Alchimia del presepe popolare napoletano: è il sottotitolo di un mio libro, nel quale, offrendo la mia interpretazione del presepe, mi collegavo a immagini e simboli di questa antenata della chimica, che rappresenta il “filo rosso” della cultura europea.
Alchimia del presepe: come titolo potrebbe apparire un po’ strano, ma ho spesso raccontato come l’appassionato del presepe tenda a fare di esso il centro di gravità delle proprie ricerche e delle proprie esperienze, in una parola a ricondurre un po’ tutto alla costruzione e alla interpretazione del presepe.
Questa tendenza a qualcuno potrebbe apparire non tanto una passione, quanto una fissazione maniacale su un’unica tematica; non è così. Come scrivevo qui, nel mondo dello spirito, tutto è riconducibile a tutto: teorizzavo, cioè, l’indissolubile unità fra tutte le manifestazioni della vita dello spirito, così dei singoli come dei popoli.
Ti porto un esempio concreto. Un giorno d’estate, ero allora molto giovane, andavo a spasso per Roma. Non avevo una meta fissa: andavo alla ricerca, non sapevo io stesso di che cosa, spinto dalla volontà di “comprendere”. Ancora non avevo capito, nella mia giovanile presunzione, che ogni ricerca altro non è che l’inventario della nostra abissale ignoranza. Mi ci sarebbero voluti dei decenni, per afferrare questa semplice verità.
In ogni caso, mi ritrovai, quel giorno, in una grande piazza, adibita a mercato; era piazza Vittorio, che, credo, non ti è sconosciuta, anche perché la sua descrizione si trova in alcune bellissime pagine di Quel pasticciaccio brutto de via Merulana, di Carlo Emilio Gadda. Al centro della piazza, nei giardini, alcuni monumenti attirarono la mia attenzione di appassionato dell’Antico: dei resti romani, denominati “I trofei di Mario”, e un rudere che apparve subito interessante nella sua stranezza: “intrigante”, si direbbe nel colloquiale linguaggio moderno.
Una porta murata, che non conduceva più a nulla. Sull’architrave, sulla soglia e sugli stipiti, strani simboli, che individuai subito come alchemici, e delle iscrizioni in latino.
In alto, la strana porta era sormontata da un disco di marmo istoriato con altri simboli ben conosciuti dalla tradizione.
Ai lati, nelle statue di due mostruose divinità riconobbi il dio Bes degli antichi Egizi, il dio delle iniziazioni, analogo al Sileno dei Greci, il vecchio compagno di Dioniso: come seppi in seguito, non facevano parte della costruzione originale, eppure, messe lì, ci stavano benissimo, in funzione di “guardiani della soglia”.
Non sapevo ancora che si trattava della cosiddetta “Porta Magica“, ultimo resto della villa del Marchese Massimiliano della Palombara: come avrei appurato in seguito, di lui la tradizione diceva che aveva ospitato un pellegrino, il quale nel laboratorio alchemico del nobile aveva operato la trasmutazione del metallo vile in oro, scomparendo poi all’improvviso, senza lasciare di sé alcuna traccia.
Sulla soglia era incisa una frase, che mi sembrava adattarsi bene alla mia abitudine di camminare, nella convinzione che Dio creò l’uomo perché andasse a spasso: SI SEDES NON IS, diceva il motto: “se te ne stai seduto, non vai” (naturalmente, da nessuna parte). Mi accorsi anche quasi subito che la frase era quello che si dice un “palindromo”, una frase, cioè, che può anche essere letta a “ritroso”, da destra verso sinistra: allora essa suona SI NON SEDES IS: “se non te ne stai seduto, vai” (naturalmente, ovunque tu vuoi).
A parte gli stipiti, adorni dei simboli dei metalli e dei pianeti, commentati da frasi latine, rivolsi la mia attenzione al disco che, posto sull’architrave, sormonta la costruzione. La stella di Davide, o “sigillo di Salomone“, la stella a sei punte, ottenuta dalla sovrapposizione di due triangoli equilateri, rappresenta il mondo nella sua totalità, essendo in essa contenuti i simboli dell’aria, del fuoco, della terra e dell’acqua.
