Acque e fontane a Napoli e dintorni è l’argomento di un accattivante libro scoperto nella libreria di San Gregorio Armeno. Ma acque e fontane sono ben rappresentate sul presepe napoletano.
Chi dice che i “miracoli” non esistono? A San Gregorio Armeno, tra Piazza San Gaetano e il Cavalcavia di Santa Patrizia, la piccola libreria Neapolis riesce, in uno spazio che più esiguo non potrebbe essere, a contenere prodigiosamente tutti i volumi su Napoli e Campania che puoi desiderare. E se qualche titolo non c’è, niente sgomento: la proprietaria, la signora Annamaria Cirillo, della quale non sai se ammirare di più la simpatia e la disponibilità oppure la competenza, è in grado di procurartelo o per lo meno di darti precise informazioni.
Quando sono nelle vicinanze, non manco mai di passare a salutare la signora Annamaria: scambiare due chiacchiere con lei è sempre un piacere, anche perché nel corso della conversazione puoi imparare molto. Annamaria i libri li legge, non si limita a venderli e così può offrirti utili consigli su qualche opportuna integrazione della tua biblioteca. Devo dire che non mi sono mai pentito di un acquisto fatto dietro sua indicazione.
L’altro giorno, ad esempio, mi ha mostrato un libro piccolo, appena ottanta pagine, ma sostanzioso. L’argomento verteva sulle fontane e le acque termali di Napoli, con un’appendice su quelle della zona flegrea.
Il libretto si mostrava accattivante, con la puntale descrizione di tutte, ma proprio tutte le fontane della città partenopea, con la storia dei loro vari spostamenti: già, perché a Napoli, le varie amministrazioni cittadine, sin da tempi remoti, non hanno fatto trovare pace alle fontane, continuamente cambiando loro di posto, spesso addirittura da un capo all’altro della città.
Così la fontana della Sirena da piazza della Stazione ferroviaria è finita a Piazza Sannazaro, nella zona di Mergellina, lì dove finisce Napoli ed iniziano i Campi Flegrei; la fontana della “Coccovaja”, da Piazza del Porto, salì fino a Piazza Salvatore di Giacomo a Posillipo. Altre hanno fatto un tragitto più breve, ma ugualmente hanno dovuto mutare luogo.
Qualcuna riveste un particolare valore simbolico (e l’Autore lo mette in luce) per la città, come la fontana di Spina Corona, in una viuzza presso l’Università centrale: la Sirena Partenope, bellissima donna alata, ma dai piedi artigliati, versa dai seni verginali le acque con cui placa l’ardore del Vesuvio. Perciò i Napoletani la chiamano ‘a funtana d’ ‘e zizze; fui piacevolmente sorpreso, nell’incontrare a Treviso un’analoga fontana che portava un analogo nome.
Il volto della Sirena appare leggermente diverso nelle due immagini. La prima è più vecchia, la seconda mostra la Sirena restaurata dopo che dei vandali l’avevano deturpata, privandola della testa.
Il libro è completato da una preziosa mappa in cui sono indicate tutte le fontane e le acque termali di Napoli e della zona flegrea.
Peccato che l’Autore (Bruno Brillante) e l’Editore (RCEMultimedia) abbiano sbagliato sia il titolo, sia il frontespizio e su ciò concordiamo la signora Annamaria ed io.
Sora aqua ancora andrebbe bene, se il sottotitolo dicesse chiaramente l’argomento; il sottotitolo, invece, è una frase in francese (“Il sole non si compra, si prende”) che a prima vista non c’entra niente con l’argomento. Solo nel corso della lettura si chiariscono le intenzioni dell’Autore: l’acqua è un bene pubblico che in quanto tale va difeso, né può essere fonte di speculazione privatistica.
Il riferimento storico è alle sommosse popolari degli abitanti di Santa Lucia (i Luciani) per difendere l’uso pubblico della loro fonte di acqua sulfurea contro mene private. Ma credo che non manchi un riferimento più attuale; il testo è stato pubblicato nel giugno 2011, quando un referendum popolare italiano sferrò un solenne schiaffo morale al potente di turno che voleva privatizzare l’acqua in Italia: e chi dice che “privato è bello” (ma penso che quest’abile menzogna sia passata di moda di fronte all’evidenza dei fatti) rifletta agli altissimi costi e alla disastrosa distribuzione dell’acqua, dove non ve n’è un uso pubblico.
Fatta questa doverosa riserva, mi sono affrettato ad acquistare il libro e a leggermelo d’un fiato. Certo, a me napoletano dalla nascita e passeggiatore infaticabile per strade, piazze e biblioteche, non poteva dare molto di nuovo quanto a notizie, ma il tono fresco e limpido, in sintonia con l’argomento, l’adesione emotiva dell’Autore sono coinvolgenti e mi hanno fatto compiere un tuffo nelle “acque” di un passato che non dimentico ed amo.
