni di assoluta sicurezza.

Anche questo lavoro di cottura ha un suo equivalente simbolico: non ti ho già detto che l’uomo ripete i gesti del Dio? E che all’argilla con cui era fatto l’uomo l’anima fu infusa dal soffio rovente di Dio?

Sì, sembra proprio che, da millenni, non facciamo che raccontarci sempre le stesse storie.

Almeno, questa è la conclusione cui sono giunto io.

E tu, a quale conclusione sei arrivando, riflettendo su questi argomenti?

20 commenti

  1. Riflettendo su questi argomenti, sono arrivato alla conclusione che l’idea della “buatta” mi allatta (è venuta fuori anche una rima baciata… naturalmente sto scherzando, ma non ti nascondo che mi piacerebbe seriamente provarci). Comunque, caro Italo, hai scritto un articolo splendido, complimenti di cuore!
    Ciao
    Mariano

  2. Bellissimo ricordo, il tuo. Spero che tu continui a “giocare” con la creta perché la mano ce l’hai ?
    Complimenti vivissimi ?

    • Grazie dei complimenti. Ma, purtroppo, non ho continuato a giocare con la creta… talvolta, ci tocca tradire, per le esigenze della vita, le nostre più intime aspirazioni. Ed ormai mi riesce meglio scrivere… che poi mi interesserebbe di meno. Mi scrivi ancora?

      • Ti rispondo con molto piacere. Ti piace scrivere? Cosa, esattamente? Sono curiosa, perché anche io scrivo. Romanzi, per la precisione ?
        Ps: peccato che le esigenze della vita ti abbiano portato a smettere di creare. Quei pupi meritano un posto d’onore in un presepe.
        Esther

        • Cara amica, devo darti, forse, una piccola delusione. Scrivere non mi piace; mi costa molta fatica, anche se a prima vista potrebbe sembrare che scrivo come di getto. Lo ritengo però un dovere, visto il mestiere che ho scelto (o forse dovrei dire che mi ha scelto). Scrivo di ciò che credo sia utile sapere per i miei amici, per i miei “discepoli”, per chi semplicemente mi incontra, anche per caso. Scrivo, come vedi, innanzitutto del presepe, ma anche della mia città, della mia regione, di letteratura e, in particolare, di epigrafia. Una parte di ciò che mi riguarda la puoi leggere se vai sulla pagina del chi sono, o anche se mi cerchi sulla rete. Tu scrivi romanzi. Li hai già pubblicati? Se sì, dimmi con chi e dove. A rileggerci, spero.

          • Interessante! Perché mai dovrei essere delusa da ciò che scrivi? Trovo che parlare della propria terra e delle tradizioni a essa connaturate sia bellissimo. Per quanto riguarda me, non parliamo di pubblicazioni, che è un tasto dolente. In ogni caso, per ora scrivo romanzi storici con sfaccettature realiste. Mi piace descrivere le miserie umane e creare personaggi con pregi e difetti. L’ultimo romanzo scritto parla di una famiglia di emigranti siciliani negli Anni Venti. ?

          • È vero, caro Italo, i mestieri e le professioni ci scelgono molto più spesso di quanto noi vogliamo, ma le passioni restano sempre in ogni nostra azione, e inconsapevolmente, prima o poi esplodono con prepotenza. È un peccato che tu non abbia continuato a plasmare la creta, ma è così affascinante il modo in cui ne descrivi i passaggi, che sembra che tu non abbia mai smesso. E forse è questo è il segreto delle vere passioni, a dispetto di ciò che la vita ci conduce a fare, restano vive e intatte, come una scultura cotta con un fuoco acceso con pazienza. Grazie, è stato un piacere leggere la tua esperienza, Francesca

      • Grazie per le cose interessanti che hai scritto.

  3. Fabrizio Vignali

    La mia conclusione è la conferma che nel mondo dove viviamo, le persone come te, che ispirano consistenza e fiducia, dovrebbero stare nei luoghi dove si decide il destino altrui.