Il cerchio che circoscrive la stella porta una sentenza che può essere interpretata agevolmente sia in senso cristiano, sia alchemico (del resto, le due visioni potrebbero non essere in contrasto: gli alchimisti hanno sempre professato la loro fede cristiana).
TRIA SVNT MIRABILIA:
VNVS ET TRINVS
DEVS ET HOMO
VIRGO ET MATER
Cioè:
“Tre sono le cose che ci stupiscono: l’Uno e Trino – Il Dio e Uomo – La Vergine e Madre”.
Si tratta, come si vede dei due sommi misteri della fede cristiana:
l’Unità e Trinità di Dio
l’incarnazione del Figlio nella Persona di Gesù Cristo
Ad essi si aggiunge il mistero della Verginità e della Maternità congiunte in Maria.
In senso alchemico, la sentenza invita a non respingere le sfide che il mistero rivolge alla ragione, presentandole delle proposizioni che per essa rappresentano delle semplici e inaccettabili contraddizioni: al di là della soglia, il pellegrino in cerca comprenderà il senso e la verità di quelle sublimi contraddizioni.
Ma io immediatamente pensai al presepe: la Vergine Madre che accoglie il Dio fatto Uomo, nella umiltà di una mangiatoia.
Non meravigliarti di questo: avevo già dato inizio alla mia interpretazione del presepe popolare a partire da una frase che avevo scovato su un libro sfogliato presso una bancarella di Port’Alba:
VISITA INTERIORA TERRAE-RECTIFICANDO INVENIES OCCVLTVM LAPIDEM-VERAM MEDICINAM
“Visita il profondo della terra: con il rettificare troverai la pietra celata, vera medicina”: le iniziali delle singole parole danno il celebre acrostico VITRIOLVM, che dell’Alchimia costituisce una delle “parole-chiavi”.
“Perbacco – mi ero detto, leggendo queste parole – ma anche il viaggio presepiale è un percorso che va dall’alto verso il basso, per trovare la pietra in fondo a una grotta“: Cristo, infatti, è la pietra che i costruttori hanno scartata e che diventa testata d’angolo.
Per questo, in una pagina del mio Il sogno di Benino (che puoi trovare qui) volli riprodurre il disco che corona l’architrave della Porta Magica di Roma. Non a caso, il sottotitolo del libro era “Alchimia del presepe popolare napoletano”.
Le lettere ebraiche, sull’architrave della “Porta” e in alto nel disegno, si leggono Ruah Elohim e significano “lo Spirito di Dio”: quello Spirito che “in principio” aleggiava sulle acque e che oggi la Chiesa invoca come Spirito Santo Paraclito, “il Consolatore”.
Ti sembra che correvo troppo con la fantasia, trasportato dal mio amore per il presepe?
Ebbene, in seguito trovai una conferma, se ne avessi avuto bisogno, a quelle prime impressioni, nelle pagine di un eccezionale scrittore: Stanislao Nievo, pronipote del grande Ippolito che scrisse, a metà Ottocento, Le confessioni di un Italiano.
Ma di questo ti parlerò un’altra volta.
In alcuni dei tuoi straordinari articoli ho l’iniziale impressione di intraprendere un labirintico percorso, ma stringendo con mano forte chi si delizia a leggerti riesci a guidarci anzitutto in quell’appassionante viaggio presepiale e poi dentro noi stessi, in quelle “grotte” per trovare la Pietra Viva.
Grazie e ancora tantissimi complimenti!
Mariano
Ancora una volta, caro Mariano, hai visto giusto: infatti, il presepe popolare napoletano è costruito a somiglianza del labirinto nella sua forma originaria: ne dovrò scrivere, quando non so. Spero prima di Natale. Per ora, aggiungo un’altra tappa del nostro “labirintico percorso”, con l’articolo che ho appena scritto e pubblicato. Grazie per il commento.
ibis redibis..
è vero.. si comincia un viaggio ogni volta, non perdendo di vista i sostegni offerti per non smarrirsi nelle millemila visioni…
…che bello, quando mi si conferma che ho toccato corde emozionali profonde … vuol dire che come scrittore non sono poi malaccio …