Si apre con la citazione di una delle canzoni che più mi furono care: Funtana all’ombra di quell’E. A. Mario che fu l’autore della Canzone del Piave e uno dei tre napoletani artefici della vittoria (Giovanni Raso, in “Napoli città del sole”).
‘Sta funtanella, ca mena ‘a tanto tiempo l’acqua chiara ha fatto ‘a cchiù ‘e nu seculo ‘a cummara …
Una delle mie canzoni preferite, che mi ricordano un’epoca in cui la mia città era piena di fontanelle che versavano il limpido getto d’acqua a placare la nostra sete di ragazzi accaldati e affannati per le lunghe corse … un vero sollievo, specialmente d’estate. Ora quelle fontanelle sono quasi tutte scomparse, distrutte dall’avanzata del cosiddetto progresso, poiché erano un fastidio per chi doveva parcheggiare l’automobile sul marciapiede. Se ne possono vedere ancora le tracce nelle pietre che spuntano dal selciato.
Ad un altro tuffo nel passato mi obbliga il ricordo dell’acqua sulfurea, dal sapore pungente, che solleticava le narici, e che non era del tutto gradevole, ma che pure lasciava un senso di soddisfazione nella gola e nei polmoni. L’acqua surfegna, come la chiamavano i Napoletani, sgorgava da una fonte al Chiatamone, ma era venduta in tutta Napoli da venditori e venditrici che la portavano in giro in anfore di terracotta, panciute, dal collo stretto e con due manici, le mummare, (mummarelle, quelle più piccole), delizioso termine d’origine sicuramente greca; all’antichità classica risale anche il loro aspetto.
Chi vendeva l’acqua di mummara ve la versava in un bicchiere, ma la vera delizia era berla direttamente dalle mummarelle, che contenevano, diciamo così, la razione per una sola persona.
Ernesto, Antonio, ricordate le nostre passeggiate a Mergellina e le soste presso le cortesi venditrici di acqua surfegna? Ricordate le lunghe sorsate ristoratrici dalle piccole mummare, quegli attimi di felicità, quando bastava così poco per essere in pace con sé, con Dio, con il mondo. Forse perché eravamo giovani e perché il mondo non ci appariva ancora così cattivo?
L’acqua era freschissima, mantenuta in questa condizione sia dal materiale, la terracotta, sia dall’abitudine di mantenere umida la superficie esterna del vaso.
L’acqua di mummara fu fatta sparire nel 1973, per ordine delle Autorità, con il pretesto di una presunta epidemia che correva … ma sembra quasi che la funzione di qualsivoglia autorità di questo mondo sia quella di impedire all’uomo ogni spiraglio di felicità e di soddisfazione, anche quelle, e forse soprattutto quelle, più innocenti.
Ma mettiamo da parte i discorsi complicati per ammirare piuttosto questo “pastore”, opera del Maestro De Francesco, che rappresenta un tipico “luciano”, cioè uno degli abitanti di Santa Lucia, che regge con consumata abilità ben tre mummare. Ma un “luciano” era capace di portarne anche di più, in bilico sulle braccia e, all’occorrenza, sul capo.
Sul presepe non possono mancare né la fontana, né, a questo punto, l’immagine di un “luciano” o di una “luciana” con le sue mummare e mummarelle.
Elementi legati al simbolismo dell’acqua, di cui ho parlato a proposito del fiume e dell’abisso, collegato a quello del pozzo.
Il nostro viaggio nel presepe si fa, com’era prevedibile, sempre più labirintico. Avremo sempre un’Arianna che ci offra il filo per districarcene? E tu, sei sempre disposto a seguirmi in questo avventuroso viaggio?
Sempre più labirintico e sempre più affascinante. Dalla tua descrizione accorata mi sembra di berla quell’acqua freschissima: complimenti!
Non so se il libretto, caro Italo, risponde a questa domanda, ma perché le fontane vengono spostate da una piazza all’altra?
No, non risponde. E del resto sarebbe difficile rispondere a una domanda che gli amministratori della cosa pubblica non si sono mai posta, altrimenti le avrebbero lasciate in pace, le fontane. La ragione che viene addotta è che lo spostamento risponde a problemi urbanistici etc. etc. etc. Tuttavia, tieni presente che non ho alcuna fiducia di architetti ingegneri urbanisti cui si è rivolto e si rivolge il Comune di Napoli. E questo dal secolo scorso. Già Vittorio Imbriani ne parlava molto male. Mi hanno rovinato la Villa Comunale, Piazza Dante, per non parlare dello scempio dell’Ambassadors e del Centro Direzionale…