L’albero di Natale è in Italia un uso recente che, tuttavia, risale a un antichissimo culto della vegetazione. In molti casi si contrappone alla tradizione italiana del presepe, che sta lentamente scomparendo, di fronte a questa nuova usanza che mortifica, perché gli toglie significato, lo stesso antico culto pagano. L’usanza del presepe ha per la nostra cultura maggiore significato, perché affonda le radici nella tradizione cristiana, sulla quale si fonda l’intera civiltà europea.
Nel lontano 1989, nel recensire il mio libro “Il sogno di Benino” (che puoi trovare qui), un giornalista napoletano mi definì “nemico giurato dell’albero di Natale”. La definizione che dava di me non era del tutto giusta: per principio, non sono nemico, “giurato” o meno, di nessuno e di niente, sopratutto poi nel periodo natalizio. Non rinuncio ad esprimere con fermezza e chiarezza le mie idee, ma questo non significa giurare inimicizia alle idee contrarie o semplicemente diverse rispetto alle mie.
Non potrei essere nemico dell’albero di Natale, perché questo è il ricordo di un antichissimo culto dell’albero, proprio delle popolazioni che vivevano, o tuttora vivono, in sintonia con la natura. Un culto diffusissimo presso tutte le popolazioni che fu fatto oggetto di uno studio vastissimo e approfondito da parte di James Frazer, in un testo famosissimo che ha per titolo “Il ramo d’oro” (The Golden Bough), una sorta di Bibbia dell’antropologia, alla fine dell’Ottocento.
Come ormai sanno tutti, la festa del Natale si celebra il 25 dicembre, pochi giorni dopo il solstizio di inverno, non perché la nascita di Gesù sia effettivamente avvenuta a quella data, ché anzi dal Vangelo di Matteo sembra che essa si debba collocare nella bella stagione: ma la Chiesa volle cristianizzare la festività pagana dei Saturnali, che esaltava il ritorno del Sole: Natalis Solis Invicti. Si trattò di una scelta polemicamente strategica, dunque, per affermare che il vero unico Sole del mondo è il Cristo Redentore.
Per un uomo moderno, abituato ad avere la luce in qualunque momento del giorno e della notte, semplicemente premendo un bottone, in appartamenti riscaldati da stufe e termosifoni, che tengono lontano il freddo, è molto difficile comprendere il terrore con cui i nostri antenati vedevano accorciarsi le giornate, lentamente, ma implacabilmente, quasi che il sole andasse incontro all’estinzione: presagio della morte dell’universo, precipitato nelle tenebre e stretto nella morsa del gelo. Solo se riesci a raffigurarti questa paura potrai comprendere la gioia che seguiva alla constatazione che il Sole riprendeva vigore, nelle giornate che si allungavano: il Sole di nuovo vinceva sulle tenebre, garantendo il risveglio della natura, assopita sotto la coltre invernale.
Allora la gente si radunava intorno all’albero più alto, simbolo non solo del vigore della natura, ma anche dell’unione tra Terra e Cielo, immagine, dunque, dell’asse del Mondo. All’albero si appendevano lanterne e doni e intorno ad esso si accendevano fuochi in segno di gioia e si intrecciavano le danze dell’esultanza.
L’albero di Natale ed il presepe hanno dunque una comune origine nella gioia, da un lato, per la vittoria del sole “naturale”, dall’altro, per la venuta del vero Sole, a illuminare “coloro che sedevano nelle tenebre e nell’ombra di morte”.
E, ancora una volta, è San Francesco ad esprimere nella maniera più chiara questa analogia, quando, nel “Cantico delle Creature”, dice di “fratello Sole” che esso “è bello et radiante, cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significazione”: per il cristiano, il sole non è un dio, ma è simbolo del vero ed unico Dio.
Anche mio padre approntava un “albero di Natale”, a complemento e quasi a corona del presepe: un grande ramo fronzuto, di una pianta sempreverde, che spandeva le sue fronde sullo scenario presepiale, che era comunque il centro della celebrazione natalizia. Al ramo appendeva con cordicelle aranci, mandarini e caramelle ed anche palline colorate di vetro fragilissimo: cose povere che però mettevano allegria. Parlando con amici e altre persone della mia età, ho scoperto che si trattava di un uso abbastanza diffuso: la tradizione dell’albero di Natale non è una novità degli ultimi decenni.