    • Caro amico, grazie per la stima e la fiducia che mi accordi, e che forse non merito. In ogni caso, non credo che starei bene in quei luoghi che dici: non amo il potere e credo che ognuno dovrebbe decidere il proprio destino, in accordo con gli altri… ma è una visione utopica, il senso vero dell’anarchia (che non è la possibilità di fare ognuno ciò che si vuole, ma l’inutilità di un capo, perché ognuno sa qual è il suo dovere e lo fa senza bisogno di paghe, di premi o di punizioni: la visione del Cristo, insomma, che noi cristiani non facciamo altro che tradire). Infine, caro Fabrizio, io sto bene esattamente dove sto: cioè su queste pagine, dove tu e gli altri fedeli lettori mi seguite con affetto e competenza. E la vostra amicizia mi ripaga a sufficienza.

  4. Sono arrivato a questo splendido articolo facendo ricerche su come cuocere l’argilla e devo dire le informazioni riportate mi sono state più che preziose, credo farò qualche prova non appena ne avrò la possibilità ed avrò modellato qualcosa da far diventare terracotta. Sarei curioso di leggere altri tuoi articoli sull’argomento (se ce ne sono stati altri che non ho trovato)

    • Caro signor Valentino, mi scuso innanzitutto per aver lasciato passare tanto tempo per la risposta. Non ho scritto altri articoli sull’argomento: ne ho detto qualche cosa qua e là, ma di specifico sulla lavorazione della creta ci sono solo questo e gli altri due. Se fa, o ha fatto delle prove, potrebbe inviarci poi le foto da mostrare ai nostri lettori. La ringrazio per avere scritto.

  5. Salve! Mi piace molto l’idea di provare a cuocere e questo articolo mi ha convinta a provarci sul serio! Volevo però capire una cosa: l’argilla rimaneva quindi a contatto con i carboni? La “buatta” era riempita di carbone insieme al pezzo da cuore e a sua volta sommersa da altro carbone? Non vedo l’ora di provare 🙂 grazie

    • Grazie a te di avermi scritto. Sì, il pezzo di argilla cruda era a contatto dei carboni, in essi immerso e da essi circondato.
      La “buatta” era riempita di carbone, ma non sommersa da altro carbone.Immagina una “buatta” piena di carboni con al centro, quasi un “cuore”, il pezzo da cuocere. Ribadisco alcune avvertenze: 1. Il fuoco deve propagarsi lentamente e non violentemente, un po’ alla volta, a partire dall’alto. 2. Stare lontani, una volta acceso il fuoco, perché il pezzo potrebbe scoppiare. 3. Lasciare che i carboni si spengano da sé. 4. Pazientare fino al giorno dopo, quando il fuoco si è completamente spento. 5. Provare con pezzi piccoli. Se ci provi, fammi conoscere il risultato dell’esperimento.

  6. Salve, mi dispiace che le abbiano impedito di proseguire la sua vocazione.. potrei chiederle un parere, ma se volessi anche smaltare un oggetto in terracotta,come si dovrebbe procedere sempre in modo casereccio? Inoltre avendo letto qua e là si dice che l argilla vetrifichi a 980° mentre la brace arriva a soli 400° o 600/700° a fuoco intenso

    • La tecnica per smaltare un oggetto di terracotta è specifica e si apprende solo con una serie di prove “sul campo”; soprattutto perché occorrono colori speciali, che, oltretutto, si modificano con la cottura. Per avere il rosso, cioè, non devi mettere il rosso, ma un altro colore che, modificandosi con il calore, ti dà il rosso. Ma, appunto, queste cose si imparano in una bottega, con un maestro. Volendo fare da soli, si può andare in un negozio di belle arti e chiedere un manuale apposito. In quanto alla cottura dell’argilla, l’ideale è un forno elettrico, ma mia madre, come ho scritto nell’articolo, ha sempre cotto l’argilla con il fuoco di carboni e il risultato era ottimo. Grazie per avere scritto.

  7. Sono stata in vacanza in sicilia e mi sono invaghita di tutte quelle ceramiche colorate ed artistiche tanto da tentarmi a voler provare anche io a farle anche se a me interesserebbe fare delle mattonelle. che il tuo metodo sia adatto anche per loro? Io ho un fornetto fatto in mattoni a disposizione pensi che potrebbe andare per cuocere la terracotta? in caso di esplosione potrebbe saltare anche il forno?

  8. Grazie , un vaso per fiori rotto può essere saldato con argilla fresca e poi cotto ?

  9. Gentile Italo, buongiorno. Ho letto il Tuo articolo documentandomi di vari argomenti. Le mie congratulazioni per l’impegno e il tempo che dedichi a divulgare conoscenze. Nell’augurio di ogni bene, la saluto. Francesco Barbagli

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