Anche per questo, dunque, non posso essere “nemico giurato” dell’albero di Natale: sia perché nei miei ricordi d’infanzia c’è un albero di Natale, sia perché lo studio dell’antropologia culturale mi ha ispirato simpatia per i riti più vari.
Ma per le stesse ragioni non posso non provare tristezza, guardando i miserevoli alberelli, spesso di materiale sintetico, nei quali un’antichissima tradizione è mortificata, perché privata di ogni significato. E passi, quando si aggiunge al presepe: quando lo sostituisce, allora siamo in presenza della perdita dei valori.
Naturalmente, allestire l’albero è più facile e veloce che allestire un presepe. Segno, questo, della velocità, ma anche della superficialità di un’epoca, in cui non si ha, o non si vuole avere tempo per riflettere su ciò che nella vita è davvero essenziale.
Nella mia mente si è creato un collegamento, non so quanto strano o giustificato, tra l’abbandono della tradizione del presepe e il distacco sempre maggiore tra padri e figli. Nella mia trascorsa vita di insegnante, mi è capitato spesso di invitare i genitori degli alunni che avevano difficoltà scolastiche a conversare un po’ di più con il figlio o la figlia: la risposta che il più delle volte mi sentivo dare era: “Ma, professore, io non so che dirgli”. Be’, sei libero di crederci o meno, ma ho verificato che questa risposta non mi è mai venuta da quei genitori che, a Natale, preparavano il presepe per e con i figli.
Non a caso, al centro della scenografia del presepe c’è una famiglia, la Sacra Famiglia.
Fai attenzione ad un particolare, di cui forse non ti sei accorto: nella tradizione napoletana, Maria è seduta o inginocchiata, San Giuseppe invece è in piedi, appoggiato fermamente al suo bastone. Questo elemento è, da una parte, il ricordo dell’episodio, narrato nei Vangeli Apocrifi, del bastone che mise le fronde, indicando in Giuseppe lo sposo cui Dio affidava la Vergine Maria, ma dall’altro richiama l’atteggiamento del pastore che veglia sul suo gregge. Giuseppe guarda quel Bimbo, che non è suo figlio secondo la carne, ma lo è secondo lo Spirito, perché consapevolmente lo ha accolto e voluto.
Non sarà per questo che i padri moderni non fanno più il presepe? Per il timore che la statuina di Giuseppe rimproveri loro l’incapacità di essere padri anche secondo lo spirito, dopo esserlo stati secondo la carne?
Non lo so, mi limito a raccogliere dei segnali per me inquietanti e a sottoporli al tuo giudizio.
Spero che mi farai conoscere la tua opinione, perché ho qualche altra storia da narrarti, al proposito.
E’ molto bella la riflessione che hai fatto sulle difficoltà comunicative tra padre e figlio/a e l’abbandono della tradizione del presepe in famiglia: una sorta di statistica che hai potuto verificare di persona attraverso le risposte dei genitori.
Il ramo d’oro non l’ho letto, ma si parla di Nemi?
Grazie e un saluto
Mariano
In effetti, Frazer prende le mosse da una barbarica usanza che vigeva nel bosco che circondava il lago di Nemi: il “rex nemorensis” era un criminale sfuggito alla legge, che diveniva inviolabile per il suo carattere di sacerdote di Diana; fino a quando qualche altro fuggitivo non riusciva a sorprenderlo, a ucciderlo e a prendere il suo posto, in attesa, naturalmente, di fare la stessa fine del suo predecessore. Si trattava della sopravvivenza di un rituale che comportava un sacrificio umano, sostituito poi dalla sfida al “rex”. Da qui parte la ricerca del Frazer sul culto dell’albero, con una specie di giro del mondo. Libro interessantissimo, che lessi al primo anno di università e che fa parte di quel gruppo di libri che mi hanno aperto dei vasti orizzonti e senza dei quali sarei stato un insegnante molto peggiore di quanto non lo sia in effetti stato. Wittgenstein lo tratta malissimo, ma resta pur sempre un’introduzione fondamentale all’antropologia. Raccomanda a Silvio di studiarlo, quando ne ha tempo. Grazie per avermi scritto.
Come sempre profondo ed educativo. Il messaggio dovrebbe essere visivo con manifesto in tutte le scuole. Buon Natale, e raggio d’amore nella posa del bambinello nella mangiatoia del tuo presepe. Auguri peppe cicirelli
Grazie di avermi letto e commentato. Buon Natale anche a te e alla tua famiglia.
sicuramente alleanza, infatti a piazza San Pietro ci sono tutti e due vicini
A mio modo di vedere, la questione è alquanto più complessa, come dico nel nuovo articolo. Ci sono chiese che allestiscono l’albero, ma non il presepe. Questo mi preoccupa un po’. Grazie per avere visitato la pagina e per avere scritto.
ciò che ho letto è bellissimo non sapevo la storia, ma per me il presepe è il massimo della cristianità, e quanto a giuseppe che non era il vero padre di gesù, non vedo perchè i padri di oggi debbano avere timore, alla fine gesù è figlio di dio, da cui è nata la religione cattolica perchè bisogna avere timore?io a volte faccio il presepe, a volte tutti e due, ma comunque è perchè sono cristiano, non c’è altro motivo, io vi saluto tanto, vi faccio i miei più fervidi auguri di un anno migliore, ROBERTO.
Per me Giuseppe era veramente “padre di Gesù”, naturalmente secondo lo Spirito, non secondo la carne. Non ho mai sopportato che Giuseppe sia chiamato “padre putativo”. Del resto Maria dice al piccolo Gesù: “Tuo padre ed io ti cercavamo”. E credo che Lei sapeva ciò che diceva. Grazie dell’attenzione che mi hai prestato.
L’ALBERO E’ BELLO, MA E’ IL PRESEPE CHE FA NATALE E FAMIGLIA
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L’albero è bello, ma è il presepe che fa Natale. E’ il presepe che fa la famiglia. E’ esso, esso soltanto, capace di portare in ogni casa quella magica luce e quella tenera atmosfera che nessun’altra cosa possiede. E’ esso che riesce a spanderla generosamente a tutti, indistintamente, e tutti ne possono prendere quanta ne vogliono, devono solo liberare il cuore da ogni zavorra e farlo ritornare bambino. Solo se riusciranno a ritrovare almeno un poco della perduta innocenza, potranno gioire di questi fatati momenti di dolcezza irripetibile che nessun’altra ricorrenza o albero che sia – pur se il più ricco di luci sfavillanti, fili d’oro e preziosi ammennicoli – saranno mai capace di creare. E’ il presepe che invoglia a fare una carezza in più, a riavvicinarti al congiunto o all’amico “smarrito”, a trovare la forza di comprendere meglio, di accogliere, di aiutare, di perdonare. E’ il presepe, con i suoi pastorelli che hanno nelle mani qualcosa da offrire e che hanno nei gesti la generosità del donare, che nell’anima ti fa sussurrare parole di bene e slanci d’amore. E’ il presepe, con la sua incantevole atmosfera, tutta intrisa del meraviglioso mistero della Natività, che rinnova e vivifica nel cuore di molti la sopita speranza che un giorno si potrà vedere l’intera umanità più lieta e finalmente affratellata in una universale festa di pace.
Grazie, signor Raffaele. Spero che siano in molti a leggere queste sue considerazioni e a meditarle.
Grazie a lei (o a te – come preferisce), caro Italo, sono particolarmente felice che la mia considerazione sia piaciuta. Un fraterno abbraccio, Raffaele (solo Raffaele, nessun altro titolo!)
Allora, Raffaele, d’accordo. In quanto al lei o al tu, in genere, come mi sono reso conto, in questa forma di comunicazione, vige il “tu”. Ma se qualcuno mi scrive con il “lei”, per rispetto, adopero la stessa forma. A parte questo, se ti andrà di fare altre osservazioni, considerazioni, o quel che più ti piace, sarai sempre il benvenuto. Le mie pagine vivono soprattutto dell’apporto dei lettori. Perciò, grazie.
Grazie a Te caro Italo, grazie anche a Raffaele, le sue considerazione mi hanno commosso, sì grazie a Voi.
E a te, grazie dell’attenzione che dedichi alle nostre pagine. Come ho detto anche a Raffaele, senza l’apporto dei lettori, scrivere diventa più difficile. Più osservazioni ricevo, più mi viene voglia di pubblicare articoli.